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Ambarabà…

Nuova Dieta per crescere meglio i bambini. Ricetta n. 1

I bambini non sono più quelli di un tempo. Forse gli ultimi che si entusiasmavano a favole orripilanti, fatte di streghe, fate, principi più o meno azzurri e draghi, orchi, insieme a mele avvelenate, sono stati quelli della mia generazione. Sì è vero, e abbiamo gioito a filastrocche quasi sempre prive di senso compiuto, senza chiederne spiegazione agli adulti, con rime e metrica rabberciate, ma carezzevoli all’orecchio.

Le generazioni venute dopo non si sono accontentate più. Per loro la fantasia si è, mano, mano, riempita di robot e la voglia di sognare è scivolata verso pianeti immaginari, raggiungibili con astronavi fino allora improbabili, anche se il progresso – non la civiltà – stia concretizzando ciò che fino a settant’anni fa sembrava fantascienza. Eppure gli stessi nonni, la letteratura per l’infanzia e la pubblicità, il più delle volte, sembrano non volersene rendere conto.

Per questo si impone un’autocritica, prima di affrontare la letteratura che oggi sarebbe la più idonea a distrarre i più giovani da vicende poco edificanti e poco formative che affascinano con guerre stellari tra buoni e cattivi, riattizzando così – mettetela come vi pare – l’attrazione verso la guerra dove, ahimè, nella realtà non sempre vince il bene sul male e non sempre il cattivo paga per le colpe commesse. Viene da rimpiangere l’invito sessantottino Fate l’amore, non fate la guerra!

Anni fa, Gianni Rodari ci provò a smitizzare i racconti per bambini con le Favole a rovescio, una serie di inversioni dove Cappuccetto Rosso aggredisce il lupo, Biancaneve picchia i sette nani, il Principe sposa la brutta sorellastra di Cenerentola e la Bella Addormentata non riesce a prendere sonno. Lodevole iniziativa, improntata al rovesciamento della tradizione narrata, quasi a dimostrare che anche le favole – come del resto la vita – non possono avere tutte un lieto fine e che talvolta si complicano per imprevisti, il tutto a ridimensionare la credenza popolare portata a ritenere che i buoni sono sempre da una parte, pronti e capaci di dare il loro contributo affinché il racconto prenda la piega che il lettore si aspetta. Uno sforzo forse troppo ambizioso per essere compreso dai bambini, senza il supporto di un genitore a fare chiarezza sull’intento prefissosi dall’autore.

Diversamente, questo lavoro a puntate si ripropone di fare chiarezza su molte favole, e ancor più su filastrocche, con le quali si continua a nutrire i più piccoli, dal contenuto assurdo, diseducativo o insensato, prendendone come esempio qualcuna, e risparmiando dalla critica il Libro Cuore, troppo affollato di vicende stereotipe, insistenti sulla retorica del buonismo, il patriottismo, la devozione, aspetti che omnia curant.

Partiamo allora da una filastrocca: Ambarabà, ciccì, coccò / tre civette sul comò / che facevano l’amore con la figlia del Dottore / il Dottore si ammalò / Ambarabà, ciccì, coccò.

E’ scontato che, dando seguito al contenuto della cantilena, basta un minimo di buon senso per immaginare lo sgomento del povero Dottore nell’accorgersi che, all’interno delle molteplici patologie fuorvianti il sano comportamento della psiche giovanile, l’amore ornitologo che spinge una ragazza a farsela non con una, ma addirittura con tre civette (ossia, per maggior chiarezza: civettoni! ma in tal caso la metrica andava a farsi benedire), rappresentava un disturbo non ancora censito in nessun trattato di malattie nervose. Se a seguito della casuale scoperta, il povero medico si lascia cadere in depressione e sarebbe accaduto a chiunque, tanto più a un uomo che ha studiato anatomia, neurologia. farmacologia e quant’altro riguarda la salute del corpo umano. Quello poi che sconcerta è che la filastrocca viene reiterata ogni volta che si deve decidere a chi tocca l’incipit di una qualunque attività che necessiti di un “volontario” a dare il “via alle danze”. Inutile sottolineare quanto la sorte del povero Dottore mi ha da sempre rattristato, chiedendomi ogni volta: chissà se in seguito si sarà ripreso dalla malattia. Niente da fare. La filastrocca non se lo fila proprio.

E la favola di Pollicino, dove la vogliamo mettere? Più avanti parleremo anche di lui e dei suoi “pochi ma onesti” genitori. Ma di questo vi rimando un’altra puntata.


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