

Secondo i primi risultati dell'autopsia, la 58enne è stata colpita mentre dormiva o quando era stordita, ma su questo aspetto si attendono ancora gli esami tossicologici
Una villetta a Fregene, un sonno che doveva essere come tanti. Ma quella notte Stefania Camboni non si è più svegliata.
È stata uccisa con 34 coltellate, un’esecuzione feroce. Ora, a quasi un mese dal delitto che ha sconvolto il litorale romano, emergono nuovi elementi destinati a scuotere il già fragile impianto accusatorio.
Secondo i primi risultati dell’autopsia, la 58enne è stata colpita mentre dormiva o quando era stordita – ma su questo aspetto si attendono ancora gli esami tossicologici.
Per la sua morte è stata arrestata Giada Crescenzi, 31 anni, compagna del figlio della vittima, Francesco Violoni, e coinquilina della donna. Ma – ed è un ma pesante – sul corpo di Stefania non c’è traccia di Giada.
Nessun frammento di sudore, saliva, sangue. Nulla che colleghi direttamente Crescenzi alla scena del crimine. Tuttavia, questo non basta a scagionarla.
Il giudice per le indagini preliminari, Viviana Petrocelli, nell’ordinanza che ha portato Giada in carcere, parla chiaro: “Non si può escludere che abbia agito in concorso con altri, ancora ignoti”. Una frase che apre a nuovi scenari, forse a nuovi protagonisti.
Restano però gli indizi: le ricerche sospette su Google, la presenza in casa al momento del delitto (Violoni era al lavoro), e un comportamento giudicato ambiguo.
Ma il colpo di scena è arrivato con il ritrovamento del coltello e dei guanti potenzialmente usati nel delitto. È su di essi che ora si concentra l’interesse degli inquirenti e dei consulenti, come il generale Luciano Garofano, ex comandante dei RIS, oggi al fianco della famiglia Violoni.
“Siamo ancora nella fase in cui servono cautela e analisi approfondite”, dice l’avvocato Massimiliano Gabrielli, legale della famiglia insieme a Alessandra Guarini. “Il dna sul corpo è solo una parte del quadro. Ci sono impronte, residui, tracce nella casa e nell’auto della vittima che devono ancora essere interpretate. Noi vogliamo solo una cosa: conoscere la verità”.
Intanto, nel registro degli indagati è finito anche Francesco Violoni, un atto definito “prudenziale” dalla Procura, utile a garantire il massimo raggio d’indagine dopo il ritrovamento dei reperti.
Un puzzle oscuro, in cui mancano ancora troppe tessere. Un delitto domestico che si è trasformato in un thriller giudiziario, dove ogni nuovo dettaglio sembra sollevare più dubbi che certezze.
Le risposte, per ora, restano nascoste tra le pareti silenziose di quella villetta a Fregene.
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