

Il nome le deriva dal primo committente, il patrizio Guido Vaini (1648-1722). Attualmente è la residenza dell’Ambasciatore di Spagna presso il Quirinale
Villa Vaini, in via di San Pancrazio a Roma, è attualmente la residenza dell’Ambasciatore di Spagna presso il Quirinale e, diversamente da molte sedi diplomatiche che, all’interno della propria struttura, ospitano anche gli uffici, questa riserva il solo appartamento privato per il rappresentante politico.
La Villa è situata sul lato destro del belvedere della Fontana dell’Acqua Paola, con vista diretta verso le pendici del colle gianicolense, ed è parte, del cosiddetto “Complesso Spagnolo”, attribuito in relazione alla vicenda della ricostruzione della chiesa di San Pietro in Montorio, finanziata generosamente nel 1500 dai reali cattolici di Spagna. Esso include la chiesa con il cinquecentesco Tempietto del Bramante, l’ottocentesca Accademia Reale di Spagna ed infine il novecentesco liceo Cervantes. L’ingresso, prevalentemente carrabile, alla Villa è sul lato opposto, nei pressi dell’accesso al parco gianicolense.
Il nome le deriva dal primo committente, il patrizio Guido Vaini (1648-1722), la cui famiglia ha origini imolesi, trasferitasi nell’Urbe grazie a matrimoni fortunati con famiglie nobili residenti nei palazzi di Roma, tra cui quelli al Gianicolo. Primogenito del colonnello dell’esercito pontificio Domenico Vaini e di Margherita Mignanelli, eredita parte della ex villa Sciarra-Barberini dal 1672, grazie alla parentela materna con il papa Barberini, Urbano VIII. Inoltre, eredita anche la Cappella Vaini, commissionata nel 1620 nella Chiesa di Sant’Onofrio al Gianicolo, come recita l’epigrafe affissa, dal Castellano di Castel Sant’Angelo di Roma, il marchese Guido Vaini, nonno paterno, che ordinò anche, ai frati gerosolimitani, la celebrazione di una messa giornaliera.
Nel 1693, Guido Vaini, nipote, ottenne dal papa Pignatelli, Innocenzo XII (Spinazzola, 1613-Roma, 1700), il terreno su cui sorge oggi la villa, sottostando ad una serie di obblighi imposti dal Vaticano e trascritti nel chirografo citato nel 2015 in uno studio di Giuseppe Bonaccorso. Tra questi accordi vi è il dovere di preservare il terreno, in forte pendenza a valle e a rischio cedimenti, costruendovi sopra un casino con giardino; un altro è il vincolo di commissionare il progetto all’architetto di fiducia del Vaticano e della Congregazione dell’Acqua Paola, Carlo Fontana (Rancate, 1638-Roma, 1714); ed infine, l’obbligo di rispettare i limiti di costruzione relativi all’altezza del casino e alla distanza dal palazzo dei Padri della chiesa di San Pietro in Montorio. Infatti, come testimonia l’album dei progetti dell’architetto ticinese, conservati nella biblioteca di Lipsia, i disegni riportano due versioni, per rispettare in uno, il desiderio del committente e in un altro, i limiti di costruzione imposti dal Vaticano.
La committenza di una facciata più alta, per poter godere della vista della mostra dell’Acqua Paola, venne ritenuta abusiva e demolita per non subire la scomunica. L’architetto ticinese, di conseguenza, abbandonò l’incarico e, pertanto, si interruppero i lavori, fino a quando, nel 1702, Francesco Maria Vaini, quarto fratello minore di Guido, e commendatore dell’Ordine dei Santi Lazzaro e Maurizio, si rivolse all’allievo dell’architetto ticinese, Fortunato Romano Carapecchia (Roma, 1653-Valletta, 1748) che completò i lavori nel 1705. L’edificio consistette allora del solo piano nobile caratterizzato dalla elevata facciata sporgente al centro e con il terrazzamento del giardino, mentre la decorazione parietale e del soffitto furono del pittore Giuseppe Passeri (1654-1714), con le rappresentazioni de Il crepuscolo mattutino, Il cavallo del Sole, Le quattro stagioni, Il Sonno e i putti, ed infine La Flora.
