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I giganti della montagna, all’Aventino

Con Il berretto a sonagli si conclude il 12 agosto “La Pirandelliana” 2018

Sta per concludersi “La Pirandelliana”, una delle più attese manifestazioni dell’estate romana 2018. Nel suggestivo Giardino della Basilica dei Santi Alessio e Bonifacio all’Aventino sono andati in scena I giganti della montagna e Il berretto a sonagli. Questa sera, 12 agosto, calerà il sipario sulla XXII edizione.

Questo magico sogno della fantasia teatrale, I giganti della montagna, è stata l’ultima commedia (incompiuta) di Luigi Pirandello, sotto il profilo dell’esegesi la più importante. Iniziò a scriverla tra il 1930 e il 1931, ma non riuscì a completare l’intera opera. Molti concordano sul fatto che la stesura del terzo atto venne  ultimata dal figlio Stefano su indicazioni del padre, purtroppo le opinioni continuano ad essere discordanti.

Dalla prima rappresentazione, che andò in scena nel giugno del 1937 nel giardino di Boboli a Firenze, ad oggi si possono contare centinaia di migliaia di adattamenti di questa commedia, tra le meno facili da recitare. Ma si possono leggere anche decine e decine di differenti interpretazioni sul contenuto e quindi sulle intenzioni sociali, culturali e anche politiche che portarono Pirandello, creatore del metateatro, a trasmettere con quest’opera il suo testamento spirituale. Lui, meglio di chiunque altro, si pose il problema di quale fosse il ruolo del teatro nella realtà moderna e il rapporto con il pubblico.

I giganti della montagna racconta di una compagnia di attori, capeggiata dalla Contessa Ilse, che vuole portare in scena una grande opera d’amore dal titolo La favola del figlio cambiato, un testo di un poeta che l’aveva amata. La prima grande difficoltà che incontrano è che non interessa a nessun teatro, sicché decidono di andare alla Villa della Scalogna, un luogo magico dove con gli Scalognati vive il mago Cotrone il quale, dice alla Contessa: « Vivo modestamente di incantesimi. Li creo».

Cotrone accoglie la compagnia e appoggerebbe il desiderio di Ilse di poter rappresentare l’opera, ma è sua convinzione che l’arte può vivere solo nei sogni e nella fantasia e dunque non è poi tanto importante che venga divulgata nella società e portata a conoscenza del pubblico. «Siamo, qua come agli orli della vita, Contessa. Gli orli, a un comando, si distaccano; entra l’invisibile: vaporano i fantasmi. È cosa naturale. Avviene, ciò che di solito [accade] nel sogno. Io lo faccio avvenire anche nella veglia. Ecco tutto. I sogni, la musica, la preghiera, l’amore… tutto l’infinito ch’è negli uomini, lei lo troverà dentro e intorno a questa villa».

Il desiderio di Ilse, però, va oltre i contenuti del magico sogno della fantasia. Lei vuole che l’arte scuota le coscienze, vuole che svegli i sentimenti ed emerga la conflittualità nello spettatore!

Nella rappresentazione della compagnia La bottega delle maschere, questo desiderio rimane inappagato per fedeltà al testo di Luigi Pirandello.

Al pubblico presente nel teatro del Giardino della Basilica dei Santi Alessio e Bonifacio all’Aventino, il finale viene consegnato con le parole di Pirandello che scrisse prima di morire: “ Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici di non parlarne sui giornali … e il mio corpo, appena arso, sia lasciato disperdere, perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare, sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra , nella campagna di Girgenti, dove nacqui”.

Il terzo atto, scritto postumo, contiene la decisione di proporre la favola ai “Giganti della Montagna” (che rappresentano il potere). Costoro, però,  non dedicano più tempo ai problemi sentimentali dell’uomo, i potenti signori si occupano solo di opere materiali e grandiose. Tuttavia possono favorire la messa in scena di questa rappresentazione all’interno di una festa popolare gremita di gente rozza e volgare che compone la società e di cui essi stessi sono circondati: gente non più abituata a temi di particolare sensibilità per lo spirito,  ossia che contengono emozioni da esprimere, difendere e tramandare.

Nonostante queste aspettative, Ilse decide ugualmente di rappresentare l’opera ma, come previsto, il popolo spettatore, quello avverso ai sentimenti umani, si rivolta contro la compagnia, uccide la Contessa e tutti gli attori.

Muore, dunque, il messaggio che questi portavano. Così, sull’arte pura da diffondere, ovunque e comunque, prende il sopravvento l’ignoranza e l’insensibilità che si contraddistingue, in ogni epoca, per il ruolo preponderante che occupa nella società industriale, dominata dal potere economico e dalle ideologie e direttive politiche per l’affermazione del potere materiale che decide quali messaggi veicolare nella società, sino ai finanziamenti che sono il prezzo di garanzia per il loro mantenimento.

La pièce proposta dalla “Bottega delle Maschere” nella suggestiva cornice del Giardino di S. Alessio all’Aventino, uno dei luoghi più incantevoli della capitale, escluse le zanzare, non assolve in pieno le aspettative del “biglietto”, ma non per la compagnia la quale meriterebbe il Nobel per la perseveranza che li vede oramai ininterrottamente in scena dal 1997 consacrati al sommo Pirandello, bensì per un insieme di inciampi che si possono rilevare nelle reiterate scenografie, praticamente sempre le stesse e in qualche ruolo che, anche quest’anno, ci è sembrato approssimativo, probabilmente deciso in maniera affrettata. Ma «non c’è da far colpa a nessuno di quel che è accaduto. Non è che la Poesia sia stata rifiutata…».

Bruno Cimino e Bruna Fiorentino


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