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I prigionieri di guerra austroungarici in Italia

Durante la Grande Guerra tutti i Paesi belligeranti si pongono il problema dell’assistenza delle centinaia di migliaia di soldati nemici catturati.

Pochi anni prima dello scoppio del conflitto, il 18 ottobre 1907 è firmata a L’Aja (Olanda) la Convenzione per il miglioramento della sorte dei prigionieri nella guerra terrestre e nella guerra marittima, allo scopo di assicurare un trattamento umano e dignitoso ai prigionieri, non solo riguardo al vitto, all’alloggio ed all’assistenza sanitaria, ma anche all’assistenza religiosa ed alla corrispondenza con le famiglie. Infatti, nelle guerre precedenti, i soldati erano alla mercé dei nemici che li avevano catturati.

Appare subito chiaro che la Grande Guerra è un conflitto molto diverso dai precedenti sotto tanti aspetti, non solo per l’uso di nuove armi molto distruttive (i fucili a ripetizione, le mitragliatrici, i carri armati, i lanciafiamme, gli aerei, i gas asfissianti …), ma anche, e soprattutto, per le modalità di conduzione del conflitto, che da “guerra di movimento” diventa, ben presto, una “guerra di posizione”, con milioni di soldati schierati nelle trincee realizzate per centinaia di km, ai confini tra i Paesi belligeranti,  a poche decine di metri le une dalle altre.

Inoltre si continuano a seguire le vecchie strategie militari degli “scontri” tra gli Eserciti, però non più con gli “scontri frontali” tra gli opposti schieramenti, ma con l’assalto, con il fucile e la baionetta, di molte migliaia di soldati contro le trincee nemiche, dove sono posizionate le mitragliatrici che “falciano” i soldati come spighe di grano durante la mietitura.

I cruenti combattimenti provocano, oltre a migliaia di morti in pochi minuti, anche migliaia di prigionieri, che devono essere “assistiti e nutriti” dai nemici che li hanno catturati, in base alla Convenzione de L’Aja del 1907.

Con l’ingresso in guerra del nostro Paese, dopo un periodo di neutralità, il 24 maggio 1915, i Vertici Militari si pongono il problema dell’assistenza dei soldati nemici catturati. Così, nel giugno 1915, è istituita la Commissione prigionieri di guerra, guidata dal generale Paolo Spingardi. All’inizio si dispone che i prigionieri nemici devono essere avviati nella fortezza settecentesca di Alessandria, che è stata sistemata alla meglio per accoglierli.

In seguito sono individuati altri edifici nei quali realizzare i luoghi di prigionia per i nemici catturati. Si tratta in genere di caserme, di edifici abbandonati, come i conventi e gli ospedali non più in uso, che pertanto devono essere ristrutturati per renderli funzionali alla nuova destinazione.

La Commissione individua anche dei luoghi nei quali costruire nuovi Campi di prigionia, con edifici in muratura o baracche di legno o semplicemente degli attendamenti.

Al riguardo, la Commissione assegna ad ognuno degli otto Corpi di Armata, in cui è suddiviso in tempo di pace il territorio nazionale (che diventano Armate durante il conflitto) un territorio di riferimento, dove inviare i nemici catturati.

La Commissione stabilisce che i luoghi scelti per costruire i Campi di Prigionia devono (avere le seguenti caratteristiche: devono) essere «fuori della zona di guerra, in terreno pianeggiante, in plaga salubre e ben fornita di acqua, lontana da centri industriali e facilmente sorvegliabile».

Per i militari, essere assegnati al servizio di un Campo di prigionia è un “posto ambito” perché si sta lontano dal fronte e dai pericoli della guerra. Però qualche Ufficiale, soprattutto se Comandante di Reparto, non ci vuole andare perché perde l’indennità di guerra.

