Il sostegno al reddito. Strumenti ed esperienze a confronto

Prima serata della winter school di Nonna Roma

Ha preso il via mercoledì 14 dicembre 2022 presso il circolo Arci Sparwasser al Pigneto la winter school di Nonna Roma, incentrata quest’anno sul tema del Reddito di Cittadinanza, questione che sta catalizzando fortemente l’attenzione della politica e della pubblica opinione negli ultimi mesi, anche alla luce delle decisioni del nuovo governo di mettere mano radicalmente a tale strumento.

Una tre giorni di dibattito che è iniziata con una prima serata che, come recita il sottotitolo dell‘incontro, ha voluto trattare il tema degli strumenti di sostegno al reddito nel suo complesso, analizzandone caratteristiche e finalità sia nella loro accezione teorica che nella loro ricaduta pratica.

Il dibattito è stato introdotto da Ilaria Manti, membro del direttivo di Nonna Roma, che ha illustrato alla platea come si sia partiti nella prima edizione del 2021 da un approfondimento sui temi più generici della disuguaglianza e della lotta alla povertà per arrivare quest’anno a focalizzare l’attenzione in una direzione diversa. Percorso che -partendo dalla distribuzione alimentare e dal sostegno nell’ambito dei servizi sociali- fa dell’esperienza di Nonna Roma la propria lotta politica, che in questo periodo specifico assume una connotazione di forte difesa e di lotta per i benefici che il RdC ha portato nella lotta alla povertà. E proprio la sua presenza attiva nel settore ha spinto Nonna Roma a smarcarsi dal dibattito di questi giorni, in cui ci si è schierati aprioristicamente sull’uso dello strumento. “In questi giorni parlano tutti tranne due categorie fondamentali, ossia chi il reddito lo percepisce e chi lo studia e lo usa da addetto ai lavori” ha concluso Ilaria Manti “per questo con queste serate proponiamo un approccio che parta da un livello teorico più ampio, dal momento che non possibile trattare il RdC se non si analizzano simultaneamente lo stato del lavoro e lo stato dei salari”.

Dopo l’intervento di apertura si è passati quindi al dibattito con gli ospiti presenti ed in collegamento, moderati da Sara Fiordaliso di Nonna Roma che ha indirizzato dibattito e domande agli ospiti intervenuti secondo un percorso che per la prima delle tre serate ha visto l’analisi degli scenari e degli strumenti di sostegno, in un’ottica funzionale allo svolgimento delle due serate successive che invece sono state incentrate sugli spazi di riforma e sulle prospettive future.

Primo ad intervenire Walter Massa, eletto recentemente Presidente Nazionale ARCI, che ha esordito facendo leva su due parole d’ordine chiave: “cura” e “prossimità”, poiché si sta uscendo da una pandemia che, pur non essendo l’unico colpevole della crisi sociale in atto, ha sicuramente accentuato una stagione di precarietà sociale ed economica ed ha contribuito a far saltare i pochissimi equilibri che erano stati raggiunti a seguito della crisi finanziaria del 2008.

Ci sono 5,8 milioni di individui sotto la soglia di povertà in un paese che fa parte della cerchia dei grandi del mondo, e tutto ciò non è accettabile” ha detto Massa, aggiungendo che tra questi poveri ci sono alcune categorie tra cui i minori, i migranti ed i precari, che “sono gli anelli più deboli di una debolezza complessiva”. Questa situazione complessiva ha alimentato, secondo Massa, una sensazione di solitudine delle persone, che in questi ultimi anni ha generato ulteriori paure, tra le quali in particolare la paura di diventare povero che a sua volta ha incrementato una lotta verso chi povero lo è già, in una sorta di razzismo tra classi verso il basso. “dobbiamo costruire un nuovo sistema di tutele perché con questa realtà dobbiamo fare i conti, perciò è nostro dovere mettere in atto quanto possibile per rendere le persone meno sole”.

