

Riceviamo e pubblichiamo
Tutti oramai lo chiamavano zio James.
Era l’imprenditore James Pallotta da Boston: proprietario della Roma dal 18 agosto 2011 insieme ad altri tre soci, ne era divenuto il presidente unico il 27 agosto 2012. Perché un americano appassionato di basket fosse venuto fino in Italia ad impicciarsi di calcio fu abbastanza chiaro da subito. Business. Affari. Soldi. E una certa fama, anche.
Il piano dello zio James era facile: vado, investo, costruisco lo stadio, vinco, rivendo tutto, ciaone. Teoricamente giusto, relativamente attuabile, praticamente un gran casino.
Quello che l’uomo di Boston infatti non poteva prevedere nel suo immaginifico era la macchina infernale della burocrazia italiana e romana, nel particolare. E per comprendere il procedimento diabolico dei suoi ingranaggi è d’uopo andare con ordine. Ecco, dunque, come si è sviluppata la tragicommedia del progetto dello stadio della Roma.
Siamo nel dicembre 2012 e il sindaco di Roma è Gianni Alemanno. Con la collaborazione di Cushman & Wakefield, leader nel settore immobiliare in Italia e nel mondo, vengono sottoposti alla giunta circa 80 siti tutti valutati, registrati e sottoposti a revisione, tra cui risulta come più idoneo in base ad accorgimenti quali vicinanza alla città e all’aereoporto, raggiungibilità su strada e su ferro, e soprattutto ai servizi già offerti dalla precedente struttura sportiva, quello relativo a Tor Di Valle, sede dell’ormai smesso ippodromo.
Dicembre 2014, il sindaco è Ignazio Marino, l’Assemblea Capitolina delibera la dichiarazione di pubblico interesse per la città del progetto dello Stadio della Roma.
E questa, cari lettori, è la parte più interessante, perché da qui in poi non sarà più un discorso esclusivamente sportivo ma anche barra soprattutto politico.
Cosa aveva, secondo la giunta Marino, di pubblicamente utile uno stadio per il calcio?
Semplice, le infrastrutture. Che, in parole commestibili, sono strade, trasporti pubblici, parcheggi. Che, in uno stato civile, sarebbero a carico del Comune dove il privato viene per costruire qualcosa. Che, a Roma, sono un’ utopia. Dunque la soluzione: ricordate lo zio James dell’incipit?
Lo scemo da Boston immaginava tutto ciò e si era mosso per tempo, e lui che di lavoro “trova fondi per realizzare progetti”, propone un’opera da un miliardo e settecento milioni, tutti privati e zero pubblici, da investire in un gigantesco business park.
E qui finalmente entra in scena la figura mitologica più controversa degli anni Duemila: il temibile ECOMOSTRO.
Un essere fatto di colate di cemento il cui unico scopo è rovinare il bellissimo polmone verde di Roma, col potere del rischio idrogeologico e armato di tre pericolosissime torri. Già, davvero ributtante.
Peccato che Tor di Valle non è un polmone verde ma una discarica a cielo aperto, che non si hanno notizie di cavalli annegati nel Tevere negli anni dell’ippodromo e che nel progetto è prevista un’area verde di circa 90 ettari (pari quindi a Villa Borghese) di cui 53 destinati a verde pubblico.
Chi parla di ecomostro ignora che saranno piantati 9100 nuovi alberi e 140000 arbusti, che nasceranno 3 nuovi spazi d’acqua, e ancora viali, piste ciclabili, sistemi di illuminazione e telecamere a circuito chiuso, un parco pubblico proporrà inoltre un anfiteatro che potrà ospitare concerti di musica classica, concerti jazz, festival e molto di più. L’anfiteatro sarà costruito su una pendenza artificiale e potrà essere utilizzato durante il giorno per rilassarsi, fare passeggiate o pranzare all’aria aperta.
Provate ora, senza l’ECOMOSTRO, ad andare a Tor di Valle a pranzare all’aria aperta…
I custodi devono bloccare quei “visitatori” notturni che provano a prendere possesso della struttura facendola diventare casa loro e dei loro figli, vengono minacciati fisicamente da chi scarica la qualunque in una strada dove è ben visibile il cartello di divieto.
L’ecomostro porterà alla città di Roma il potenziamento su ferro, ovvero sulla linea Roma – Lido, e propone il prolungamento della linea B, oltre a tre ponti di collegamento dalle arterie principali, il tutto affinché lo stadio sia raggiungibile in 20 minuti dal centro e altrettanti dall’aeroporto di Fiumicino.
Mostruoso, in effetti, in una città dove per costruire una nuova linea metro ci sono voluti 10 anni…
Ma l’utile più importante non è questo… Sorpresi? Allora continuate a leggere.
E qui varrebbe la pena fermarsi, respirare, e mandare ossigeno al cervello.
Duemila lavoratori saranno impiegati durante la fase di costruzione, con un picco di 3500 durante la prima fase. Per quanto riguarda le operazioni quotidiane, oltre 4000 persone saranno impiegate in loco.
Sembra ora giustificato l’interesse pubblico decretato dalla giunta Marino?
Da dove vengono allora le controversie?
Dalla disinformazione intorno a due parole distinte e dai significati quasi diametralmente opposti. Speculazione e compensazione.
Andando a snocciolare i termini: quando il comune investe soldi (pubblici) e qualcuno invece di usarli tutti per realizzare ciò che gli è stato commissionato se ne mette una parte in tasca, con risultati discutibili dell’opera finale, quella è speculazione, ed è il male atavico di Roma dove, da anni, la fanno da padroni i “palazzinari”. Quando, di contro, arriva un privato e investe soldi suoi in opere pubbliche (ed è fuor di dubbio che parcheggi, ponti, strade e migliorie ferroviarie siano tali), può, per legge, costruire immobili che gli consentano, in futuro, di rientrare delle spese, e questa è compensazione. Il privato che investe soldi propri in opere pubbliche e non compensa si chiama mecenate, o, più semplicemente, persona-con-l’anello-al-naso.
Nel caso specifico gli immobili che tanto infastidiscono i puristi dell’ultima ora (e che non si sa dove fossero ai tempi di Porta di Roma, di Roma est, dello stadio del nuoto a Tor Vergata, eccetera eccetera et cetera), sono le tre torri di Libeskind, che, è bene ricordare, è un architetto le cui opere trovano posto nel Museum of Modern Art di New York… l’“ECOMOSTRO”…
In Italia, si sa, ogni partito pratica lo sport nazionale del demolire ciò che gli altri propongono. Si può non avere simpatie per i Marino o gli Alemanno, ma ciò che la presente giunta sta ignorando è quel principio di legalità tanto sbandierata ai quattro venti da quando il partito di Grillo è stato fondato.
L’iter seguito dalla società proponente è inattaccabile ed è passato sotto le forche caudine di una votazione che ha assegnato questa benedetta “pubblica utilità”. Rimuoverla o rimetterla in discussione potrebbe voler dire una causa mossa al Comune di Roma che causerebbe una perdita ingente, troppo ingente, e che potrebbe mettere il vecchio zio James a cavallo del Marco Aurelio.
Ci pensi bene il sindaco Virginia Raggi e ci pensi bene il suo partito che finora si è circondato di persone inadeguate come l’ex assessore all’urbanistica Berdini, del quale basta ricordare l’uscita più infelice della storia dell’urbanistica: “Non l’ho ancora letto, ma questo progetto non mi piace”. Pregiudizio, pressapochismo e tanto altro in una sola frase, che porta con sé uno dei peggiori difetti umani: non so, non leggo, ma parlo.
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