Memoria degli scomparsi: dare un nome a chi l’ha perduto

Il LABANOF (Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense, dell'Università) di Milano, un’eccellenza scientifica italiana

“Solo il nome giusto dà a tutte le creature e a tutte le cose la loro realtà. Il nome sbagliato rende tutto irreale. Questo è ciò che fa la menzogna.” (Michael Ende, scrittore tedesco, 1929-1995)

Nelle antiche tradizioni greche e latine era forte il rispetto per i morti. I loro corpi – come ci ricordano spesso i versi di Omero – andavano seppelliti e seppelliti con il loro nome, perché si potesse concludere degnamente il loro ciclo terreno e, nel contempo, ne fosse duraturo il ricordo. Se con la Nostra Memoria facciamo un salto temporale all’indietro e andiamo, a Roma e al 24 Marzo del 1944, 199 giorno dell’occupazione nazifascista della città, troviamo la strage delle Cave Ardeatine con i suoi 335 morti innocenti, assassinati con un colpo alla nuca perché antifascisti.

Bene, qualche mese dopo, a città liberata dagli alleati, il Professor Attilio Ascarelli – Anatomopatologo di vaglia che in quella strage aveva perso due nipoti – inizia il disseppellimento di quei poveri resti e il loro esame, non solo autoptico, teso a dare un nome ed un cognome al maggior numero possibile di quei corpi, al fine di permetterne l’identificazione e, nel contempo, dare ai parenti la possibilità di piangere la loro perdita e di dare al loro congiunto una degna sepoltura,  così’ da chiudere, per così dire, il cerchio del loro lutto e permettere che di quel corpo – contrassegnato con il suo nome e cognome giusto – potesse essere fatta degna e doverosa Memoria. Nei 271 giorni di occupazione nazifascista di Roma, molti altri ancora saranno i morti senza nome che la città dovrà piangere. Per diverse decine di loro sarà però possibile l’identificazione, grazie si dipendenti del Cimitero Monumentale romano del Verano che utilizzeranno un metodo di localizzazione e classificazione dei cadaveri non dissimile da quello utilizzato dal Professor Ascarelli 

Memoria: la Resistenza silenziosa dei lavoratori del Cimitero del Verano

Una pagina importante – e poco nota – della Resistenza romana è stata scritta, durante tutti i nove mesi dell’occupazione nazifascista della città, dai lavoratori del Cimitero Monumentale del Verano. Tedeschi e fascisti operarono, infatti, con maniacale precisione, per occultare sistematicamente le salme dei Partigiani e degli antifascisti fucilati nei vari Forti di Roma, uccisi nei luoghi di tortura, in azioni di rastrellamento o, come diversi cittadini comuni sprovvisti dei documenti, dalle pattuglie militari durante il coprifuoco.

Questo loro agire aveva lo scopo d’impedire l’identificazione delle salme ed anche di fare in modo che i riti funebri non si trasformassero, di volta in volta, in manifestazioni di aperta ostilità e rivolta contro gli occupanti. I corpi dei fucilati e degli altri assassinati venivano dunque sepolti al Cimitero Monumentale del Verano tutti, rigorosamente in modo anonimo e in fosse comuni profonde il doppio del normale, per rendere difficili anche possibili ed occasionali ritrovamenti in caso di ulteriori sepolture. Durante queste operazioni gli operai e gli impiegati del Cimitero venivano segregati negli Uffici e con cura veniva cancellata dai Registri ogni traccia della tumulazione.

La scoperta e l’identificazione delle salme fu possibile, dopo la liberazione della città, solo grazie all’Organizzazione antinazifascista dei lavoratori del Cimitero romano, molti dei quali erano comunisti, socialisti o legati comunque alla Resistenza. Dopo ogni sepoltura operata dai tedeschi e dai fascisti questi lavoratori, correndo gravi rischi personali, setacciavano, infatti, il Cimitero alla ricerca di qualsiasi indizio, scavavano le fosse che così venivano scoperte e, una volta rinvenuti i cadaveri, registravano il luogo del rinvenimento all’interno del Cimitero ed una sommaria descrizione della salma (vestiti, oggetti, tratti, del volto o qualsiasi altro elemento – fisico e non – utile per il riconoscimento), in una sorta di schedario clandestino per poi ricoprire accuratamente le fosse. Alcune volte, anche durante l’occupazione e sempre all’insaputa dei nazifascisti, tramite le Organizzazioni antifasciste dei Quartieri, i lavoratori del Verano riuscivano a far partecipare a queste operazioni i parenti delle vittime o i compagni loro più vicini.

Il metodo utilizzato da Ascarelli sarà alla base di quello utilizzato, a partire dalla fine degli anni ‘60 del ‘900 e poi in avanti dai componenti della EAAF, l’Equipo Argentino de Antropologia Forense, cha ha lavorato per anni sui luoghi delle fosse comuni di Paesi come l’Argentina, il Perù, la Bolivia e la Colombia, disseppellendo ed identificando centinaia e centinaia di corpi di desaparecidos.

Tutto ciò per arrivare a trattare l’argomento centrale di questa Nota, ovvero il lavoro degli Esperti forensi del Labanof, il Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense, dell’Università di Milano, fondato nel 1995 dalla Professoressa Cristina Cattaneo, Medico e Antropologo di vaglia, con il suo mentore, il Professor Marco Grandi. Nei locali del Labanof, ogni giorno, la Professoressa Cattaneo – coadiuvata da un Team che comprende Medici Legali, Odontologi, Biologi, Archeologi e Antropologi – lavora per restituire un’identità a chi, morendo, l’ha persa.

