Il caso delle “zone rosse” arriva al Tar: “viola i diritti fondamentali”

L'Unione delle camere penali e la camera penale di Roma hanno impugnato l'ordinanza prefettizia

Non è rimasta in silenzio la comunità dei penalisti di fronte all’ordinanza del prefetto di Roma, Lamberto Giannini, che introduce le cosiddette “zone rosse” nella Capitale.

Un provvedimento che, secondo l’Unione delle Camere Penali, rappresenta un attacco ai diritti fondamentali e che, proprio per questo, è stato impugnato in sede amministrativa con il patrocinio del professor Mario Esposito.

Le “zone rosse” sbarcano a Roma: cosa prevede l’ordinanza

Tutto ha origine da una circolare ministeriale firmata il 17 dicembre 2024, che ha dato il via libera all’istituzione di queste aree a “sorveglianza rafforzata” già in altre città italiane – tra cui Milano, Napoli, Bologna e Firenze. A Roma, però, l’applicazione del provvedimento ha subito scatenato proteste e ricorsi legali.

L’ordinanza, firmata dal prefetto a inizio anno, ha come obiettivo quello di impedire lo “stazionamento indebito” in determinate zone della città, considerate a rischio per la sicurezza pubblica.

Nello specifico, le aree coinvolte si concentrano tra il rione Esquilino e i dintorni della stazione Tuscolana, due luoghi nevralgici già al centro di cronache legate al degrado urbano e alla microcriminalità.

Le critiche dei penalisti: “Arbitrio delle forze dell’ordine e violazione delle libertà”

Ma è proprio la vaghezza dei criteri di pericolosità a preoccupare i penalisti. Secondo l’Unione delle Camere Penali, i parametri adottati per delimitare le zone rosse sarebbero “evanescenti”, lasciando troppa discrezionalità alle forze di polizia.

Un margine di arbitrarietà che – secondo i legali – minerebbe i principi cardine dello Stato di diritto. “Questa ordinanza – si legge nella nota ufficiale – sovverte il normale rapporto tra cittadino e autorità pubblica, minando i diritti costituzionalmente garantiti e aprendo la strada a forme di controllo indiscriminato che non possono trovare spazio in un ordinamento democratico e liberale”.

“Non si può limitare la libertà di circolazione per ragioni di decoro”

Le critiche si fanno ancora più dure quando i penalisti denunciano quella che definiscono una impostazione populista e securitaria, accusando l’ordinanza di ledere il diritto di libera circolazione.

In uno Stato democratico – prosegue la nota – la fruibilità degli spazi pubblici non può giustificare una limitazione illogica e arbitraria della libertà di movimento, soprattutto se applicata a determinate categorie di individui in base alla sola discrezione delle forze di polizia.”

Un approccio che, per l’Unione delle Camere Penali, segna un preoccupante scivolamento verso una cultura repressiva che mette in secondo piano la tutela dei diritti individuali e delle libertà fondamentali.

Il ricorso: una battaglia per i principi costituzionali

L’impugnazione del provvedimento, rappresenta una sfida aperta alle nuove politiche di sicurezza.

Per i penalisti, la battaglia non è solo legale, ma simbolica: opporsi all’ordinanza significa difendere il cuore dei principi costituzionali, che rischiano – a loro avviso – di essere erosi da misure emergenziali “fuori misura e sproporzionate”.

Mentre il Tar del Lazio si prepara a esaminare il ricorso, il dibattito è già acceso: l’ordinanza sarà uno strumento efficace per la sicurezza o un pericoloso precedente che mette a rischio le libertà democratiche?

Una cosa è certa: la partita è appena cominciata, e il campo di battaglia è il cuore della Capitale.


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