

Sabato 2 settembre alle ore 21 presso il B&B Torre del Lago in Contrada Foce Varano si terrà un reading dei poeti vincitori e finalisti del Premio Ischitella-Pietro Giannone che sarà preceduto dalla presentazione della mia raccolta poetica inedita bilingue Straloche/Traslochi, a cura di Manuel Cohen.
Hai voglia a mascherare, a dissimulare, a fare finta di niente… La verità è che sono, come non mai, emozionato e felice e preoccupato di come le mie poesie saranno accolte. Ma non potevo non presentare per la prima volta qui, la mia ultima, spero non definitiva, raccolta. Mi è cresciuta in italiano e in ischitellano.
È una raccolta perlomeno bilingue, ma ci sono dentro termini dialettali umbri, romaneschi, napoletani, torinesi e astigiani perché da tutti questi luoghi ho tratto motivo di ispirazione e linfa poetica.
Mi piace condividere con i lettori quello che ha scritto del libro ancora inedito un’amica poetessa (di valore e notorietà nazionale, anche come critico letterario) di cui non farò il nome, per rendere le cose più misteriose come a noi poeti piace fare. Ecco il suo appunto di lettura del testo di Straloche/Traslochi:
“Ho letto subito, ieri sera dopo cena, le tue poesie. Ovviamente me le sono rilette oggi, con meno fretta e più attenzione, e lasciandomi coinvolgere da ricordi, pensieri, ironie e amarezze: le tue, ma – di riflesso – anche le mie. Perché, come è il tuo intendimento, la tua poesia parla di persone, di luoghi, di cose che inesorabilmente si perdono, ma intanto hanno costruito i giorni e la memoria. E’ una poesia della vita e sulla vita, e va bene un’espressione così composita nello stile, che passa senza fratture dalla lingua al dialetto. Ma questo è assai più musicale: come se il ritmo sonoro delle parole recasse naturalmente con sé fatti, esperienze, sentimenti lontani; o consentisse di creare corti circuiti tra la propria infanzia e quella dei nipoti (che belle la ninna nanna e la poesia dei cavallucci di Natale!). Oppure avvicinasse le persone – vive o lontane – in un dialogo affettuoso, a volte un po’ complice.
Una poesia della vita si esprime con molte tonalità: lo stupore di fronte alle cose belle che si vedono o che capitano, la gioia condivisa con persone amiche… fino alla delusione per come le cose poi evolvono e mutano, nella vita di ognuno, o, peggio, in una società che ha mancato le sue promesse.
E anche a livello stilistico ci sono differenti modalità, a volte con forme più diaristiche e aforistiche. L’esposizione tende ad un narrativo che vuole essere comunicativo ma anche sintetico, e smorza con una pacata ironia o con una velata amarezza argomenti che alludono a quel fondo tragico che fa comunque parte dello scorrere del tempo, che non sempre è amico. Le cose cambiano, le case cambiano e si deve traslocare, da un posto all’altro, da un tempo all’altro… Sono molto efficaci le poesie sulle case, sul disorientamento esistenziale che provoca il lasciarle, sul fatto che alle case si legano persone e ricordi, quindi momenti di sé stessi.
E se qualche poesia suona fin troppo… in prosa, va bene comunque, perché la poesia usa le parole affinché quanto è significativo non resti relegato al silenzio, ed esperienze vissute non siano subito dimenticate”.
Cosa aggiungere a tutto questo, se non un caloroso ringraziamento? Infatti io nella vita sono stato molto fortunato di aver conosciuto poeti di grande valore da cui ho appreso tanto. E in poesia non si finisce mai di imparare.
Concludo con una poesia che non leggerò nel mio reading di sabato 2 settembre, dedicata a mio fratello Antonio e che rievoca un nostro ancora vivo ricordo dell’infanzia. Eccola:
I cavadducce de cartone
Bellefatte allabbone
ddi duje cavadducce jèvene
e bbianghe accume
u latte munte mo mo,
bbianghe, i varde rosce e i vriglie d’ore
nu pede all’arie accume a duje cavadde
vive e, sope a duje carruzze, addrete a nuje
ce senteve u ndrundru d’i rutecedde.
Nuje priate javèmbreme, e a Vianove
tutte a mije
e de frateme Ndonie.
E i cavadducce alé appresse a nuje
ndrundru ndrundru ndrundru
ndruntru… patapum! puccate! avezate,
e ndrundru ndrundru ndrunndru, e patapum!, sckuppate n’ata vote
pe nterre: maveditte dda strate vricce e bbuche
e povri cavadducce mpuvelate
e nzaghijate…
Mo chi ciu dice a papà?
E chi refonne i solete spise
poche a poche accucchiate allammecciune
pe fàrece cchiù cuntente dd’u Natale?
I cavadducce mbrittate sott’i vracce
ce ne torname ndrete
murtefecate e appise.
Pu na penzate: pecché
nun li lavame i cavadducce
accusci bbianghe ce refanne
e mmacolate? Ma quidde
u fatte jeve che i cavadducce
jèvene de cartone
e, sotte a dd’acque ammuddate,
sope i jamme pluf ce so’ chiecate.
E l’amma viste murì
povri cavadducce, cambate
manghe mezza jurnate.
U core jève tanta nire, e u delore
accuscì forte, ce sciuscke angore,
jè u uere u nun jè u uere, Ndò?,
che manghe amma sentute
i taccarate juste de papà.
I CAVALLUCCI DI CARTONE – Bellissimi davvero / erano quei due cavallucci / e bianchi come / il latte appena munto, / bianchi, le barde rosse e le briglie d’oro, / una zampa sospesa come due cavalli / vivi e, sopra due carrettini, dietro a noi / si sentiva il ndrundru delle rotelle. / Noi contenti eravamo e la Vianova / tutta mia / e di mio fratello Antonio / E i cavallucci di corsa dietro a noi /ndrundru, ndrundru, ndrundru, ndrundru… / patapum! peccato! rialzati, e ndrundru, ndrundru, / ndrundru, e patapum! rovinati un’altra volta / a terra: maledetta quella strada di pietrame e di buche / e poveri cavallucci impolverati / e inzaccherati… / Adesso chi glielo dice a papà? / E chi rimborsa i soldi spesi, / un po’ per volta risparmiati di nascosto / per farci più contenti quel Natale? / I cavallucci sporchi sotto il braccio / ce ne torniamo a casa / mortificati e tristi. / Poi una pensata: perché / non li laviamo i cavallucci / così ridiventano bianchi / e immacolati? Ma quello / il fatto era che i cavallucci erano di cartone / e sotto l’acqua ammollati / sulle gambe pluf si sono piegati. / E li abbiamo visti morire / quei poveri cavallucci, campati / manco mezza giornata. / Il cuore era tanto nero, e il dolore / così forte che ancora fa male, / Antonio, è vero o no? / che neppure abbiamo sofferto / per le percosse giuste di papà.
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