Il Laboratorio nasce con lo scopo di studiare i resti umani ma, negli anni, abbraccia diverse altre mission, dando alla Medicina Legale un ruolo fondamentale per la società, non solo in quella specifica Branca medica e scientifica. 

Si tratta, infatti, di un’eccellenza scientifica italiana che non solo adempie i compiti propri della sua esistenza come Struttura Specialistica di Medicina Legale ma, con il suo lavoro, rende possibile la restituzione di un’identità alle persone decedute che questa identità hanno perso e l’identità – come è noto – è il quid che ci contraddistingue come persone, differenziandoci gli uni dagli altri e così rendendoci peculiari. (*)

Per conoscere meglio il lavoro degli Esperti del Labanof è possibile utilizzare la radio. Come? Ascoltando qui https://open.spotify.com/show/0TD1dqNRV8JPajLRrqodqQ

 il podcast realizzato da Radio3 per Rai Play Sound. Intitolato “Labanof. Corpi senza nome” è il primo podcast originale prodotto interamente da Radio3. Si tratta di un ascolto particolarmente interessante perché consente agli ascoltatori di entrare in un luogo di solito inaccessibile:

 (*) La Professoressa Cattaneo – oltre ad essere la Direttrice del Labanof – è  Consulente e Coordinatrice delle attività medico legali nell’ambito della patologia forense per il Comune e la Prefettura di Milano; per le vittime di tortura e maltrattamenti tra i richiedenti asilo e minori non accompagnati, nonché per l’Ufficio del Commissario Straordinario per le persone scomparse, per il quale è altresì Consulente per le attività di identificazione dei migranti scomparsi nei naufragi del 3 Ottobre 2013 e del 18 Aprile 2015. La Professoressa Cattaneo è spesso anche nominata Perito Medico Legale di Diversi Tribunali in importanti casi giudiziari come, ad esempio, il caso della piccola Jara Gambirasio.

Alcuni Casi del Labanof

Da una pista di volo:

Nel 2001 un aereo di linea in partenza da Milano e diretto a Copenaghen si scontra con un piccolo jet privato prima del decollo. Quel giorno muoiono 118 persone, tra passeggeri, equipaggio e personale di terra. È il più grave disastro aereo della storia d’Italia. È anche il primo disastro di massa che il team Labanof ha dovuto affrontare. In casi come questo, l’odontologo è uno dei più importanti specialisti sul campo. Al medico Danilo De Angelis il compito di raccontare di quella drammatica volta a Linate.

Da un posto qualunque:

Quando pensiamo a come scoprire l’identità di un corpo senza nome, pensiamo immediatamente al riconoscimento del volto. Ma cosa succede se il volto non c’è o non è più leggibile? Davide Porta è il ricostruttore facciale del Labanof. Sarà lui a spiegare come è stato possibile dare un volto a chi morendo in circostanze ignote, l’ha perso. Perché una delle mission del Labanof è questa: dare un nome agli sconosciuti.

Dal sottosuolo:

Come si procede quando i corpi vengono trovati sottoterra? Quando si scava in una foresta, di notte, per scoprire la verità in un caso di crimine controverso, ogni singolo dettaglio è fondamentale. E lo specialista in questi casi è l’archeologo. Dominic Salsarola racconta il caso delle bestie di Satana, un gruppo di killer che, tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila, ha scritto una delle pagine più scioccanti della cronaca.

Dal passato:

I corpi senza nome vengono anche o soprattutto dal passato. Che siano santi o vittime della Grande Guerra, dare un nome a questi resti può essere decisivo anche a distanza di molti anni. Cristina Cattaneo e il team Labanof spiegano come lavorano sui resti degli ossari, di sepolture antiche e sui corpi di Santi per raccontare la storia del nostro Paese. Pasquale Poppa tecnico del Labanof guida gli ascoltatori in questo viaggio nel passato.

Dal fondo del Mediterraneo:

Nel giugno 2015 una telefonata ha messo il team di Labanof davanti alla sfida più grande mai affrontata:

il naufragio del 18 aprile 2015, tristemente nota come la tragedia del canale di Sicilia, una delle peggiori del Mediterraneo.

A loro il compito di dare un nome a ciascuna delle vittime. Impegnate in questo lavoro di identificazione fin dall’inizio e nella missione che tuttora li vede coinvolti nello studio dei resti e degli effetti personali dei naufraghi, sono due delle antropologhe del Laboratorio, Francesca Magli e Debora Mazzarelli.

E con la tragedia di Melilli, il racconto di un’altra loro battaglia, perché restituire un’identità a tutti i morti sconosciuti, senza distinzione di provenienza, è l’obiettivo. Non solo per ridare loro una dignità, ma soprattutto per offrire risposte a chi resta.

(Fonte:https://www.rai.it/ufficiostampa/assets/template/us-articolo.html?ssiPath=/articoli/2020/11/Radio3-propone–Labanof—Corpi-senza-nome–il-primo-podcast-prodotto-dal-canale-f10ce5bb-dc3d-4ee2).


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