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Memoria femminile: quando nella Repubblica italiana, democratica ed antifascista, celebrare l’8 Marzo era cosa “sospetta”

“Cos’è che fa quel Mario Scelba, con la sua celere questura. Ma i comunisti non han paura e difenderanno la libertà”

Nannarella

Nella notte tra sabato 9 e domenica 10 marzo 2024, qualcuno ha divelto la statua dedicata ad Anna Magnani e collocata in via Pelliccia, a Trastevere. Come dire: “le donne non devono stare in pace, nemmeno in effige”. La statua è stata recuperata dagli Agenti della Polizia Municipale di Roma Capitale e sarà restaurata, prima di essere ricollocata al suo posto, dotandola di un sistema d’allarme.

La Magnani è stata una grande attrice del nostro Cinema, nota per avere interpretato molti personaggi femminili rimasti indelebili nella storia del nostro Cinema, come “L’Onorevole Angelina” nel film omonimo del 1947, diretto da Luigi Zampa o la “Sora Pina” in “Roma Città Aperta” (1944-1945) di Roberto Rossellini.

Al riguardo si racconta che la famosa scena della morte della Sora Pina ad opera di un tedesco (effigiata anche in un francobollo del 1988 dedicato, per la Serie “Cinema”, al Film di Rossellini) fosse stata  inserita dal regista nel girato e poi nel film, dopo che lui stesso aveva assistito ad una solenne litigata tra la Magnani e Massimo Serato (altro attore famoso del tempo e suo compagno dell’epoca) durante la quale  Serato fuggì su una jeep, inseguito dalla Magnani che gli lanciava appresso oggetti vari, accusandolo di tradimento.

Anche in questo caso, una grande interpretazione della nostra indimenticabile “Nannarella”, certo donna con un carattere focoso, ma anche attrice dotata di un senso della scena prodigioso.

Mario Scelba e l’8 marzo

“Cos’è che fa quel Mario Scelba, con la sua celere questura / Ma i comunisti non han paura e difenderanno la libertà //.” (da: “1948”, di Lanfranco Bellotti, contadino iscritto al PCI, 1948. La canzone è più nota come: “Vi ricordate quel 18 Aprile” )

Lo scelbismo: “più che per la legge che porta il suo nome, Mario Scelba andrebbe ricordato per la gestione autoritaria ed energica che impose al Ministero dell’Interno negli anni compresi tra il 1947 e il 1962, periodo in cui lo diresse per ben tre volte, alternandosi con altri ministri. Nel corso di questi passaggi tenne una linea politica durissima nei confronti delle opposizioni di sinistra e verso le richieste provenienti da molte categorie di lavoratori. Durante il suo ministero la Pubblica sicurezza, come si chiamava allora l’attuale polizia di Stato, fu impiegata in maniera massiccia e violenta per reprimere le proteste sociali che agitavano il Paese, ricevendo in tal modo un imprinting autoritario che ne segnò a fondo l’organizzazione, la mentalità e le pratiche nel corso di tutta la storia repubblicana.

Prima dell’arrivo di Mario Scelba al Ministero, la polizia era stata interessata da un processo di epurazione del tutto inefficace. A una prima fase, caratterizzata da un lavoro diffuso e rapido della commissione preposta a stabilire le responsabilità di ufficiali e agenti coinvolti con il regime fascista e con la Repubblica sociale, era seguito un lungo periodo di stagnazione in cui la magistratura ordinaria, anch’essa compromessa con il regime, con una serie di sentenze aveva riammesso in servizio molti degli uomini epurati in precedenza.

In tal modo, nel 1947, in netta continuità con il passato, risultavano ancora in servizio molti degli alti funzionari e ufficiali della Pubblica sicurezza in attività durante il fascismo, tra cui anche ex appartenenti all’OVRA e persino alcuni di quelli che avevano aderito alla Repubblica sociale italiana. Del resto, nel nuovo clima internazionale determinato dalla Guerra Fredda, la permanenza in servizio di uomini compromessi col passato regime, lungi dal costituire un pericolo, risultava utile in funzione anticomunista”.(continua qui: https://fondazionefeltrinelli.it/scopri/lo-scelbismo-oltre-la-legge-scelba/).

