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Il 4 giugno 1944 di mia zia

Roma, quartiere di Centocelle ottanta anni fa
Carri armati americani in fiamme sulla via Casilina, colpiti dai proiettili tedeschi – 4 giugno 1944 -Stazione di Centocelle

Il 4 giugno 1944 è una bella giornata che sembra quasi estiva, con un sole splendente nel cielo, senza una nuvola.
Nella borgata di Centocelle, a ridosso della via Casilina, inizia un’altra giornata incerta. C’è aria di attesa: non si sa di cosa, ma qualcosa deve accadere.

Resti bruciati di uno dei carri armati americani, colpito dai tedeschi sulla Casilina alla stazione di Centocelle. 4 giugno 1944— presso Stazione di Centocelle.

Sono giorni che arrivano voci sulla battaglia in corso, che dal fronte di Cassino, giorno dopo giorno, si avvicina sempre più minacciosamente. Ogni giorno potrebbe ormai essere quello fatale, dell’arrivo del fronte alla porta di casa!
Tutte le comunicazioni verso sud sono sospese. La ferrovia che collega Roma a Fiuggi, mezzo di collegamento vitale per la gente del posto, già da tempo è interrotta per i danni agli impianti causati dai bombardamenti.
Anche la consolare è chiusa, interdetta al traffico civile. Si vedono solo automezzi tedeschi in giro. Ma sono ormai giorni che si vedono sempre più soldati tedeschi, diretti verso il centro di Roma.

Soldati americani sulla via Casilina, altezza Stazione di Centocelle, in attesa di riprendere l’avanzata verso Roma — presso Stazione di Centocelle.

Si discute, si ragiona tra la gente. Che farà il Feldmaresciallo Kesselring? I soldati tedeschi combatteranno ancora, fin dentro Roma? Oppure, fuggiranno, come sembrerebbe, visto il loro atteggiamento degli ultimi giorni? Che fare? Aspettare? Allontanarsi dalle case verso il centro città, vicino ai monumenti e alle grandi chiese della Cristianità? In ogni caso, c’è Papa Pacelli, Pio XII; lui è rimasto e la gente, il popolo, ormai spera solo nella sua opera di intercessione tra i due eserciti per evitare la guerra dentro Roma.
La maggioranza della popolazione è stanca di tutto e di tutti: non parteggia più per nessuno, vuole solo che la guerra finisca il più presto possibile. Vuole che finiscano i bombardamenti, i rastrellamenti, le perquisizioni, i coprifuochi, ecc. Come oggi, dopo la pandemia, vuole tornare ad uscire liberamente e a riappropriarsi della propria Città.

In via Carpineto a Centocelle

Ma torniamo a Centocelle: sono da poco passate le ore 6,00. A via Carpineto, seconda traversa a sinistra sulla Casilina, in direzione centro, subito dopo il cartello stradale che segna il limite della città di Roma, i miei nonni sono già svegli e stanno facendo colazione. Mio padre, 12 anni, e mia zia, sedicenne, ancora sonnecchiano nel letto.

Da qui parte il racconto e la testimonianza di mia zia su quella giornata.
Non sono ancora le 7,00 quando, improvvisamente finisce il silenzio e si scatena l’inferno, buttando giù dal letto pure i più addormentati! A neanche 100 metri, infatti sta iniziando una vera battaglia tra le retroguardie tedesche in ritirata e le avanguardie americane che avanzano verso Roma.

I paracadutisti tedeschi con una serie di blocchi stradali mirano a rallentare al massimo l’avanzata delle truppe americane dentro Roma, per permettere al grosso dei reparti di fanteria la fuga e la messa in salvo a nord di Roma.
I fanti americani – e tra loro in particolare gli uomini della FSSF, corpo speciale formato da soldati canadesi e statunitensi – hanno il compito di arrivare al centro di Roma il prima possibile, per prendere i ponti sul Tevere intatti e permettere al loro comandante di celebrare il trionfo con la più grande vittoria americana fino a quel giorno, prima che lo sbarco in Normandia del giorno successivo spenga per sempre i riflettori sul fronte italiano.
Si combatte accanitamente tutto il giorno, da ambo le parti. Molti dei difensori tedeschi non hanno più niente da perdere, in quanto tagliati fuori dalla ritirata. Ma anche i militari nordamericani, ormai vicinissimi alla loro ambita meta, accettano la sfida e rispondono contrattaccando con violenza e determinazione.

Mia zia continua il racconto: dalle 7,00, per tutta la mattinata, si sentono spari, botti, esplosioni di tutti i tipi, provenienti, in particolare, dalla via Casilina e dalla stazione della Stefer. Sembrano i fuochi d’artificio, quelli sparati per la festa del santo patrono, ma quel giorno non c’è niente da festeggiare.
Con tutta la famiglia, rimane nascosta dentro casa, con tutte le finestre chiuse e le persiane abbassate, per tutto il resto della mattinata.
Tra i vicini, chi può, si rifugia nelle gallerie sotterranee, nelle tante cave di pozzolana che passano sotto le basse case di Centocelle, usate abitualmente come cantine, ma negli ultimi mesi anche come rifugi, durante i bombardamenti.
Anche mio nonno, ferroviere della Stefer, ha ricavato una cantina nelle gallerie sottostanti e, come tutti, lo ha anche attrezzato come rifugio della famiglia in caso di bombardamenti.
Ma la botola di accesso alle gallerie è fuori casa e sentiti i proiettili che volano intorno, questa volta sarà meglio aspettare dentro casa.
In ogni caso, da dietro le finestre, mia zia continua a seguire i combattimenti in corso, ma inizia a sentire rumori di spari di mitragliatrice e colpi di cannone, provenienti anche da altre direzioni, forse ancora più vicini alla casa.
Sfortunatamente, la casa di mio nonno si viene a ritrovare proprio nel mezzo dei due schieramenti, nella zona di nessuno, al centro del fuoco, ma per fortuna non è colpita.

