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Antibiotici. Di chi la colpa?

L’Italia è il Paese europeo con la più alta percentuale di resistenza verso quasi tutti gli antibiotici

“L’Italia è il Paese europeo con la più alta percentuale di resistenza verso quasi tutti gli antibiotici. Lo indicano dati presentati giovedì 11 febbraio a Roma in un convegno con il patrocinio del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità, per fare il punto sulla lotta ai «superbatteri»”.

2943-antibiotici-ai-bambini-rischio-malattie-apparato-digerente_coverL’allarme non riguarda solo l’Italia, anche se come accade troppo sovente e per troppi aspetti è maglia nera. Si tratta di un problema che mette in apprensione la sanità di tutto il mondo.

Ho lavorato per molti anni alla messa a punto di processi industriali per la produzione di penicilline e cefalosporine fin dall’ormai lontano 1971. Già allora si parlava di resistenza batterica agli antibiotici. Si esemplificava il fenomeno, per i non addetti ai lavori, spiegando che mentre l’uomo fabbricava serrature sempre nuove, il batterio nella sua officina meccanica lavorava senza sosta a studiarle per fabbricare chiavi atte ad aprirle per renderle inutili e inoffensive. O se volete rovesciare la situazione, l’esempio calza ugualmente col batterio che si difende costruendo nuove serrature e sbarrando l’ingresso all’antibiotico e l’uomo a studiare nuove chiavi per aprirle. Quando iniziai a conoscere le beta lattamine, il gruppo di antibiotici formato appunto da pen e cef, il problema della resistenza batterica era già conosciuto, ma ancora limitato soprattutto alle primissime penicilline, ormai praticamente andate in disuso. Ma proprio in vista di una ipotizzata crescita della resistenza, la ricerca lavorava per mettere a punto nuovi antibiotici, sempre più difficili da inattivare, enigmi sempre più astrusi per essere risolti dal batterio. E fin qui sarebbe filato tutto nella più razionale e logica strategia se …

  • le case farmaceutiche avessero tenuto i nuovi antibiotici sotto chiave
  • i medici fossero rimasti sordi al richiamo delle sirene del marketing e della pubblicità, rifiutandosi di cambiare – faccio un esempio – l’ampicillina, che funzionava bene come antibatterico, con una più potente cefalosporina di nuova generazione
  • i medici, ancora, avessero tuttora il coraggio di non prescrivere l’antibiotico, a rischio di perdere il cliente, là dove lo ritenessero inutile di fronte a infezioni virali, o superfluo nei confronti di infiammazioni di poco conto, per le quali l’organismo sia ritenuto in grado di reagire da solo
  • i pazienti non ricorressero all’automedicazione, andando a imbottirsi da soli di antibiotici senza prescrizione medica di fronte a un semplice raffreddore
  • i farmacisti si rifiutassero di vendere l’antibiotico, senza la dovuta prescrizione.

Tutto ciò non è accaduto e non accade. Pertanto la causa ci riporta a monte. Troppi nuovi antibiotici sono stati immessi sul mercato per il business e il profitto delle ditte farmaceutiche produttrici, in assenza dei quali oggi esisterebbero nuove molecole antinfettive da utilizzare, sconosciute al batterio, bisognoso di tempo per inattivarle. Ed è là il peccato originale che – scusatemi la presunzione – avevo già intuito anni fa, quando lavoravo per la messa in produzione di nuove cefalosporine, volute dalla società per cui lavoravo, in un periodo nel quale ancora funzionavano benissimo le collaudate penicilline, già vecchie di vent’anni.

Oggi esiste ed è concreta la preoccupazione mondiale per l’aumento di ceppi batterici resistenti, a fronte della mancanza di nuovi antinfettivi capaci di combatterli. La soluzione? Sferzare la ricerca a produrne di nuovi e più efficaci. Attenti, però, all’uso che in futuro ne sarà fatto da tutti, indiscriminatamente. In primo luogo sarà determinante la scelta del marketing delle case farmaceutiche che riusciranno nell’intento. La corsa ad immetterli sul mercato sarà, ancora una volta, la prima responsabilità del produttore.


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