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La musica strana di oggi

No, non è strano che io senta musica della mia epoca...

Dicono che io senta musica strana. È impossibile rispondere, perché ogni musica è strana a chi non la comprende. È strano secondo voi che un prete, con i finestrini abbassati, senta a tutto volume i Deep Purple andando a ritmo con la testa, fermo in auto a un semaforo? Secondo la faccia del mio vicino di vettura direi proprio di sì.

Ed è strano che io apprezzi musica senza melodia e con suoni elettronici particolari come quella di Stockhausen, trovandola addirittura rilassante? A detta dei miei amici, certamente sì.

È strano che uno senta con lo stesso piacere Bob Dylan, Sonny Rollins e Claude Debussy, anche uno di seguito all’altro? Per fortuna almeno amare Mozart alla follia non è considerato strano, anche se poi pensano, come d’abitudine oggigiorno, che in realtà sia Bach il più grande, oppure, come si diceva un tempo, Beethoven: Mozart non sarebbe abbastanza serio.

Sfiderei volentieri chi la pensa così ad ascoltare, diciamo, per cinque ore di seguito questi tre giganti e poi chiedervi alla fine come vi sentite. Dopo cinque ore di Bach penso che vi troverei spossati e inginocchiati davanti a tanto genio;

dopo cinque ore di Beethoven sareste inebetiti, in stato di muta ammirazione; ma dopo 5 ore di Mozart, invece, prendereste sotto braccio il caro Wolfgang e lo invitereste a farvi una birra insieme perché riprenda le forze e ricominci a suonare! Mozart non è forse adatto alla nostra epoca “dogmatica”, segnata da lotte tra opposti estremismi; lui mischia serio e comico, volgarità e sublimità di pensieri, cattolicesimo e Massoneria: per questo lo amo.

Eppure non posso dire che Mozart sia la mia musica. Per capirci: immaginate di avere in dono un castello del Cinquecento e non poterne modificare alcun elemento; sarà bellissimo, sarà l’invidia di tutti i vostri amici, ma quando la sera tornate lì a rilassarvi e a condividere l’affetto dei vostri cari, potete dire di sentirvi davvero a casa? Niente gabinetto, niente acqua corrente, niente termosifoni – c’è il camino – e niente wi-fi. Vi ci trovereste a vostro agio? Mozart è il vertice, ma non può essere il mio musicista, lui è della fine del XVIIII secolo, apparteniamo a mondi diversi.

Sento tutti i generi e anche questo sconcerta. Sembra che non ci riesca a raccapezzare come si possano amare i Talking Heads e Luciano Berio; non ci si raccapezza che io snobbi altri compositori più “consoni” al mio stato sociologico (essere prete).

È solo questione di immagine sociale però, perché in realtà nessuna strada musicale è preclusa alla fede cattolica (salvo nella testa di qualche liturgista da sacrestia). È solo che le mie orecchie si sono formate nella seconda metà del XX secolo e hanno vissuto con facilità gli sviluppi del XXI secolo. Le orecchie si evolvono. Ciò che sentiva un ascoltatore del XVII secolo, ciò che lo colpiva, lo incuriosiva, lo emozionava può non essere ciò a cui dà attenzione ciascuno di noi.

La musica occidentale ha avuto inoltre un suo sviluppo particolare rispetto al resto della musica mondiale. Partita dalla monodia (una melodia non accompagnata da strumenti oppure, se c’era uno strumento, esso andava all’unisono con la voce), arriva alla musica polifonica, ponendo insieme più voci, così da abituare le nostre orecchie a percepire l’insieme dei suoni, ovvero l’armonia (ad esempio gli accordi di sostegno alla melodia).

Il ritmo era meno importante, anzi, era molto controllato, per permettere la compresenza di tante voci e tante variazioni senza ulteriori complicazioni. Nella musica di fine Ottocento infine, oltre allo sviluppo di armonie sempre più complesse, si è cominciato a studiare il ritmo e le sue possibilità espressive sebbene, a dire il vero, è stato il jazz a renderlo più complesso e significativo.

C’è però un altro elemento di base di ogni musica: oltre la melodia, l’armonia e il ritmo l’elemento più sfuggente, più “umano” della musica è il timbro. Alcune opere di Bach non specificano lo strumento su cui eseguire lo spartito (come nell’Arte della Fuga), eppure per noi oggi non è la stessa cosa se a suonare quella melodia sia un flauto, una tromba o un pianoforte. Non è la stessa cosa se quella tromba la suona un giovane studente o Miles Davis: lo strumento dona voce all’esecutore e l’esecutore dona l’anima a quel suono; suono e anima sono il timbro.

Pensate alla stessa canzone cantata non solo nello stile tipico, ma con il timbro di voce di un Frank Sinatra o con la voce di un Bob Dylan: non è più la stessa canzone (al di là delle preferenze di ciascuno). Se è dal jazz che la musica classica ha dovuto imparare l’importanza del ritmo, il contributo del rock è stato quello di dare importanza al timbro. Facciamo degli esempi.