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Forse non tutti sanno che, con una Circolare della Presidenza del Consiglio Dei Ministri del 23 Febbraio 1946 (la n. 61588/289555/3.3.3), veniva concessa alle dipendenti pubbliche la retribuzione dell’intera giornata lavorativa per le ore di assenza dal servizio dovute alla partecipazione, l’8 Marzo, alle Manifestazioni celebrative della “Giornata Internazionale della Donna”. Bene si dirà. Ma quella decisione, dell’allora Governo in carica – segno di riconoscenza della Repubblica per l’impegno delle donne nella Lotta di Liberazione e nella ricostruzione del Paese – durò solo fino alle Elezioni dell’Aprile 1948, vinte dalla Democrazia Cristiana che – sebbene dovesse probabilmente quella vittoria alle elettrici e alla sua esaltazione della ‘famiglia tradizionale’ – tradì subito lo spirito di quella Circolare abolendo la retribuzione garantita in quella Giornata  a chi – essendo una dipendente pubblica, anche impiegata, come civile, in Strutture statali militari – partecipava alle manifestazioni dell’8 Marzo.

E a chi pensate sia venuta l’idea di togliere di mezzo quella Circolare, come fosse scritta col gesso su una lavagna e si potesse, dunque, cancellare con poco sforzo? Ma a Mario Scelba, naturalmente. Scelba, che dal 1947 era Ministro degli Interni del Governo DC guidato da Alcide De Gasperi. Poca cosa, certo, per l’uomo politico democristiano rimasto famoso nella Storia “per l’uso scellerato della forza pubblica contro lavoratori, contadini, disoccupati che negli anni del dopoguerra reclamavano pane e lavoro.”

La vicenda vale la pena di essere conosciuta nei particolari e dunque qui di seguito, ne trovate la ricostruzione, fatta da Antonio Camuso, dell’Archivio Storico “Benedetto Petrone”, in un pezzo scritto per l’ultimo Numero del mensile online, Patria Indipendente.

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Quando Scelba sanzionò la Giornata internazionale della donna. In nome della Guerra Fredda

di Antonio Camuso, Archivio Storico Benedetto

75 anni fa, era il 1949, l’8 marzo cessò di essere una festa pubblica retribuita, come stabilito durante il primo governo De Gasperi sostenuto dai partiti dell’unità antifascista. Le prefetture vennero allertate contro le organizzazioni femminili, perché “paracomuniste”, invitate a prendere adeguate misure riguardo alle manifestanti, “potenziali attentatrici delle libertà”, le mimose sequestrate

Può sembrare un paradosso come, nel marzo 1949, il governo guidato dalla Democrazia Cristiana di De Gasperi, che aveva vinto le elezioni dell’aprile 1948, scommettendo sul bacino elettorale femminile in nome della difesa della famiglia, abolì la retribuzione delle dipendenti pubbliche per la Giornata internazionale della donna, prima remunerata.

Una vicenda che in occasione di ogni 8 marzo sarebbe utile ricordare, quale monito a non illudersi che diritti ritenuti acquisiti possano essere incancellabili, in particolare quelli delle donne, e come occorra difenderli ogni giorno, diffidando da pseudoriforme populiste.

La Giornata internazionale della donna era una festa pubblica nel segno dell’unità antifascista e della Resistenza L’8 marzo 1946, nell’Italia retta in regime luogotenenziale da Umberto di Savoia, il governo di unità antifascista emanava la circolare ministeriale n° 61588/289555/3.3.3 che concedeva alle dipendenti pubbliche il salario retribuito per le ore di assenza dettate dalla partecipazione alle manifestazioni per la Festa della Donna.

Una disposizione restata in vigore sino al 1948, e della quale si ha traccia negli archivi delle prefetture conservati presso ogni Archivio di Stato, quale quello di Brindisi in cui ho condotto la ricerca, così come vi giacciono le richieste delle donne, lavoratrici e non, indirizzate agli organi istituzionali e addirittura le sollecitazioni dei prefetti alle diverse amministrazioni affinché le manifestazioni femminili avessero successo.