Nel merito del RdC, Massa ha detto che questo ha costituito l’unica proposta concreta per provare a far sentire le persone meno sole e povere e che ha provato a ricreare degli equilibri, motivo per cui sarebbe delittuoso cancellarlo. “In questo momento di incertezza noi possiamo e dobbiamo essere parte della cura in un quadro di accoglienza verso chi è ancora solo o di chi rischia di perdere il Rdc. Sono i luoghi sociali che ricostruiscono la società, perciò possiamo essere attori del cambiamento. Ma per farlo, serve un grande lavoro di ascolto, come strumento di fiducia verso le persone che ascoltiamo”. Massa ha terminato il suo intervento ponendo l’accento su una questione importante, ossia l’attenzione da dedicare agli operatori del terzo settore, soggetti chiave di questo dibattito. Il terzo settore nelle parole di Massa, oltre essere visto “non più come un modo di eroi come un era un tempo, ma quasi come un mondo di appestati” sta oltretutto morendo di burocrazia, per cui è necessario “prendersi cura di chi si prende cura”, impegnandosi per cambiare un quadro in cui il volontariato e l’associazionismo sono sempre più schiacciati dai vincoli normativi e giuridici che ne rendono spesso impossibile qualsiasi tipo di attività.

 

L’analisi delle caratteristiche della povertà e le sue diverse accezioni

David Benassi, professore di sociologia e ricerca sociale presso l’università Bicocca di Milano, collegato on line, ha fatto una disamina tecnica del concetto di povertà e nello specifico del fenomeno della povertà in Italia, dal momento che la povertà presenta differenze anche rilevanti da paese a paese. Benassi ha sottolineato la differenza a livello accademico tra due concetti legati alla povertà, ossia quello di povertà assoluta e di povertà relativa, dove la prima fa riferimento ad un paniere predefinito di beni, mentre la seconda fa riferimento al livello medio del reddito della popolazione di riferimento, con conseguenza che si ha povertà assoluta se non si è in grado di poter acquistare il paniere di beni in questione, mentre si ha povertà relativa se si è al di sotto della soglia del reddito medio di riferimento. Benassi, focalizzando il suo intervento sul tema della povertà assoluta, ha ricordato come questa riguardi in Italia più di 5,5 milioni di individui, toccando così più di 2 milioni di nuclei familiari, ed abbia delle specificità sia a livello territoriale che anagrafico. Nelle analisi la povertà -che si concentra maggiormente al Sud ma che negli ultimi anni ha visto una crescita anche nel centronord, soprattutto nei grandi centri urbani- risulta più che raddoppiata negli ultimi due decenni, passando dal 3,6% del 2005 al 7,5% del 2022. Tale notevole incremento è dovuto sia agli effetti della crisi del 2008 sia a quelli della pandemia, a causa della quale è caduto in povertà un ulteriore milione di individui nonostante gli effetti protettivi del RdC introdotto ad inizio 2019, grazie al quale un milione di individui è riuscito invece ad emergere dal livello di povertà assoluta. Altri due aspetti chiave che determinano i presupposti di povertà sono sia il “gradiente di istruzione” per cui è più soggetto a povertà chi ha bassi livelli di istruzione, sia la distribuzione per classe di età, dal momento che in Italia la povertà diminuisce col crescere dell’età, motivo per cui ad oggi ben 1 minore su 7 è in condizione di povertà assoluta. Benassi ha voluto sottolineare il fatto che l’aspetto anagrafico costituisce una specificità di ogni Paese, dal momento che, portando l’esempio della Danimarca, in ogni realtà esistono processi molto diversi che generano la povertà. Analizzando talia e Danimarca infatti si nota come il paese nordeuropeo tuteli più le famiglie con bambini piccoli -che quindi risultano poco colpite dal fenomeno della povertà- mentre in Italia al contrario chi si trova ad essere meno a rischio sono invece gli anziani, situazione determinata dal fatto che in Italia quasi tre quarti della spesa sociale sono destinati alla pensioni e quindi alla protezione della popolazione anziana. Benassi ha inoltre sottolineato come l’Italia si trovi in posizione sfavorevole in diverse classifiche relative ad indici occupazionali (es. secondo tasso più basso di occupazione femminile, e tra i più alti tassi disoccupazione giovanile), dovuti spesso alla presenza di un solo percettore di reddito in famiglia, condizione che genera un’instabilità ed un rischio di impoverimento più alto. Benassi partendo da questi ultimi indicatori ha quindi terminato il suo lungo intervento tecnico evidenziando la necessità concentrare l’attenzione sulla necessità di strumenti relativi alla “in work poverty”, ossia la situazione in cui un nucleo familiare (o un individuo) si trova in condizione di povertà pur avendo un lavoro, motivo per cui si renderebbe necessaria l’attuazione strutturale di misure a sostegno del reddito che risulta insufficiente per via del problema dei salari bassi.

