

Il 7 luglio nel Giardino della Basilica di Sant’Alessio all’Aventino, con tre commedia: Enrico IV, L’altro figlio, La giara. Ultima replica il 7 agosto
Classico appuntamento estivo nel Giardino della Basilica di Sant’Alessio all’Aventino, con Marcello Amici, La Bottega delle Maschere e la loro Pirandelliana.
Ventesima edizione, dal 7 luglio al 7 agosto, preparata sempre con la consueta cura da Marcello Amici, che quest’anno affronta il problema della solitudine esistenziale e propone tre opere di Luigi Pirandello: Enrico IV (in scena nelle serate di martedì, giovedì e sabato), e L’altro figlio e La giara, in scena il mercoledì, il venerdì e la domenica.
La regia è uscita dalle abitudini, dalle pratiche pirandelliane, non ha interpretato la maschera e la persona, ma capito perché Enrico IV si piace in quella carnevalesca rappresentazione che dà a sé stesso e agli altri della sua regalità. Non più quel raisonneur in punta di fioretto che con abilità istrionica si destreggiava sul filo teso della pazzia e della finzione, ma un teatrante che dietro il sipario del suo travestimento offre ai suoi ospiti lo spettacolo un po’ compiaciuto del suo virtuosismo dialettico.
l più tragico personaggio di Pirandello giuoca la propria parabola in una carnevalata fittizia e claustrale. La sua esistenza si risolve e si dissipa in azione scenica. Ecco perché la recitazione, la ricomposizione del testo, le musiche, tutto diventa spia di una precisa lettura registica dove il confine tra personaggio-uomo e personaggio-attore si rarefa sino a diventare inafferrabile.
Enrico IV è un attore e un poeta che conosce la stoffa di cui sono fatti i sogni, due ruoli per lo stesso personaggio, come non a caso insegna Michel Foucault nella Storia della follia, e tanti drammi di Shakespeare stanno lì a testimoniarlo. La regia ha geometrizzato la follia del testo, ha innalzato una linea di confine dalle pareti alte e sottili. Oltre si potrebbe andare, ma non si può uscire. Quando i cosiddetti saggi tenteranno di scombinare gli equilibri, la cittadella si rinchiuderà nel regno dell’immaginazione perpetua, della solitudine esistenziale. Enrico IV è l’altro versante del quotidiano, è l’aspirazione a mettersi in salvo nei ruoli intimati dal mondo della fantasia. È un poeta malinconico avvolto in un mantello di solitudine, è un Amleto che discetta sulla condizione umana di cui è vittima e trionfatore, indossa e si fa carico del travestimento per la vita. E’ l’attore che assume su di sé la funzione della follia per scrollare le certezze che ancorano l’esistenza. È lo scrittore che si rinchiude definitivamente nella sua arte.
Ambientato in Sicilia ai primi del ’900, l’atto unico tratto dalla novella omonima ha come disperato sottofondo storico l’emigrazione massiccia della gente povera del Sud. Una popolana, Maragrazia, soffre perché i suoi due figli partiti per l’America, non si sono più curati di lei che pateticamente tenta di richiamarli a sé, promettendo loro la donazione di uno sconnesso casalino. L’anziana donna non vuole accettare le cure di un altro figlio nato dalla violenza che fu costretta a subire da un brigante, anzi le rifiuta violentemente. La sua fu una maternità non voluta e quel figlio si trova a scontare colpe non sue. È una delle tre tesi, insieme all’emigrazione, che la regia trasferisce nella sua chiave di lettura. La scena è scarna, i richiami di chi parte sono un’eco che si fonde con il suono dell’armonica di Jaco Spina, voce cruda di una terra tradita dalla migliore gioventù che se ne va: Pioggia in faccia e vento alle spalle: si rompano il collo, maledetti! I migranti partono fingendo allegria, chi è già in America regala illusioni di ricchezza, chi rimane ha nel cuore cose nere e la consapevolezza che nulla cambierà. Scrittura e ripetizione è il leitmotiv. Emigrazione senza ritorno, lettere senza risposta e Maragrazia, continuando nel suo rituale, ripeterà un movimento senza effetto.
La commedia è un raro esempio di aggregazione di elementi naturalisti utilizzati a sostegno della dialettica umoristica sulla roba di una Sicilia verghiana. Si confrontano due ceti sociali: don Lolò Zirafa è un uomo ricco e ossessionato dalla brama del possesso che vive nella perenne e logorante diffidenza del prossimo; Ziʹ Dima Licasi è un conzalemmi, un personaggio al limite del grottesco, immerso nella sua solitudine. Come tutti gli istrioni pirandelliani ambisce ad una patente, quella d’inventore di un mastice miracoloso per acconciare le terraglie. Viene descritto come un vecchio sbilenco…come un ceppo antico d’olivo saraceno. Nella loro solitudine, Ziʹ Dima e Don Lolò si incontrano davanti ad una giara spaccata. La giara è un recipiente di potere, è l’involucro della nascita, l’utero e insieme la tomba, funge da totem, è un oggetto simbolo con il quale tutto quel mondo si confronta. La regia si è accorta che l’atto unico è percorso da nuclei di animistiche visioni evocate dalla novella omonima e nella notte, quando con la luna tutto incomincia a farsi di sogno sulla terra, rinnova tutto il racconto che diventa un esperimento spiritico popolato di magiche fantasie. Ziʹ Dima si trasforma in un folletto gobbo dai molteplici aspetti, uomo-albero e uomo-giara. È un dio della fertilità che scatena sull’aia una celebrazione dionisiaca della raccolta con i contadini che ballano attorno alla giara come tanti spiriti della notte. Si leva un canto alla luna, come quello di Ciaula che per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte piena del suo stupore. Ziʹ Dima povero, sfruttato e deriso prevale sul padrone ricco e avaro. La giara sta lì come una metafora della trappola esistenziale da cui è possibile evadere solo con un guizzo beffardo. La regia non ha mai dimenticato che solo al vero teatro di parola è dato trasferire sulla scena il testo scritto nella sua compiutezza letteraria. Le parole trasferite sul palcoscenico devono essere innervate di vita, ricreate, prima di darle in prestito alla finzione, perché così solo diventano verità, a volte anche illusione di realtà, per fare uscire dal teatro gli spettatori come in quel quadro del Carrà.
PIRANDELLIANA 2016 (7 luglio-7 agosto) – Spettacoli: ore 21.15
Biglietti: 15 euro (ridotto 13 euro) – Info: 06.6620982 (10-13/16-20)
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