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23 settembre 1943: la Repubblica di Salò e il sacrificio di Salvo D’Acquisto

70 anni fa un giorno simbolico per l’Italia nella bufera della II Guerra Mondiale

Nella storia del nostro paese esistono fatti ed episodi, che con il passare degli anni diventano simboli – positivi o negativi – sempre più nitidi e comprensibili. Spesso aiutano ad interpretare e a leggere il tempo che viviamo, perché il futuro si costruisce anche conoscendo vicende accadute nel secolo scorso.

Queste sono la due vicende note, ma non a molte persone, accadute 70 anni fa: il 23 settembre 1943.

La prima. L’8 settembre 1943, fu dato l’annuncio dell’armistizio che l’Italia aveva concluso con gli Alleati. Dopo tale data i tedeschi occuparono rapidamente l’Italia e catturarono migliaia di militari, inviandoli nei campi di prigionia. Furono circa 600 mila  i soldati italiani fatti prigionieri perché rifiutarono l’adesione alla Repubblica di Salò. La situazione degli italiani si fece ancora più drammatica anche perché la Repubblica di Salò dei fascisti, veniva definita la Repubblichina e con disprezzo veniva chiamata così dagli antifascisti. A quel punto tutti gli italiani dovettero decidere se schierarsi con la Repubblica di Salò, con Mussolini, o contro i fascisti con il Regno d’Italia. Alcuni, specialmente molti giovani, si sentirono traditi dalla Monarchia e si schierarono con il Duce e si arruolarono nel suo esercito, sostenendo dal loro punto di vista, di “combattere credendo nella difesa della Patria”. Non tennero conto del fatto che si erano schierati dalla parte della dittatura che collaborava con i nazisti. Altri, invece, scelsero di combattere contro i fascisti. Diventando cosi partigiani: coloro che combattevano contro gli invasori del proprio Paese, con la volontà di riscatto, con la speranza di libertà e giustizia.

Repubblica Sociale Italiana (RSI) è questa la denominazione assunta dal regime fascista repubblicano, instaurato il 23 settembre 1943, da Mussolini, rientrato nel frattempo in Italia, (dopo un blitz dei tedeschi il 12 settembre 1943, in un albergo di Campo Imperatore, sul Gran Sasso dove era tenuto prigioniero, dopo la caduta del fascismo, il 25 luglio 1943, e trasferito in Germania), che si autoproclama capo dello Stato, del governo e duce del nuovo partito fascista repubblicano. Al generale Graziani viene affidato il compito di riorganizzare l’esercito con armi e istruttori tedeschi e Pavolini è nominato segretario del neo costituito partito fascista. Il nuovo Stato comprendeva le regioni del Centro – Nord dell’Italia, occupate dai tedeschi, ad eccezione dell’Alto Adige, del Friuli, della Venezia Giulia e dell’Istria, annesse di fatto al Terzo Reich. Il nuovo governo si insediò nei pressi di Salò, sul Lago di Garda, mentre i ministeri furono dislocati in varie sedi dell’Italia settentrionale.

Il programma della RSI riesumava, nel tentativo di conquistare il consenso popolare, le formule rivoluzionarie del primo fascismo e prevedeva, tra l’altro, l’abbandono delle corporazioni, forme avanzate di legislazione sociale e la partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese. I tedeschi e gli ambienti industriali e finanziari osteggiarono le illusioni dei fascisti, e soprattutto gli scioperi nelle fabbriche e la crescente opposizione operaia alla RSI, che subordinata ai nazisti, svolse un’azione prevalentemente militare nel conflitto con l’esercito alleato e il movimento partigiano.

Quindi la RSI imposta a Mussolini dai tedeschi, come strumento di controllo dell’ordine dell’Italia occupata, aveva una sovranità limitata e senza consenso. Basti ricordare che dei 180 mila giovani chiamati alla leva del 1943, nel territorio della Repubblica di Salò, solo 87 mila si presentarono per assolvere al precetto militare. Tutti gli altri disertano, fuggono in montagna e vanno ad ingrossare le file dei partigiani, nonostante i rastrellamenti compiuti congiuntamente alle truppe naziste, e Graziani non riesce a riorganizzare l’esercito. Dietro alla vicenda dei 600 giorni di Salò, questa è stata la durata della RSI, si nasconde la fragilità di un apparato che si regge sulla forza militare germanica e che si dimostra succube delle più spietate direttive dell’alleato nazista.

In un’atmosfera da tragedia crepuscolare, la Repubblica di Salò esaspera l’agonia del fascismo e la situazione interna di un Paese già provato dalla tragedia della guerra,che si concluderà negli ultimi giorni dell’aprile 1945, cessando di esistere ufficialmente, il 2 maggio 1945, con la “Resa di Caserta”.

