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La resa

Nel suo lodevole, e a volte subliminale, sforzo di aiutare il sì al referendum di Renzi, ieri Michele Serra se la prendeva dall’alto della sua Amaca domenicale con l’insigne cattolico Raniero La Valle il quale sull’oggetto in questione aveva espresso questa semplice opinione: “La Costituzione renziana è il punto di arrivo di una restaurazione il cui fulcro consiste nel trasferire la sovranità del popolo ai mercati”.

Michele Serra
Michele Serra

Il disilluso Michele non contesta l’affermazione dell’insigne vegliardo ma dice solo che non c’era bisogno di Boschi-Renzi per “raggiungere un obiettivo già ampiamente realizzato ben prima che Renzi andasse al governo, e quasi prima che nascesse”. A dispetto, aggiunge, “di una moltitudine di altre persone, tra le quali mi annovero: politicamente parlando, una moltitudine di sconfitti….secondo la celebre battuta che recita, a bocce ferme, ‘la lotta di classe c’è stata davvero, e l’ha vinta il capitale’ ”. Per cui “Perdere non è disonorevole, se ci si è battuti con coraggio”. Poi il nostro conclude con l’affondo: “Quello che non mi convince, nel profondo, nella campagna per il No è che imputa alla post-politica dei nostri tempi le sconfitte e le inadempienze che furono della veteropolitica, e a un gruppetto di trenta-quarantenni la responsabilità di quanto già ampiamente accaduto”.

Ora è vero quel che dice Serra. Il Capitale, diciamo così, nell’era della globalizzazione neoliberista non solo ha vinto ma ha prodotto un vero e proprio sfondamento sociale, almeno là dove era stato nel “trentennio glorioso” contenuto e condizionato. Ma se è così perché il medesimo Capitale – vedi la Banca J.P. Morgan e i potentati domestici dalla Confindustria in giù e in su – chiede pressantemente di modificare le costituzioni che, come la nostra, portano dentro di sé le nefaste influenze delle idee socialiste? Se lor signori hanno già vinto di fatto, a che pro insistere per codificare il trionfo ope legis tramite gli odierni trenta-quaratenni? Forse perché pensano che gli sconfitti, non quelli di ieri ma quelli di oggi – per esempio la moltitudine dei giovani precari o i poveri in crescita o il ceto medio destabilizzato e depauperizzato – potrebbero avvalersi della nostra Costituzione come punto di appoggio per organizzare una qualche resistenza efficace, una qualche controffensiva riappropriatrice di diritti e di potere democratico? E non sarebbe giusto, bello e generoso che i veterosconfitti aiutassero in questa impresa le nuove generazioni?
Dice Serra che “Perdere non è disonorevole se ci si è battuti con coraggio”.

Certamente si riferiva a chi fu sconfitto dal fascismo, a quella classe dirigente politica, soprattutto di sinistra, comunisti, socialisti, azionisti, anarchici che – almeno quelli che si salvarono dalla mattanza squadrista pagata dagli agrari e dagli industriali – dopo essersi battuti coraggiosamente presero la via dell’esilio, del confino, del carcere e non cessarono di combattere. Perché quelli della veteropolitica dirigente, suoi coetanei, invece, che sono stati sconfitti dalla rivoluzione neoliberista non pare che abbiano avuto simile rio destino, forse proprio perché più che battersi coraggiosamente si sono acconciati, collaborando con l’aborrito Capitale di una volta, più o meno attivamente, nei salotti televisivi, nei giornali, nei partiti, nelle istituzioni, ottenendo in cambio solide prebende. Per dirla più soavemente con il caro Michele si sono limitati a essere “inadempienti”, altro che coraggiosi.

Il fatto è che la vittoria del Capitale, per seguire il ragionamento di Serra, si è compiuta oltre che nelle basi sociali anche nella mente della maggior parte della classe politica di sinistra erede sperperatrice del patrimonio comune accumulato dai padri e dai nonni. Solo il portafoglio personale si è salvato. Per questi qui, il sì al referendum costituzionale ha un che di liberatorio dalla loro cattiva coscienza, quasi uno sciogliere in modo definitivo quei legami che ancora erano costretti a esibire senza crederci più fin dai tempi di Berlusconi. In fondo Renzi, per loro, più che un innovatore è un liberatore.

Quel che Serra propone, perciò, non è il prendere atto di una sconfitta già avvenuta nel passato, ma operare una resa definitiva nel presente.


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