Sopravvenuta la morte di Francesco Maria Vaini, fu l’erede Antonio Vaini (1660-1737), terzo fratello minore di Guido e Cavaliere dell’Ordine di Malta, nominato poi Ammiraglio della flotta del Sovrano Ordine Maltese, a dover pagare la multa di tremila scudi al Presidente delle Strade, Cardinale Pietro Ottoboni, e al Giureconsulto pontificio Monsignor Nicola Del Giudice, che richiesero di “scoperchiare il tetto”. Secondo la fonte di Carla Benocci, l’architetto Carapecchia venne quindi trasferito a Malta, con la raccomandazione dall’Ammiraglio Vaini al Gran Maestro dell’Ordine, Marco Antonio Zondandari, di nominarlo “architetto della sacra religione” e “fontaniere” del Sovrano Ordine Maltese.
In questa isola, l‘architetto romano vivrà per più di trent’anni, fino alla morte, importando un linguaggio artistico in un contesto privo di un proprio stile e tale da essere ormai considerato “maltese“, evidente soprattutto negli avancorpi convessi delle facciate principali degli edifici religiosi dell’isola. Il suo nome, nonostante tutto, fu sconosciuto anche nel giorno del suo funerale e solo recentemente è stato riscoperto dagli studiosi.
In relazione alla Villa, invece, la prolungata assenza dell’Ammiraglio Vaini dalla terra ferma, ne condizionò necessariamente il futuro, ed ebbe diversi proprietari, subendo non solo modifiche strutturali, ma anche di destinazione d‘uso. Secondo la monografia di Laura Gigli del 1987, il primo acquirente, nel 1710, fu proprio il cardinale Pietro Ottoboni, già proprietario di una parte dell’ex Villa Sciarra, interessato più alla collezione statuaria, alla quadreria e al mobilio, che alla villa. Alla sua morte, per estinguere gli ingenti debiti accumulati, si ricorse alla vendita all’asta della villa, trovando l’acquirente, nel 1749, in Ferdinando Giraud, già proprietario della villa del Vascello. Il restauro intrapreso, come si evince dal disegno del Vasi del 1765, consistette sia nell’innalzamento dell’attico, protetto da una balaustra, ornata di fori simmetrici e statue; sia nel portico abbellito di otto colonne, con l’annessione di una cappella e della scuderia ed infine, nel giardino posto su due piani e con alberi da frutta.
Nel 1790, l’affitto a tre soci determinò l’uso della villa a fabbrica: inizialmente “fabbrica di calanche”, successivamente “fabbrica di panni”, in mano ad un’altra società di uomini. Nel 1826 venne venduta al capitano Francesco Forti, e passò agli eredi nel 1835. Divenuta un pastificio, subì i danni ingenti della guerra risorgimentale del 1849, e venne acquistata da Gaetano Venturini Paparii. Nel 1922 subì un incendio e, con l’acquisto della famiglia Ruspoli, fu restaurata nel 1925, con l’annessione del secondo piano per allinearlo alla balaustra. Infine, dal 1947 fu eletta a residenza dell’Ambasciatore di Spagna presso il Quirinale.
Secondo la citata testimonianza di Gigli, la villa si presenta suddivisa in tre sale per ogni piano nelle strutture laterali; mentre nella struttura centrale domina il salone ovale, fiancheggiato da due scale a chiocciola laterali, e per il quale si accede al giardino attraverso una loggia. È arredata con mobilio settecentesco e con arazzi tratti da dipinti del Goya, al primo piano, e di Giulio Romano. Nel 1984 furono eseguiti lavori nella pavimentazione del terrazzamento, per apporre le cinque lastre marmoree in memoria dei personaggi spagnoli più autorevoli: i reali Ferdinando D’Aragona e Isabella di Castiglia (uniti nel matrimonio nel 1469), lo scrittore Miguel de Cervantes (Alcalà, 1547- Madrid, 1616), il pittore realista Francisco Goya (Saragozza, 1746-Bordeaux, 1828) e il premio Nobel per la medicina (1906) Santiago Ramon.
Essendo appartamento privato, l’edificio non è generalmente aperto al pubblico, ma se, in occasione della notte bianca romana, perfino il Palazzo Farnese, che ospita l’ambasciatore francese, è visitabile, mi auguro che, con le prossime iniziative, sia consentito anche l’ingresso a Villa Vaini.
Le foto presenti su abitarearoma.it sono state in parte prese da Internet, e quindi valutate di pubblico dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, non avranno che da segnalarlo alla redazione che le rimuoverà.
Bella ricostruzione. Grazie all’autore per aver condiviso le sue conoscenze. È bello conoscere la storia dei nostri posti