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La storia e la vita di Giuseppe Dosi, da teatrante trasformista a poliziotto non comune

Una storia  che poteva essere la trama di un Giallo, ma è stata realtà 

“In ogni istante della nostra vita noi siamo ciò che saremo non meno di ciò che siamo stati” (Oscar Fingal O’ Flahertie Wills Wild, scrittore e drammaturgo irlandese)

Le righe che leggerete ricordano una vita – quella di Giuseppe Dosi, attore, trasformista, Commissario di Polizia, scrittore e Agente segreto – e la raccontano. Ma – come leggerete – raccontano anche, in parte, molte altre vite che con quella di Dosi nel bene e nel male, come si dice, si sono intrecciate; insieme alla vita della mia città, Roma. Forse, l’ho fatta troppo lunga, ma questo pezzo di Storia e le storie che lo compongono e che qui conoscerete, credo, meritassero questa lunghezza. Vi ringrazio dunque, fin d’ora, se vorrete arrivare all’ultima riga di questo scritto.

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Leopoldo Fregoli (1867-1936) è stato considerato il più grande attore fantasista e trasformista italiano di tutti i tempi poiché riusciva, in pochi secondi, appunto a trasformarsi ,cambiando l’aspetto e la caratterizzazione del personaggio che stava interpretando sul palcoscenico.

Questa sua capacità era talmente nota da diventare proverbiale. e il suo cognome sinonimo di velocità: a Roma si diceva, infatti, “Ma che sei Fregoli?”, per indicare qualcuno assai svelto nel fare le cose.

Ma a Roma, negli stessi anni in cui Fregoli furoreggiava nei Teatri della Capitale, c’era anche un altro trasformista meno noto. Si chiamava Giuseppe Dosi (1891-1981) e la Storia lo ricorda maggiormente per un’altra delle sue doti, quella dell’investigazione.

La Storia lo conoscerà, infatti, come uno dei migliori poliziotti (dirigerà la Sezione italiana dell’INTERPOL) che l’Italia abbia mai potuto vantare, a livello internazionale, anche se la sua vita, tra alti e bassi, disavventure e disgrazie, sarebbe stata certamente degna di più di un Romanzo del Genere letterario cosiddetto “Giallo”

E’ il 1910 e Dosi lavora come figurante generico al Teatro Argentina, di Roma per cinque Lire al giorno ed è su quel palcoscenico che, in alcune apparizioni, cambia velocemente abbigliamento e personaggio e si trasforma palesando una dote non comune che gli sarà molto utile per il futuro che lo attende.

Il giovane Dosi sembra dunque lanciato nel campo teatrale, ma il destino decide altrimenti. Infatti, la sua Compagnia è scritturata per una tournèe in America del Nord e lui – che non può lasciare sola la madre anziana – la lascia.

Dunque, dovendo trovare un impiego sicuro, comincia a frequentare i Corsi di Criminologia del Professor Salvatore Ottolenghi, allievo di Lombroso e padre della Criminologia italiana. Questi Corsi mettono Dosi in contatto con i metodi della moderna Polizia Scientifica a cui lui unisce le sue doti, innaste, di trasformista e di investigatore.

A questo punto si produce la prima svolta nella vita di Giuseppe Dosi. Spinto da un’Assistente di Ottolenghi, Giovanni Gatti a partecipare al Concorso di “Alunno Delegato di Polizia”, Dosi – è il 1913 –si classifica terzo su cento vincitori diventando così un Delegato della Polizia Regia. Mentre entra nei ranghi della Regia Pubblica Sicurezza, in Italia cominciano a manifestarsi i primo Movimenti polittici – quello socialista, quello anarchico e poi, nel 1921, quello comunista –  che si richiamano esplicitamente alla Rivoluzione di Ottobre del 1917 in Russia, A questo punto le doti di Dosi fanno molto comodo al Governo nella lotta al sovversivismo e lui viene inviato in missione all’estero (prima Vienna, poi Berlino).

Ma a questo punto arriva la seconda svolta della sua vita e il suo nome s’incrocia con quello, molto più famoso di Gabriele D’Annunzio. Il 13 Agosto del 1922, D’Annunzio ha un incidente che appare sospetto e Dosi viene inviato nella residenza del Poe4ta ad investigare.