La seconda. Il sacrificio del vice brigadiere dei Carabinieri, Salvo D’Acquisto, di 23 anni. La vicenda si svolge a Torre di Palidoro, zona extraurbana, vicino Roma, sulla via Aurelia, oggi comune di Fiumicino. Un reparto di truppe tedesche delle SS insediatosi presso alcune vecchie postazioni, precedentemente in uso alla Guardia di Finanza, e alcuni soldati tedeschi che ispezionavano casse di munizioni abbandonate, furono investiti dall’esplosione di una bomba a mano; uno rimane ucciso e due feriti. Le versioni sull’accaduto si differenziano, i tedeschi “gridano” all’attentato, più probabile invece l’ipotesi di un incidente, avvenuto magari rovistando imprudentemente in una cassetta con all’interno delle bombe a mano, lasciata dagli “ex inquilini” della caserma, i finanzieri.

La mattina seguente, comunque, la reazione delle SS non si fa attendere; il comandante del reparto tedesco, recatosi a Torrimpietra per cercare il comandante della locale stazione dei Carabinieri, vi trova il vice brigadiere D’Acquisto, al quale ordina di individuare i responsabili dell’accaduto. Il giovane Salvo tenta di convincerlo che si è trattato di un incidente, inutilmente. Più tardi, Torrimpietra è circondata dai tedeschi e 22 cittadini vengono rastrellati, caricati su un camion e trasportati, fuori del paese, presso la Torre di Palidoro, per essere fucilati. D’Acquisto prova ancora una volta a convincere l’ufficiale tedesco della casualità dell’accaduto, ma senza esito. Anzi D’Acquisto viene prelevato in caserma e “interrogato” per rivelare i nomi dei responsabili dell’attentato. La risposta fu che gli ostaggi erano innocenti, perché l’esplosione era stata accidentale. I tedeschi costringono gli ostaggi, compreso D’Acquisto, a scavarsi una grande fossa comune, alcuni con le pale, altri a mani nude. Le operazioni di scavo si protrassero per alcune ore, per la ormai prossima loro fucilazione.

A quel punto, secondo la testimonianza di Angelo Amadio, uno dei 22 cittadini rastrellati: “ Fummo tutti rilasciati eccetto il vice brigadiere D’Acquisto. Ci eravamo rassegnati al nostro destino, quando il sottufficiale D’Acquisto parlamentò con un ufficiale tedesco a mezzo interprete. Cosa disse il D’Acquisto all’ufficiale non c’è dato di conoscere. Sta di fatto che poco dopo fummo liberati; io fui l’ultimo ad allontanarmi da detta località.” Per salvare i cittadini innocenti, l’eroico carabiniere (ovviamente estraneo ai fatti) si autoaccusa come responsabile dell’attentato e chiede che gli ostaggi vengano liberati (un gesto che ancora oggi rimane uno dei massimi esempi di coraggio e nobiltà d’animo nella storia del nostro Paese). Subito dopo il loro rilascio, il vice brigadiere Salvo D’Acquisto viene freddato da una scarica del plotone d’esecuzione, gridando “Viva l’Italia”. Era il 23 settembre 1943.

D’Acquisto era nato a Napoli il 15 ottobre 1920, si arruolò giovanissimo nell’Arma, volontario a Tripoli in Libia, rimase ferito a una gamba, rientrato in Italia, frequentò la Scuola Sottufficiali a Firenze e fu destinato nel dicembre 1942, al comando di Torrimpietra. A Salvo D’Acquisto sono intitolate: caserme, scuole, lapidi e monumenti in molte parti d’Italia, oltre a opere culturali.

La sua figura fu ricordata dal papa Giovanni Paolo II che, in un discorso ai Carabinieri, il 26 febbraio 2001, ebbe a dire: “La storia dell’Arma dei Carabinieri dimostra che si può raggiungere la vetta della santità nell’adempimento fedele e generoso dei doveri del proprio Stato. Penso, qui, al vostro collega, il vice brigadiere Salvo D’Acquisto, medaglia d’oro al valore militare, del quale è in corso la causa di beatificazione.”

 

Queste due vicende storiche richiamano alcune radici di un popolo. Oggi, una comunità civile e democratica si costruisce e vive su valori condivisi, perché gli orrori della guerra non si debbono più ripetere, e debbono lasciare il posto alla pace, al progresso e alla giustizia che significano anche solidarietà e speranza.


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Un commento su “23 settembre 1943: la Repubblica di Salò e il sacrificio di Salvo D’Acquisto

  1. Pur riconoscendo l’atto eroico di Salvo d’Acquisto, è possibile che il ri-nascente partito fascista (repubblica di Salò) abbia utilizzato il martire D”Acquisto per propagandare come un “suo” martire?

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