Elena Granaglia, professoressa di scienza delle finanze all’Università Roma Tre, nel sottolineare che esistono diverse configurazioni di reddito, ha detto che è necessario concentrarsi sugli interventi di sostegno strutturale, evidenziando che il RdC, che assieme ad altri strumenti è andato a riempire dei buchi del sistema, ha rappresentato una grande invenzione, nonostante l?italia sia stato praticamente l’ultimo Paese ad arrivare ad uno strumento simile. Esistono per, nell’analisi dello strumento, tre ordini di problemi che vanno affrontati.

Il primo problema è quello delle scale di equivalenza, dal momento che i 780 euro massimi del RdC non sono uguali per tutti ma sarebbe necessario differenziare il reddito rispetto alle strutture familiari dal momento che le famiglie non hanno una copertura adeguata. Per risolvere tale problema sarebbe utile porre l’attenzione anche all’introduzione di sistemi universali di trasferimento, grazie ai quali si determinerebbe una minore incidenza della povertà minorile.

Il secondo problema è quello della residenza. L’Italia infatti per il diritto al RdC chiede 10 anni di residenza, il che ovviamente esclude dalla possibilità di richiesta tutti quei migranti che, non trovandosi ad essere residenti da almeno 10 anni in Italia, non possono percepire il reddito e si trovano di conseguenza a piombare anch’essi nella fascia di povertà assoluta.

Il terzo problema, più attuale nel dibattito politico odierno, è quello della condizionalità col lavoro. Nel modo in cui è nato, ha ribadito la Granaglia, la misura ha posto delle condizioni serie in relazione all’ottenimento del lavoro -mentre in altri Paesi la misura viene mantenuta fin quando sussiste la condizione di povertà- creando un paradosso per cui alla terza proposta un individuo doveva accettare un lavoro in qualsiasi parte d’Italia, senza considerare i costi economici e sociali dovuti al trasferimento, costi che avrebbero comunque mantenuto il soggetto in condizioni di criticità. Ad incrementare la problematica della condizionalità, il fatto che secondo l’impostazione del nuovo governo ci si sposta verso un astratto criterio di occupabilità, ossia una potenzialità all’occupazione che, vista l’attuale struttura del mercato del lavoro in Italia, è l’anticamera di una situazione che non potrà che andare a peggiorare il problema delle sacche di povertà.

Da ultimo Andrea Ciarini, professore di sociologia dei processi economici della Sapienza, ha posto l’accento sull’accezione di lavoro povero. “La società della conoscenza” ha detto “è profondamente diseguale e dualistica, con componenti altamente qualificate e professioni ben gate da una parte, e professioni poco qualificate con bassi salari e bassa protezione sociale dall’altra.” Il problema, secondo Ciarini, è dovuto molto anche alla bassa produttività del settore terziario in Italia, che genera conseguentemente bassi salari. Tale situazione, che ormai ha creato un trend strutturale, necessita al tempo stesso di strumenti strutturali, tra i quali andrebbero considerati da un lato un salario minimo legale -necessario per non scendere al di sotto di un detereminato livello salariale- dall’altro varie tipologie di integrazioni salariali (work benefit) che potrebbero andare ad integrare le retribuzioni insufficienti ad allontanarsi dal rischio di povertà nonostante la presenza di un lavoro.

Ciarini ha infine concluso la serata evidenziando che il RdC è stata una grande innovazione per combattere la povertà, come dimostrato anche dalla crisi dovuta alla pandemia, ma anche per consentire di stabilizzare l’economia, dal momento che i redditi minimi hanno comunque contribuito a stabilizzare e a non rallentare eccessivamente l’economia del Paese. “In quest’ottica”, ha aggiunto “un governo deve tener conto che i redditi di sussistenza o di assistenza sono necessari ma non consentono automaticamente di trovare di per sé un lavoro, e quindi sono strumenti per i quali non è possibile puntare all’occupabilità senza tener conto della struttura di un mercato del lavoro che in molti casi non ha alcun tipo di corrispondenza tra offerta e domanda”.

 


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