Il Vate, l’”incidente” e il Poliziotto, ovvero il “Volo dell’Arcangelo”

Il 15 Agosto del 1922, Francesco Saverio Nitti, all’epoca ex Capo del Governo, Benito Mussolini, astro nascente della politica italiana e Capo del Movimento fascista, e Gabriele D’Annunzio, Poeta, militare e uomo famoso, per il “Volo su Vienna” (9 Agosto 1918) e l’Impresa di Fiume (12 Settembre 1919 – 27 Dicembre 1920) avrebbero dovuto incontrarsi, ma due giorni prima D’Annunzio aveva avuto un incidente, rischiando di morire.  Cosa era accaduto?

D’Annunzio era caduto da una finestra del Vittoriale (per la verità ancora Villa Cargnacco a Gardone Riviera) dove viveva, al momento in compagnia di due gentili fanciulle, le sorelle Baccara, entrambe sue amanti, e subito – poiché il Poeta, con la sua fama, rischiava di oscurare quella di Mussolini che era ad un passo dalla cosiddetta “Marcia su Roma” – si pensò ad un attentato, orchestrato dai fascisti per mettere fuori gioco il Poeta–soldato di Vienna e di Fiume,

Essendo, dunque, quello un Affare di Polizia e insieme un fatto politico di rilevanza nazionale, Giuseppe Dosi venne mandato ad investigare. Lui – ottimo trasformista e conoscitore di diverse lingue straniere – si finge allora un esule cecoslovacco, zoppo e con la passione per la pittura, si introduce così a Gardone, nel Vittoriale, e scoprì la verità su quello che – in seguito – sarà  noto come il “Volo dell’Arcangelo”.

D’Annunzio, quella sera, stava ascoltando della musica suonata per lui da Luisa Baccara. Era appoggiato ad una finestra e vicino a sé aveva la sorella della pianista, la giovane Jolanda. La caduta del poeta fu causata, senza alcun dubbio per Dosi, da una mezza spinta datagli da una delle Baccara, o Jolanda per opporsi a qualche avance o Luisa intervenuta per gelosia. D’Annunzio era un noto seduttore (oggi, con un po’ di coraggio, lo si potrebbe definire un ”molestatore seriale”) e dunque la caduta, che poteva costargli la vita, a quel suo vizietto fu dovuta. Scoperta la causa di quel volo fu lo stesso Dosi a consigliare, però, ai suoi Superiori che sul fatto si stendesse un velo.

Quando Dosi relaziona su quella missione è il 4 Ottobre del 1922 e mancano pochi giorni alla “Marcia su Roma”. Questa sua missione, che aveva “salvato” l’onore politico di Benito Mussolini da un’accusa infamante, gli fa guadagnare punti, come diremmo oggi, nel ranking del regime mussoliniano ed è allora che Aldo Finzifascista della prima ora e fedelissimo del duce, quando sarà nominato Sottosegretario al Ministero degli Interni, lo vorrà come collaboratore al Ministero.

Nota: va ricordato che Aldo Finzi – che aveva partecipato al famoso Volo su Vienna di D’Annunzio; era stato uno squadrista fascista della prima ora estremamente feroce ed era coinvolto nel delitto Matteotti –  in quanto ebreo – ma anche perché era stato contrario alle Leggi razziali del ’38 e all’entrata in guerra dell’Italia e per questo era stato confinato ad Ustica, alle Tremiti e a Larciano e, dopo essere stato espulso dal PNF, nel 1942 – nel Marzo del 1944, si trovava detenuto a Regina Coeli, in quanto accusato di simpatie partigiane e sarà inserito nella Lista Kappler-Caruso  e sarà  ammazzato, il 24 Marzo del 1944 alle Cave Ardeatine di Roma, con gli altri 334 condannati a morte dai nazifascisti occupanti, per rappresaglia contro l’attentato partigiano di Via Rasella, del giorno precedente. I suoi resti riposano nel Sacello N.124 del Mausoleo Militare delle Ardeatine.