“Dalla Regia Prefettura di Brindisi, 4 marzo 1946, ai Signori Sindaci e Commissari prefettizi della provincia di Brindisi Oggetto: giornata internazionale della donna.
Per opportuna conoscenza si trascrive la seguente circolare 23 febbraio decorso n° 61588/ 289555/3.3.3, della presidenza del Consiglio dei Ministri. – Per iniziativa della Confederazione Generale del lavoro e dell’Unione delle Donne Italiane, il giorno 8 marzo p.v. verrà celebrata in tutta Italia la Giornata Internazionale della Donna. Pregasi pertanto che, in tale ricorrenza, il personale femminile dipendente dagli enti pubblici, venga – senza alcuna decurtazione di salario o stipendio – lasciato libero alle ore 12, al fine di consentirgli la partecipazione alle manifestazioni della giornata”.

La disposizione ministeriale comprendeva, quale dispensato dal lavoro, anche il personale femminile impiegato presso gli Enti Militari, come nel telegramma in data 7 marzo 1947 del Comando Militare Marittimo di Brindisi a firma dell’ammiraglio Parmigiano inviato agli uffici Marimist, Maricomm e Mariferm a lui sottoposti:
“Giunta comunicazione della Presidenza dei Ministri, disponesi che giorno 8 corr. personale femminile sia lasciato libero alle ore 12.00 per partecipare alle manifestazioni giornata internazionale della donna”.

Il 7 marzo 1948, a Costituzione entrata in vigore, Giulio Andreotti, quale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri fu l’ultimo a inviare alle prefetture l’autorizzazione a lasciare libere dal lavoro le dipendenti pubbliche affinché partecipassero alle manifestazioni unitarie per l’8 marzo.

Poco più di un mese dopo, l’esito elettorale di aprile, con la sconfitta del fronte delle sinistre e la vittoria di quello conservatore e atlantista a guida Democrazia Cristiana, le lancette dell’orologio che segnava il cammino dell’emancipazione femminile furono riportate indietro, in nome dell’anticomunismo, iniziando con il colpire l’8 marzo.

L’8 marzo cancellato e le donne manifestanti “pericolose attentatrici delle libertà costituzionali”. Ad assumersi la responsabilità di ciò fu Scelba, il ministro dell’Interno di cui rimarrà memoria per l’uso scellerato della forza pubblica contro lavoratori, contadini, disoccupati che negli anni del dopoguerra reclamavano pane e lavoro. Il telegramma inviato ai prefetti è la dimostrazione del cambiamento dei tempi:
“Prefettura di Brindisi – Telegramma decifrato proveniente in data 4 marzo 1949, proveniente dal Ministero dell’Interno Gabinetto et diretto Prefetti Repubblica.
N° 6411/7643/Gab. Festa della Donna celebrantesi 8 marzo per cui era stato chiesto l’alto patronato Presidente della Repubblica monopolizzata (da) U.D.I. et altre organizzazioni paracomuniste assume carattere di partito. Pertanto Autorità asterrannosi parteciparvi aut prestare qualsiasi collaborazione. SS.LL. prenderanno inoltre adeguate misure evitare attentati libertà specie uffici, scuole et luoghi di lavoro. Ministro Interno Scelba”.

Con quel telegramma Scelba sanciva che le donne che avessero scioperato e avessero incitato altre a farlo, per partecipare a cortei e assemblee femminili, erano potenzialmente perseguibili per legge quali attentatrici delle libertà, e sanzionabili dalle autorità di Polizia, come conferma la nota a margine del Prefetto di Brindisi inviata al Questore e al Comando dei locali Carabinieri.

Marisa Cinciari Rodano ricordava che anche distribuire la mimosa poteva essere considerato sovversivo, e che in quegli anni la polizia sequestrava i mazzetti, le attiviste venivano fermate e portate in questura e financo multate per “questua non autorizzata”, nonostante i fiori simbolo della Giornata fossero offerti gratuitamente.

Il cammino verso l’emancipazione, la piena parità dei diritti, per le donne italiane sarebbe stato irto di spine, ma esse, come durante la Resistenza non si sarebbero tirate indietro.

(https://www.patriaindipendente.it/servizi/quando-scelba-sanziono-la-giornata-internazionale-della-donna-in-nome-della-guerra-fredda/).

Ugo Fanti, Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini”


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