

E’ un freddo mattino d’inverno a Val Cannuta, nella periferia di Roma, quando una decisione ufficiale scalda i cuori di chi crede ancora nel potere trasformativo dell’educazione. L’Istituto comprensivo Antonio Rosmini non si chiamerà più così.
Da oggi porterà il nome di Don Roberto Sardelli, il “parroco delle baracche”, una figura che ha dedicato la sua vita a dare voce agli invisibili.
La scelta non è casuale, né improvvisata. È il frutto di una proposta maturata tra le aule di quella stessa scuola e approvata con entusiasmo dalla giunta capitolina.
La dirigente scolastica l’aveva chiesto, il consiglio d’istituto aveva detto “sì” all’unanimità, e ora il nome di Don Sardelli diventa parte del presente e del futuro di questa comunità educativa.
Per capire chi fosse Don Roberto Sardelli, bisogna tornare indietro nel tempo, agli anni ’70.
Roma era una città che cercava di scrollarsi di dosso le sue contraddizioni, ma tra le ombre dell’Acquedotto Felice, c’era una realtà difficile da ignorare: baracche fatiscenti, famiglie dimenticate, bambini senza un futuro.
Don Roberto non si limitò a osservare quell’inferno. Ci si trasferì.
In una di quelle baracche, la numero 725, accese una luce. Non una luce qualsiasi, ma quella dell’istruzione, della consapevolezza.
La “Scuola 725” nacque così, tra legni e lamiere, come un miracolo quotidiano. Don Roberto insegnava ai bambini non solo a leggere e scrivere, ma a riconoscere il proprio valore, a credere in una possibilità di riscatto.
“Finché ci sarà un uomo che conosce 200 parole e un altro che ne conosce 2000, il primo sarà sottomesso all’altro.” Queste parole, che oggi accolgono chiunque visiti il sito dell’istituto comprensivo, erano il mantra del parroco.
Un insegnamento ereditato da Don Lorenzo Milani, che Sardelli aveva fatto suo, adattandolo alla cruda realtà dei più poveri.
Per l’Istituto comprensivo Rosmini, questo cambio di nome non è un semplice omaggio.
È una dichiarazione d’intenti, un impegno a continuare il percorso di chi ha scelto di stare accanto agli ultimi, ascoltandoli e accompagnandoli. “Don Sardelli è stato un riferimento concreto nel percorso che la nostra scuola ha intrapreso negli ultimi anni”, ha spiegato la dirigente scolastica.
Il legame con il sacerdote non si limita ai principi. Don Roberto aveva trascorso gli ultimi anni della sua vita vicino alla scuola, ed è rimasto per molti un simbolo di accoglienza e di umanità.
La storia di questa intitolazione è anche una storia di seconde occasioni. Non tutti sanno che, nel 2024, un’altra scuola di Cinecittà Lamaro aveva rifiutato di rendere omaggio a Don Sardelli.
La proposta di dedicarvi l’istituto di via Messina era stata bocciata: “Non è abbastanza conosciuto”, dissero allora. Fu un colpo duro per chi sperava di mantenere vivo il ricordo del parroco, e anche il presidente del Municipio VII espresse il proprio dispiacere.
Ma Val Cannuta ha raccolto quel testimone. Ora, l’Istituto comprensivo di via Giorgio del Vecchio porta con sé una responsabilità: essere all’altezza di un uomo che ha cambiato la vita di tanti, senza mai chiedere nulla in cambio.
Con 898 studenti e 21 classi, la scuola intitolata a Don Roberto Sardelli diventa un simbolo per l’intera città.
È un messaggio potente, che riecheggia nelle aule e nei corridoi: non si può ignorare chi è in difficoltà, non si può accettare che qualcuno venga lasciato indietro.
Don Sardelli ha insegnato che l’educazione è il più grande strumento di libertà.
Ora, tocca alle nuove generazioni raccogliere quell’insegnamento, affinché le baracche diventino solo un ricordo e le scuole continuino a essere fari di speranza per tutti.
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