Sale dunque la considerazione che la Polizia – e di converso il regime fascista che ormai e al potere – hanno verso il Poliziotto Giuseppe Dosi e questa considerazione si accrescerà quando Dosi – che era stato mandato in missione a Berna, per verificare se fosse vera la voce che voleva alcuni anarchici svizzeri pronti a pubblicare documenti compromettenti su Mussolini – accerta che sì, quei documenti esistono, ma sono conservati in una cassaforte della Polizia elvetica. A consolidare poi i successi di Dosi arriva un altro fatto eclatante. Il 4 Novembre 1925, Dosi sventa – arrestando il colpevole, il socialista Tito Zaniboni che vuole così vendicare l’assassinio di Giacomo Matteotti – un attentato al duce, diventando, di fatto, il primo Poliziotto d’Italia. Due anni dopo, nella Polizia fascista inizia l’era di Arturo Bocchini, fedelissimo di Mussolini, che nomina Dosi Commissario per meriti speciali.

Ma ecco che il destino imprime alla vita del Commissario Giuseppe Dosi ancora una svolta. Tra il 1924 ed il 1927, a Roma, avvengono quattro delitti raccapriccianti. Con identiche modalità quattro bambini sono violentate e uccise nei pressi della cosiddetta “Spina di Borgo” e i delitti gettano nell’angoscia tutti i romani.

Mussolini e la “Spina di Borgo”

La demolizione della cosiddetta “Spina di Borgo”, esistente tra il Borgo Vecchio e quello Nuovo, avviata da Benito Mussolini con una picconata il 29 Ottobre 1936, e l’apertura di Via della Conciliazione hanno lasciato una traccia tangibile del superamento del dissidio tra Stato Italiano e Chiesa di Roma, grazie ai Patti Lateranensi del 1929, modificando la visuale del Vaticano anche sotto il profilo simbolico. La Via della Conciliazione unisce, infatti, due importanti luoghi romani: San Pietro, il  centro della cristianità e Castel Sant’Angelo, il simbolo della Roma imperiale.

Per unire, però davvero Stato e Chiesa e in qualche modo “sanare” il vulnus della “Breccia di Porta Pia” del Settembre del 1870, bisognava distruggere e questo hanno fatto Mussolini e il fascismo, distruggendo non solo le case e le botteghe artigiane e commerciali che, nel tempo, erano sorte intorno a San Pietro e alla Sede della Curia romana, ma anche il tessuto sociale che quell’agglomerato urbano conteneva e faceva vivere. Anche questo è stato il fascismo.

La Polizia arresta, grazie ad una soffiata, quello che ritiene essere l’autore dei quattro delitti. E’ romano, si chiama Gino Girolmoni e per campare fa il fotografo. La Polizia lo arresta senza prove  e lo sbatte in prima pagina, ma nel 1928 la Magistratura lo assolve dalle accuse ritenendolo estraneo ai fatti contestategli e lo scarcera.

In quel periodo Dosi è a Capri, dove  è stato inviato per indagare su di un giro di omosessuali, soprattutto  turisti, denunciato sull’Isola delle Sirene. Mentre indaga Dosì apprende che sull’Isola è stato fermato dalla Polizia un Pastore protestante anglicano, tale Ralph Lyonel Bridges (1856-1946) mentre sta molestando una bambina. Questo fatto convince Dosi – che non aveva creduto alla colpevolezza di Gino Girolimoni – che il killer delle quattro bambine romane è proprio il sacerdote protestante inglese.

Nonostante Bocchini gli ordinasse di smettere di indagare e la Polizia politica fascista fosse assai irritata per la figuraccia che Dosi aveva fatto conoscere con un suo intervento, il Commissario continua le indagini e riesce a far arrestare il Sacerdote anglicano mentre, a bordo di una nave, sta per lasciare l’Italia.

Il fascismo – e Bocchini per primo – non vogliono però riaprire il caso così il Sacerdote è rinchiuso nel Manicomio romano di Santa Maria della Pieta e non appena le acque si calmano viene fatto espatriare.