Centocelle vecchia – Roma. L’edificio dove si erano asserragliati i 2 giovani paracadutisti tedeschi, su via Carpineto, incrocio Via Isola Liri, ancora esistente, con i segni tuttora visibili dei colpi lasciati dalle sventagliate dei carri armati americani in ingresso a Roma il 4 giugno 1944. — presso Stazione di Centocelle.

La mattinata prosegue in questo modo, con tutti i pochi abitanti del circondario, spaventati e rinchiusi dentro le abitazioni.
Ma prima di concludere il racconto, dobbiamo fare un passo indietro.
Nei pressi della casa di mio nonno, a via Carpineto, all’incrocio con via Isola Liri (incrocio oggi scomparso, a seguito della costruzione di via della Primavera) esisteva (ed esiste ancora, per fortuna, vedi foto allegate, con ancora visibili i segni dei proiettili americani) un edificio che dominava il crocevia,che era stato occupato, probabilmente già dalla notte, da un paio di giovanissimi soldati tedeschi (forse della Lutfwaffe, forse paracadutisti). I 2 diedero molto filo da torcere e bloccarono per circa mezza giornata la strada agli automezzi americani che da via Casilina volevano dirigersi verso la via Prenestina, per aggirare il caposaldo principale della resistenza tedesca, dove gli americani avevano già perso almeno 6 veicoli, tra carri armati e autoblindati.
Riprendiamo il racconto e arriviamo così, alla fine della mattinata, intorno alle 13,30.

I 2 giovani militari tedeschi si trovano ora asserragliati al primo piano di questo palazzetto ( uno dei pochi alto oltre il primo piano, mentre quasi tutti gli altri edifici intorno avevano solo il piano terra); sono armati fino ai denti, con armi automatiche e anticarro. Sono sfiniti, sono lì probabilmente dalla notte, hanno sparato tutto quello che avevano a disposizione, per non far passare gli americani verso il centro cittadino. Hanno finito le munizioni, senza viveri, senza acqua ed uno è anche ferito alle gambe e non si regge più in piedi.
I carri armati americani infatti hanno risposto al fuoco, facendo di quell’edificio il tiro a segno con i loro colpi.
Non hanno scelta, si devono arrendere: sono tagliati fuori dalla ritirata e circondati dai soldati dei reparti speciali americani, che nel frattempo avevano circondato la zona intorno.
Fu allora che l’unico soldato che ancora poteva camminare, esce dall’edificio bucherellato, con un drappo di stoffa bianca in mano. Solo allora si fanno avanti alcuni soldati americani, dall’aspetto rude, quasi fossero guerriglieri della jungla, che con metodi alquanto scortesi e sbrigativi agguantano il primo dei 2 ragazzi tedeschi, sfinito e terrorizzato, per la sorte che l’aspettava.
Mia zia assiste alla scena da dietro le persiane chiuse della casa, insieme ai miei nonni che le dicono di stare zitta, di non fiatare e non fare rumori.
A un certo punto però, mia zia vede un soldato americano spingere, con modi molto bruschi, il giovane tedesco, già stravolto e spaventato, e lo fa fermare proprio di fronte il muro della casa di mio nonno, dicendogli di non muoversi da quel preciso punto.
Mia zia, pensando che l’americano stava per fucilare il tedesco – che nel frattempo, dalla paura, era già diventato di un bianco cadavere – scappa dal controllo dei miei nonni e si mette a urlare… esce di casa di corsa, corre incontro all’americano, si mette in mezzo tra lui è il tedesco, inizia a piangere e lo implora di non ucciderlo, perché era poco più che un bambino, anche lui…
Il soldato americano la guarda frastornato e sorpreso, come per dire: non bastavano i tedeschi, ora ci mancava pure l’adolescente isterica! Allora, capendo la situazione, si tranquillizza e dice a mia zia, in un italiano molto stentato*: “… bambina, non avere paura! Stai calma! Io non ucciderò il ragazzo tedesco! Noi siamo americani e gli americani sono diversi dai tedeschi: noi non uccidiamo i ragazzi e i prigionieri!”*

Mia zia, ancora agitata, ma ora rassicurata in modo convincente dal soldato americano, torna indietro verso casa, soddisfatta di aver fatto il suo dovere.
I soldati americani proseguono nella perquisizione del giovane tedesco, gettando per terra i suoi effetti personali e poi lo portano via.
Chissà se i 2 giovani tedeschi, protagonisti di questa storia l’hanno raccontata… e chissà se pure i 2 soldati americani sono sopravvissuti ai successivi scontri fino ad arrivare, durante la notte, a prendere i ponti sul Tevere…;

Solo in quella giornata di combattimenti, morirono 100 soldati americani; dei tedeschi non ci sono statistiche affidabili, ma è ipotizzabile un numero più che doppio di quelli americani.

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L’ingresso degli alleati in città e l’ultimo giorno di guerra per Roma

 

 

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