A Roma è urgente “un simbolo visibile e permanente” perché le vittime del terrorismo non siano dimenticate       

Un appello a Gualtieri, Rocca e Sangiuliano

Sono sedici anni che si celebra nel nostro Paese il “Giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo interno e internazionale, e delle stragi di tale matrice”, con una significativa manifestazione, che si svolge nel Palazzo del Quirinale alla presenza delle più alte cariche dello Stato e dei familiari dei caduti a causa del terrorismo. Questa ricorrenza della Repubblica Italiana fu istituita con una legge del 4 maggio 2007, e la data simbolo scelta è quella del 9 Maggio, il giorno in cui gli assassini dell’On. Aldo Moro comunicarono dove trovare il corpo dello statista ucciso.

Il Presidente della Democrazia Cristiana era stato sequestrato 55 giorni prima (era il 16 marzo 1978) a seguito di un attacco terroristico in via Fani, nel quartiere della Camilluccia a Roma, a opera delle Brigate Rosse, dopo aver barbaramente trucidato gli agenti della sua scorta Oreste Leonardi, Domenico Ricci (Carabinieri), Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi (Agenti della Polizia di Stato).

Questo drammatico atto rappresentò il culmine della sfida brigatista allo Stato. Per ricordare quei giorni drammatici, densi di paura, di incertezze, di timori per la nostra Repubblica, mentre si cercava in tutta Italia il covo dei brigatisti dove era tenuto prigioniero Moro, un episodio inaspettato e autorevole suscitò nuove speranze e aspettative nel mondo politico e nell’opinione pubblica del nostro Paese.

Papa Giovanni Battista Montini, Paolo VI (oggi Santo), lanciò un appello all’Angelus da piazza San Pietro, per il rilascio di Moro e scrisse una lettera agli uomini delle Brigate Rosse, il 21 aprile 1978, chiedendo di restituirgli la libertà. Descrivendolo come “uomo buono e onesto”, il Pontefice aggiunse: “Vi prego in ginocchio, liberate Aldo Moro, semplicemente, senza condizioni in virtù della sua dignità di comune fratello in umanità, e per causa che io voglio sperare avere forza nella vostra coscienza, d’un vero progresso sociale, che non deve essere macchiato di sangue innocente, né tormentato da superfluo dolore.” Le Brigate Rosse ignorarono l’appello accorato del Papa.

Due mesi dopo la morte di Aldo Moro, il 9 luglio 1978, di fronte al Parlamento riunito (Camera, Senato e Rappresentanti Regionali), il nuovo Presidente della Repubblica Sandro Pertini, eletto al 16° scrutinio, successore del dimissionario Giovanni Leone, giurò solennemente fedeltà alla Repubblica e subito dopo pronunciò il suo discorso d’insediamento.

Espresse alti concetti, con esemplare semplicità, facendo emozionare l’assemblea, e ricordando Aldo Moro come uomo onesto, politico di alto ingegno e di vasta cultura. Sottolineò con forza: “Quale vuoto ha lasciato nel suo partito e in questa Assemblea! Se non fosse stato crudelmente assassinato, lui, non io, parlerebbe oggi da questo seggio a voi”. Il Presidente Pertini con la sua sincerità, cercò di far capire i pericoli che l’Italia aveva corso e correva, con la presenza e le azioni di violenza del terrorismo, a chi aveva ancora dubbi.

Anche nel “Giorno della memoria” di questo 2023, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha fatto sentire “forte e chiaro” il suo pensiero sulla drammatica stagione del terrorismo, chiamati anche “anni di piombo”. Una sorta di “lectio magistralis” che si interpreta come “lettura o lezione del maestro” che da nove anni ricorda agli italiani (cosi come il suo predecessore Giorgio Napolitano) di non dimenticare e fare memoria che “i terroristi e i loro complici – così come i cattivi maestri che hanno sostenuto e propagandato la violenza politica – hanno attentato alla vita di donne e uomini con l’obiettivo dichiarato di scardinare l’ordinamento democratico”, della Repubblica Italiana.

Il nostro Paese ha subito la lotta armata per oltre 20 anni (l’inizio di questo periodo viene identificato con la strage della Banca di piazza Fontana a Milano, il 12 dicembre 1969, con 17 morti e 68 feriti), un arco di tempo che comprende gli anni 1970 e 1980, anche se singoli episodi si sono manifestati negli anni successivi, causati dal terrorismo internazionale. Le vittime dell’eversione e del terrorismo, (le stragi a opera di formazioni dell’estrema destra, spesso con il sostegno di settori deviati dello Stato e quelli delle Brigate Rosse e delle organizzazioni terroristiche extraparlamentari di sinistra), sono state circa quattrocento, fra questi: caduti appartenenti alle forze dell’ordine, magistrati, militari, uomini politici e attivisti, manager e sindacalisti, giornalisti, ignari passanti, tra cui donne e bambini.

Su molte vicende che hanno mortificato il nostro Paese, e “creato dolore indicibile e irrecuperabile delle famiglie a cui la lotta armata o i vili attentati hanno strappato un coniuge, un figlio, un genitore, un fratello o una sorella” c’è molto da dire “non si conosce ancora la piena verità” così come ha ricordato il Presidente Mattarella. Ci sono tante mezze verità su episodi sui quali la Magistratura continua gli accertamenti e le ricerche, per individuare compiutamente mandanti ed esecutori.

Oggi esiste una grande esigenza, per non cadere nell’oblio della sospensione del ricordo, quella di non dimenticare chi è caduto a causa della violenza politica. La memoria deve essere coltivata, raccontata, testimoniata da chi ha vissuto quel periodo difficile. E’ importante ricordare la data del 9 maggio e dei molti eventi drammatici nelle località dove sono avvenuti, ma occorre avere un simbolo unitario, dove “tutti i caduti, vittime della lotta armata” abbiano la stessa dignità.

In passato si è parlato di un progetto per un Museo sui caduti del terrorismo, poi di un Memoriale oltre ad altre forme di presenza, da realizzarsi nella Capitale, malgrado impegni e manifestazioni di disponibilità, in anni diversi, della Regione Lazio, del Comune di Roma e del Ministero dei Beni Culturali, ma di concreto non si è realizzato nulla. “Un simbolo visibile e permanente”, dovrebbe essere una risposta, così come auspicata in passato anche da alcune Associazioni delle vittime del terrorismo, “per testimoniare la validità e il valore del sacrificio compiuto dai cittadini e servitori dello Stato per difendere la libertà e l’ordinamento democratico, dovendosi talvolta registrare un’attenzione minore verso le vittime che verso i loro carnefici”.

Occorre dire chiaramente che è presente la tendenza a sminuire il passato e gli anni di piombo, ma tutto questo non può influire sulla memoria, sulla coscienza collettiva della nostra società, e non può incidere in particolare sulla formazione e la conoscenza dei giovani, sulla storia del nostro recente passato.

Da qui un appello al Sindaco di Roma Gualtieri, al Presidente della Regione Lazio Rocca e al Ministro della Cultura Sangiuliano, perché trovino forme e modi per realizzare “Un simbolo visibile e permanente”, nel quale le vittime di quel drammatico periodo storico, siano ricordate tutte con la stessa dignità, esse fanno “parte a pieno titolo, della storia repubblicana”.


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