“Ma che sei Girolimoni”ovvero quando la lingua italiana si incontra con la cronaca, nera, anzi nerissima

Sul caso del fotografo romano accusato di essere il killer delle quattro bambine violentate e poi uccise, il regista Damiano Damiani gira, nel 1972, il film intitolato “Girolimoni, il Mostro di Roma”, con Nino Manfredi nella parte del presunto killer di bambine. Il Film riportò alla luce quello scottante caso di cronaca nera per il quale il cognome del fotografo romano, poi scagionato da ogni accusa, era diventato sinonimo di violentatore di ragazzine, si diceva, infatti – anche per scherzo – “Ma che sei Girolimoni”.

A quel punto della storia del Primo Commissario d’Italia, la ruota delle Fortuna di Giuseppe Dosi si ferma di colpo e poi comincia a girare al contrario. Per un lungo decennio, considerato un elemento difficilmente controllabile quasi una “scheggia impazzita”, Dosì è emarginato e relegato ad incarichi secondari e dunque inoffensivi per il regime che ha calcato e sta calcando la mano sull’aspetto politico dell’azione della Polizia, a scapito di quello investigativo e scientifico. Ma il Commissario non molla e continua – anche se da lontano -a lavorare ad inchieste importanti, come quella sul serial Killer Cesare Serviatti (1880-1933) famoso per avere ucciso diverse donne i cui corpi sezionava e faceva poi viaggiare sui treni, dentro a grosse valige. Sarà proprio Dosi a farlo arrestare.

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Dosi, emarginato scalpita e si annoia. Dunque comincia a scrivere: scrive una Commedia, “L’Aurora”, inneggiante al fascismo e rappresentata nel 1934; scrive diversi Romanzi Gialli, ispirati a casi reali, scrive le sue Memorie e raccontando i fatti come erano  realmente accaduti, irrita fortemente non solo Bocchini, ma anche il duce. E mal gliene incoglie perché viene convocato a Roma, arrestato, radiato dai Ruoli della Polizia e ristretto nella Cella N.404, del III Braccio di Regina Coeli, il Braccio dei detenuti politici, che anche lui aveva contributo a far finire li dentro. È il 19 Giugno del 1929.

Se non è pazzo, confino”

Nella sua ricerca di Giustizia, condita però da una forte dose di personalismo, Giuseppe Dosi manda le sue Memorie direttamente a Musolini, scavalcando Arturo Bocchini. E Bocchini – che tutto era fuorché uno tenero con i suoi nemici e con quelli che riteneva pericolosi per sé e per il fascismo – scrive di suo pugno, su di un Pro-Memoria avente per oggetto proprio Dosi, la seguente Nota; “Farlo visitare da uno Psichiatra, se non è pazzo, confino per cinque anni, Isola.”.

E la Nota di Bocchini a margine a quel Pro-Memoria, di cui avete letto, si trasforma presto in una tremenda realtà. Dosi viene visitato dal Professor Filippo Saporito, un Luminare della Psichiatria italiana, che, in quanto Ispettore Ministeriale risponde del suo operato direttamente al Governo, che gli diagnostica una “Sindrome paranoidea con idee persecutorie” e questo fa si che Dosi entri nel Padiglione XVIII del Manicomio romano di Santa Maria della Pieta; il Padiglione dei pazzi criminali (lo stesso in cui era stato ristretto il Pastore anglicano Bridges, violentatore e assassino delle quattro bambine romane); Padiglione in cui si sapeva la data di entrata, ma si ignorava quella d’uscita, legata solo alla decisione del “sistema.manicomiale” che era l’unico a stabilire quando il soggetto era “libero dalla follia” e dunque poteva essere dimesso. È il 21 Settembre del 1939.

Nota: prima che il fascismo trasformasse il Complesso romano di Santa Maria della Pietà in un luogo di detenzione ed internamento, quello era un luogo di cura, senza sbarre e muri. Il fascismo introduce le prime ed i secondi e trasforma non solo quel luogo e le regole che lo governano, ma la logica stessa dell’internamento in quel luogo, indurendolo oltre misura. Li dentro, le parole “cura” e “diritti” non avranno accesso per tutto il tempo del fascismo e anche dopo, per molti anni,

Dosi passa al Padiglione XVIII del Santa Maria della Pietà 17 lunghi mesi e resiste all’annientamento psicofisico per il quale quel luogo infernale era stato creato. Nel frattempo, due eventi cambiano ancora la sua vita: Nel Giugno del 1940, l’Italia entra in guerra al fianco della Germania e nel Novembre di quell’anno Arturo Bocchini muore all’improvviso. Così – morto il suo avversario – Dosi viene liberato ed esce dal Manicomio romano.

