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“Dibba” show

Alessandro Di Battista, com’è noto, in TV viene bene. La sua popolarità nel Movimento pentastellato e nell’elettorato nasce per gran parte dalle sue apparizioni televisive. E’ preparato, e non si fa mettere all’angolo nei confronti; sia quando si trova davanti degli interlocutori, sia quando a incalzarlo sono intervistatori navigati. Qualche settimana fa si trovò a confrontarsi con Scalfari in “otto e mezzo” dalla Gruber e, con fare compìto e rispettoso del grande vecchio del giornalismo italiano, è riuscito a stizzire l’ex direttore de “la Repubblica” che l’ha apostrofato, sprezzante, come “grande parlatore” di cui l’animo e la mente scalfariani certamente diffidavano, ma non tanto da non farsi poi confondere dall’altro e ben più “grande parlatore” nazionale Matteo Renzi.

Ieri sera il deputato pentastellato si è trovato a fronteggiare una vecchia volpe del giornalismo televisivo: Gianni Minoli. E’ stato incalzato, ha risposto con sicurezza senza rinunciare a riproporre i due cavalli di battaglia del M5s: il reddito di cittadinanza e gli aiuti alle piccole e medie imprese. Minoli lo ha insidiato su tutti i temi politici nazionali e internazionali emergenti, dal risultato del referendum all’Europa, dall’elezione di Trump all’euro, e le risposte del “Dibba” sono state pronte.

Che poi siano state tutte convincenti è un altro paio di maniche.

L’intervistatore non ha rinunciato anche alle incursioni sulle questioni più personali. A un certo punto ha tirato fuori pure la questione del papà fascista, domandando se la cosa non lo imbarazzasse. Di Battista, ovviamente, ha detto di essere orgoglioso del suo genitore. Aggiungendo che fascismo e antifascismo sono ormai cose sorpassate, “cose da Guelfi e Ghibellini”. “Io l’ho detto a mio padre: ancora a parlare di questa roba”. Minoli gli aveva anche chiesto se preferiva un fascista onesto a un antifascista disonesto o se un antifascista onesto non fosse meglio di un fascista tout court. Al che il “Dibba” ha risposto come sopra: fascismo e antifascismo vanno archiviati nella soffitta nazionale. In precedenza aveva detto che anche la divisione destra e sinistra non aveva più senso e che comunque loro del Movimento erano oltre queste discriminanti senza più senso.

Prima di tutto ciò, però, aveva detto con sincerità che lui si sentiva garantito solo dalla Costituzione.

Tv: Alessandro Di Battista (M5S) a ''Le invasioni barbariche''Che cosa si può dire su queste dichiarazioni? Per quanto riguarda le differenze fra destra e sinistra, che pure Di Battista dice di aver sempre votato in passato, come Grillo del resto, lui ha buon gioco a confondere le acque riferendosi alla sinistra esistente che, non avendo fatto il proprio dovere negli ultimi lustri, anzi avendo combinato parecchi disastri, ha consentito il diffondersi di queste teorizzazioni. Per altro su questo il deputato pentastellato è in singolare consonanza con un altro maître à penser del PD, tale Nardella. Ma le scelte politiche che il M5s sarà chiamato a fare, soprattutto sul piano economico e sociale e non solo, ne metteranno alla prova ogni ambiguità tattica. Cosa che sta già succedendo là dove il movimento grillino governa in grandi e piccole città e paesi.

di-battistaSu fascismo e antifascismo, invece, è proprio fuori strada. Ce lo fa andare la furbizia tattica di voler tenere insieme elettorato proveniente da destra e da sinistra, credendo di facilitarsi il compito relegando la questione, che sta all’origine della democrazia repubblicana, nella patria soffitta tra le cose usurate e inservibili. Al babbo che rivendica con orgoglio il suo fascismo, il figliolo, se ha, come dice, maturato tutt’altro orientamento, dovrebbe dirgli, con tutto il rispetto dovuto, che non solo non condivide quelle idee ma ricordargli che le medesime, oltre a essere ripugnanti, sono costate parecchi disastri all’Italia. Mentre su quelle antifasciste s’è fatta quella Costituzione da cui lui si sente protetto e che con tanto vigore ha difeso nel referendum. Non è quindi “roba” da “anticaja e petrella” come si dice a Roma, ma di cultura o, se si vuole, di mito fondativo. Di una cultura civica, politica, istituzionale fondatrice dello stato e della democrazia repubblicani. Con tutte le loro imperfezioni, contraddizioni, regressioni che occorre eliminare. Ovviamente pensando con la testa e non con la pancia. Quando ci si presenta sulla scena politica come radicali moralizzatori e restauratori delle virtù civiche e costituzionali, come ama fare il M5s, è bene non dimenticare che, come scriveva il Machiavelli, “a volere che una religione e una repubblica viva lungamente è necessario ritirarla spesso verso il suo principio”, nel nostro caso, per l’appunto, l’antifascismo che non si può relegare fra le cianfrusaglie d’altri tempi.

Minoli ha cercato di incastrare Di Battista legando la questione dell’onestà a quella di fascismo e antifascismo. Sarebbe stato meno strumentale e più penetrante se fosse partito da una considerazione di Antonio Gramsci: “Così non si può giudicare l’uomo politico dal fatto che esso è o meno onesto, ma dal fatto che mantiene o no i suoi impegni (e in questo mantenimento può essere compreso l’’essere onesto’, cioè l’essere onesto può essere un fattore politico necessario, e in generale lo è, ma il giudizio è politico e non morale), viene giudicato non dal fatto che opera equamente, ma dal fatto che ottiene o no dei risultati positivi o evita un male e in questo può essere necessario l’’operare equamente’, ma come mezzo politico e non come giudizio morale”. (Q. Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno).

E questa è una prova che sta tutta davanti al M5s.


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