I primi prigionieri austroungarici giungono in Italia all’inizio del 1916, dopo la disfatta della Serbia, in seguito alla offensiva austro-tedesca dell’ottobre 1915. Infatti, i soldati serbi sconfitti si ritirano verso le coste dell’Albania, portando con loro circa 24.000 prigionieri austroungarici, che sono “falcidiati“, durante il viaggio a piedi, durato oltre due mesi, e sotto avverse condizioni meteorologiche, dalle epidemie  (soprattutto colera) e dalla persistente denutrizione. Pertanto, solo una parte dei prigionieri raggiungono i porti albanesi di Valona e di Durazzo. Altri periscono sulle navi che li portano nei porti di Taranto e di Brindisi e molti altri ancora durante il  successivo viaggio via mare fino all’isola dell’Asinara (Sardegna), dove giunge appena un quarto dei prigionieri.

Il Generale Spingardi, Presidente della Commissione, si pone subito il problema dell’utilizzo dei prigionieri di guerra, che, secondo l’art. 6 della Convenzione de L’Aja del 1907, possono lavorare, se lo vogliono, ma devono essere «pagati con la stessa tariffa in vigore per i militari dell’Esercito nazionale che dovessero eseguire gli stessi lavori». Pertanto, nel luglio 1915 chiede chiarimenti al Governo per sapere in quali Servizi possono essere impiegati, sia all’interno che all’esterno dei Campi. Al riguardo il Governo decide nell’estate 1916 che i prigionieri possono essere impiegati nei lavori agricoli. In seguito dispone che i prigionieri possono essere impiegati anche in altri lavori.

Nel corso del 1916 sono realizzati un centinaio di Campi di prigionia, molti costruiti ex novo, dove arrivano decine di migliaia di prigionieri austroungarici, che all’inizio del 1917 sono circa 80.000.

Nel marzo 1917 il Ministero della Guerra, con una Circolare, dispone l’obbligo dell’assicurazione per gli infortuni e la morte per i prigionieri che lavorano, che sono circa 20.000 e svolgono soprattutto l’attività di agricoltori, muratori, falegnami, sarti.

Coloro che lavorano all’esterno del Campo, come agricoltori, nelle aziende agricole private,  e come muratori, nei cantieri edili, sono accompagnati dai nostri soldati, ma molti, in seguito, sono autorizzati a recarsi da soli al lavoro. Infatti, la motivazione alla fuga è in loro quasi assente, essenzialmente per tre motivi: innanzitutto il luogo di reclusione è molto lontano dal confine con l’Austria, che peraltro è impossibile da superare; poi i prigionieri non vogliono ritornare a casa per essere nuovamente mandati a combattere, ed a morire, al fronte; infine hanno in genere un buon rapporto con la popolazione locale e con i datori di lavoro.

Per questi motivi molti prigionieri gravemente feriti (i cosiddetti grands blessès) rifiutano di tornare in patria, con lo “scambio” dei prigionieri, previsto dalla Convenzione de L’Aja del 1907.

I prigionieri che lavorano all’interno dei Campi, svolgono soprattutto l’attività di falegnami e di sarti, in appositi laboratori.

I prigionieri austroungarici sono divisi in due gruppi: quelli tedeschi (gli austriaci e gli ungheresi) e gli slavi (i polacchi, i boemi, gli slovacchi, i cechi, i croati).

I nostri Comandi Militari riescono a convincere circa 25.000 prigionieri a combattere contro gli Austriaci, costituendo appositi Reparti. Prima è costituita una Legione, poi una Divisione Cecoslovacca, comandata dal generale Andrea Graziani (il “generale  fucilatore”), che  combatte sulla “linea del Piave” nel 1918.

È anche costituita una Legione rumena.

Nell’estate 1918 si diffonde la tremenda epidemia “spagnola”, che causa alcuni milioni di morti in tutta l’Europa (ed almeno 500.000 in Italia) e che si diffonde velocemente soprattutto nelle grandi concentrazioni di persone, come al fronte, nelle trincee, e nei Campi di prigionia.

In seguito alla nostra vittoriosa “battaglia di Vittorio Veneto”, che costringe l’Austria a firmare l’Armistizio di Villa Giusti (Padova), sono catturati circa 415.000 soldati  e 10.650 Ufficiali austroungarici, che sono inviati nei Campi di prigionia in tutta Italia.

I prigionieri austroungarici sono rimpatriati, lentamente, dall’inizio del 1919.

 

Giorgio Giannini


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