

Sabato 9 gennaio 2016 alle ore 18,30 e domenica 10 gennaio, alle ore 18,oo nel Palazzetto Borghese, la rappresentazione con testi di F.O., letture di Francesco Antonazzi e Anna Maria Blasi, Giuseppe Crispo, Cinzia Meloni
Sabato 9 gennaio 2016 alle ore 18,30 e domenica 10 gennaio, alle ore 18,oo nel Palazzetto Borghese, in Piazza Cavour 3, a Morlupo (RM) si terrà la rappresentazione di Zippitì Zippitè, nell’ambito delle manifestazioni del Centro Internazionale Eugenio Montale intitolate La musa dialettale. Lo spettacolo è inserito fra gli eventi organizzati dall’associazione Fratelli di Sant’Antonio Abate di Morlupo in collaborazione con l’associazione culturale Il Gallo Canta.
I testi sono di F.O. tratti da La filastrocca morlopese Mo vve dico. Letture di Francesco Antonazzi e Anna Maria Blasi, Giuseppe Crispo, Cinzia Meloni. Presenterà la serata Cristiana Marcone. Gli interventi musicali sono di F. Antonazzi – G. Crispo – con intermezzo di brani popolari eseguiti dal duo Elisa Tonelli e Gabriele Manzi, appena reduci dello spettacolo teatrale Fertile che ha riproposto musiche antiche rivisitate attraverso lo jazz più moderno.
Nel sottotitolo del manifesto, che annuncia l’incontro teatrale, spiccano i versi: Tutto passa, a ppocu a ppocu/ ce rimane u taccafonnu./ ‘Ndo’ c’è ‘a bbrace ‘un c’è lu focu./ Tutto quanto se scancella/ si sse smorza la memoria. E’ questo dunque il senso del nuovo spettacolo teatrale che fa parte di una lunga serie dedicata alla storia più recente di Morlupo “raccontata in rime e note”. L’evocazione di aneddoti, costumi e usanze locali, otre ad essere un’occasione di incontro fra persone che si sono smarrite nella moderna quotidianità , è anche un modo di conservare un patrimonio immateriale che ha fulcro nel dialetto, e che deve essere preservato a tutti i costi al fine di mantenere un affaccio sul passato per consentire un orizzonte consapevole verso il futuro. A tale proposito possono valere le riflessioni apparse in una rivista locale e dedicate ai cambiamenti e cui vanno incontro le piccole comunità ormai culturalmente disaggregate, per non dire dissolte, dalla celerità dei mutamenti economici e sociali: “C’era sempre la chiave sulla porta di ogni abitazione. Non bisognava neppure bussare. Semmai, quella chiave era un simbolo di accoglienza: il segnale che qualcuno all’interno era in attesa dell’ospite. Quale ospite? Ciascuno era ospite dell’intera comunità cittadina.”
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