Io ci sono”, ovvero la resilienza versus l’annientamento

Della permanenza di Giuseppe Dosi nel Padiglione XVIII del Santa Maria della Pietà, tra le altre cose, si conserva un suo disegno. Il disegno ritrae la mensa del Padiglione e tutti i reclusi in divisa seduti per il pranzo. Tra loro ce n’è uno che non indossa la divisa, ma uno sgargiante maglione rosso. È Dosi che così dice: “Io ci sono, mi vedete?” . E così mostra la sua resilienza a quell’Istituzione manicomiale creata per annientare ogni resistenza umana.

Non avendo più motivo di dubitare di Dosi, il regime fascista lo piazza all’EIAR, l’Ente radiofonico italiano, dove le sue doti poliziesche sono impiegate – come Responsabile della Sicurezza Interna – in funzione di controllo del Personale, funzione importante data la guerra che da qualche mese vede impegnata anche l’Italia. Passano gli anni e arriva l’8 Settembre del 1943 con l’Armistizio e la nascita della Repubblica Sociale Italiana. I dipendenti dell’EIAR – come molti dipendenti pubblici – si trasferiscono al Nord, ma Dosi preferisce dimettersi per non ottemperare all’ordine di trasferimento e attendere gli eventi a Roma.

A questo punto della sua storia, ancora due eventi importanti cambiano la vita di Giuseppe Dosi. Il primo dura nove mesi e si tratta dell’occupazione nazifascista di Roma. Il secondo dura un giorno, il 4 Giugno del 1944, e si tratta della liberazione della città da parte degli americani.

Tra questi due estremi stanno i 271 giorni in cui “era notte a Roma” con l’occupazione nazifascista, la lotta partigianaVia Tasso, Via Rasella, le fucilazioni di partigiani a Forte Bravetta e la strage delle Ardeatine.

Quel 4 Giugno del ’44mentre i tedeschi lasciano Roma, compiendo l’ultima strage dei 14 Partigiani, prelevati a Via Tasso e assassinati in Località La Storta, Dosi, che abita nei pressi di Via Tasso, quel giorno assiste al saccheggio del Carcere tedesco, da parte della popolazione inferocita e alla liberazione degli ultimi prigionieri politici lì ancora ristretti.

Suppellettili, mobili  e faldoni pieni di documenti vengono gettati dalle finestre del Palazzo e Dosì – che ne comprende subito l’importanza – salva dalla distruzione molti di quei Documenti che facevano parte dell’Archivio d’Ufficio di Herbert Kappler.

Dosi che – compresa l’importanza di quei Documenti ne aveva fatto un Volumetto (oggi lo chiameremmo un ”Instant Book”) intitolato “Via Tasso” e distribuito nelle Edicole romane – consegnerà poi quei Documenti agli americani e la sua vita ha l’ennesima svolta. Infatti, gli alleati gli fanno catalogare quei Documenti e schedare uomini e fatti della polizia fascista che lui conosce assai bene.

Dosì diventa così, a tutti gli effetti, un Funzionario del Controspionaggio americano e nel frattempo viene reintegrato nei ranghi della Pubblica Sicurezza: la “guerra fredda” è appena iniziata e gente esperta come lui è assai utile.

Passano gli anni, la criminalità esce dai confini nazionali e si internazionalizza. Così Giuseppe Dosi diventa il capo della Sezione Italiana dell’INTERPOL, Organizzazione di Polizia Internazionale che era stata fondata a Vienna, il 7 Settembre del 192, iniziando una nuova carriera all’interno della Polizia non solo italiana. Giuseppe Dosi morirà a Sabaudia (Roma) il 5 Febbraio del 1981.

 


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