Immaginate di sentire Purple haze di Jimi Hendrix suonata allo xilofono: melodia, ritmo, armonia e passione esecutiva possono essere uguali, ma è il suono che comunica in modo principale il significato di quel brano. Immaginate di intessere intorno alla semplicità di Yesterday dei Beatles una complessa trama di violini e trombe, ed ecco che avrete ucciso la bellezza della canzone.

È il suono che ha fatto grandi i Rolling Stones (quando attaccano Brown Sugar anche il colesterolo ti si scioglie), che caratterizza i Pink Floyd, che ha fatto emergere i Dire Straits, che ha reso grandi i Radiohead, che ha scandalizzato il mondo che ascoltava i Prodigy. E non vi fate ingannare dalle pose da ignoranti che assumono alcuni rockettari:

c’è grande cultura musicale dietro a gruppi come i Sex Pistols, che vanno a recuperare una frangia dimenticata del rock degli anni ’60 (come gli Stooges e i MC5) per abbattere i morenti elefantiaci gruppi progressive ancora in vita (Yes, Jethro Tull…) e attirare i giovani sbandati delle periferie inglesi.

E questo è veicolato, prima ancora che dai testi, proprio da quel suono e da quel modo di suonare che sembra frutto di una lezione di chitarra presa prima di salire sul palco. 

L’importanza del suono, dei timbri, l’aveva già messa in evidenza Stockhausen negli anni ’50, tanto che sulla copertina del loro Sgt Pepper i Beatles ce lo infilano tra i loro eroi; anche Franco Battiato sarà agli inizi un suo fedele discepolo. Però l’importanza del timbro, del suono, degli effetti sonori, della spazialità del suono, che passa da un canale all’altro del tuo stereo, se non l’avesse messa in atto prima di tutto loro, i Beatles di Revolver (ma anche i Beach Boys di Pet Sounds), non sarebbe diventato patrimonio comune. Da allora il suono, il timbro, il mixaggio e gli effetti speciali, i suoni campionati e ogni altra elaborazione elettronica sono merce comune nel pop, nel rock, nel jazz… e nella musica classica contemporanea. 

In Stockhausen e dopo di lui in tantissimi altri – qualcuno ama come me Salvatore Sciarrino? –  non ci sono più gli sviluppi melodici di Mozart (ce ne sono di altro tipo), c’è di sicuro meno melodia, un’armonia più complessa, c’è una componente ritmica ormai acquisita e uno studio del timbro e delle fonti sonore più completa, c’è meno la variazione di un tema musicale e più la giustapposizione di episodi differenziati (così come lo schema lineare di un libro è stato rimpiazzato per molte persone dalle finestre parallele dei siti web): tutto questo mi fa sentire a casa mia. È la musica che scaturisce dal tempo in cui vivo. Non vi emoziona? Provate a sentire la Partita for 8 voices di Caroline Shaw e poi mi dite.

Haydn diceva che in un quartetto d’archi gli strumenti devono dialogare come bravi gentiluomini, senza sovrapporsi e ognuno dando il proprio contributo a quanto affermato dagli altri; non è così che discutiamo tra di noi oggi. Come lo immaginereste un quartetto d’archi che voglia imitare le nostre conversazioni? La musica della mia epoca non è un castello da ammirare, ma quando accendo lo stereo, sono nel mio ambiente e mi posso rilassare.

Ecco perché la musica contemporanea la sento quando sono libero da ogni altro impegno, perché fa arte non con i suoni della campagna (la Sinfonia n. 6 di Beethoven) ma con il caos di una città (Heiner Goebbels), non con la casta educazione di un tempo (Haydn) ma con la perversione contemporanea di un Georg Friedrich Haas.

No, non è strano che io senta musica della mia epoca, che io apprezzi chi elevi ad arte la mia vita quotidiana, il mondo in cui vivo, la cultura di cui faccio parte. Non è strano che io senta stili e generi diversi in egual modo, perché la vita che vivo oggi mi fa passare in pochi secondi da trasmissioni trash a film d’autore, da discussioni politiche al gossip più sciocco. 

Sarebbe strano invece se io mi vedessi riflesso in un signore di tre secoli fa, oppure se cantassi la mia fede con canti di un millennio fa, o se disprezzassi la mia vita e la mia cultura al punto da pensare che essa non possa essere elevata a vera arte o che addirittura non possa risultare gradita a Dio quando vado ad unire a Lui la mia vita ogni domenica.

C’è gente che trova normale andare a un concerto di musiche di secoli fa e ignorare gli autori della propria epoca; dedicarsi al gregoriano e non conoscere la musica sacra del proprio tempo; disprezzare il “blasfemo” rock e godersi il pagano Wagner. E allora mi chiedo: sarei io lo strano?

don Domenico Vitulli


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