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Il QiGong raggiunge le pazienti oncologiche all’ospedale Sant’Andrea

Era un progetto, e già ora è realtà. Il mio racconto e quello di Eleonora e Daniela

Siamo farfalle che volano sul posto, incapaci di lasciare anche il più piccolo dei fiori. Siamo il vetro soffiato di Murano, nella sua ironica, quasi insostenibile leggerezza dell’essere. Siamo, a volte, la nota più alta del tenore, affinché nessun dorma sul nostro sentire. Siamo la prima pagina del libro sul tuo comodino, con l’attesa, il desiderio d’evasione, la fugace estraneità delle prime righe della storia. 

Siamo al primo piano dell’Ospedale Sant’Andrea, il giovedì mattina, nella sala in cui si tiene il corso di QiGong per pazienti oncologici. Questo corso lo dobbiamo alla prof. Federica Mazzuca, direttore dell’UOC Oncologia Sant’Andrea, e al suo progetto di ricerca multidisciplinare sugli effetti del QiGong.

Ne abbiamo già parlato su queste pagine nel momento in cui è stato illustrato con dati e obiettivi dalla dott. Monia Specchia, presso la facoltà di Medicina dell’Università Sapienza di Roma, circa un mese fa. Ci ha impiegato un attimo a diventare realtà. 

E così, questa calda estate romana, punteggiata da questo appuntamento, ci sta conducendo altrove, crediamo più lontano possibile da ogni patologia. E ognuno va a suo modo, perché diversi sono i percorsi, diversi i contesti e le velocità. Ci assiste e sostiene la dottoressa Eva Mazzotti, psicologa e coordinatrice degli studi clinici della UOC di Oncologia medica del Sant’Andrea, mentre ci insegnano ogni cosa i Maestri Sergio Marzicchi e Fabrizio Pucello.

Che poi non sono semplicemente i nostri Maestri, Sergio e Fabrizio sono fisioterapisti che utilizzano, oltre al QiGong, il Taijiquan, la terapia manuale e la medicina cinese. Insomma, non so immaginare quanto lavoro ci sia dietro le quinte ma raccontare ciò che va in scena è già molto. Non si possono infatti intervistare le fate, perciò, di quel che mi circonda, riferirò parole, pensieri, sentimenti scambiati in momenti rubati alle lezioni dei giovedì trascorsi. 

C’è Eleonora, signora solare, biondissima, sorriso accogliente, che mi dà il buongiorno e, in attesa che inizi la lezione, finisce col raccontare che, quando ha saputo quale sarebbe stato il suo percorso medico, ha indossato l’elmetto per combattere contro questo nemico invisibile e insidioso.
“Questa cosa mi ha caricato di adrenalina senza che me ne accorgessi – dice – e senza pensare che prima o poi mi avrebbe presentato il conto. La consapevolezza di come sarebbe cambiata la mia vita nelle cose quotidiane non mi sfiorava.

Sembravo calma, riscuotendo anche il plauso di chi invece aveva preso male il mio stesso referto. Ma la calma apparente, dopo molto tempo, quando già avrei dovuto essere tranquilla, si è trasformata in tristezza, fiato corto ed attacchi di panico. Credevo, e tutt’ora ne sono convinta, di essere una che non molla, … ma poi capisci che il cervello ti manda una serie di messaggi che ti inducono a fermarti, a valutare la tua vita da un’altra prospettiva.’

Poi aggiunge: ‘il fatto stesso che la sera quando vado a letto mi senta come un pugile suonato, mi conferma che non sto pensando effettivamente a me stessa ma a fare tutte le cose come se stessi facendo i compiti a casa.
Il Qigong mi sta insegnando a mettere un punto in qualsiasi momento della giornata.
Quello che ho compreso nella lezione di giovedì scorso, è che basta fare un gesto, anche una battuta di mani, per interrompere il loop negativo di moto o di pensiero nel quale mi trovo aggrovigliata in quel momento’. 

Questi gesti, di cui parla Eleonora, che ripetiamo in ogni lezione, le figure che compongono, la coreografia che incuranti realizziamo, il ritmo misurato e l’eleganza del tutto, mi resta nel cuore da un giovedì all’altro e, poco a poco, ripara strappi che non pensavo avrei più ricucito.

Mio figlio adolescente, che resta sul letto al mio fianco quando torno a casa dopo le chemio, e d’improvviso adolescente non è più; mia madre che mi prepara tisane a non finire e mi riempie la casa di fiori; mio marito spaventato; la parrucchiera che piange mentre mi taglia i capelli. Ma Sergio ci dice di tirare su le braccia e aprirle al cielo: ‘spingere il cielo’, si chiama; ‘accettare ciò che viene’, vuol dire.

Una delle più giovani di noi si chiama Daniela, il suo bambino ha 6 anni, quando tutto è iniziato ne aveva 5. Nonostante amici, medici e parenti le dicessero di affrontare con lui il discorso della sua malattia, lei ed il marito hanno scelto di non farlo.

“Come si può spiegare a un bambino? – dice Daniela mentre poggiamo le borse e ci disponiamo in semicerchio – Dovevo ancora capirlo io a cosa stavo andando incontro, come potevo spiegarlo a lui?” Allora le chiedo come abbia fatto a gestire il periodo della terapia e il bambino, “non avevo ancora iniziato – racconta Daniela – ma sapendo che presto sarebbe arrivato il giorno in cui i miei lunghi capelli non sarebbero più stati miei, una sera, accanto a lui nel lettone, mi è venuto in mente di indossare un cappellino, con la scusa di dover applicare una crema nutriente per far diventare i miei capelli più belli.

Ho iniziato così per gioco, e vedendo lui tranquillo nel vedermi con il cappello in testa, mi sono sentita più serena. Da quel giorno, per nove lunghi mesi, non l’ho più tolto. Mesi in cui, sia nei momenti di gioco che in quelli delle coccole, lui non ha mai tentato, neanche per scherzo, di togliermelo.

Come può un bambino così piccolo essere così grande dentro?”.
Io senza parole, Daniela continua: “Ho cercato il più possibile di mantenere la sua routine, lo accompagnavo all’asilo anche nei giorni no, grazie all’aiuto di mio marito che mi è sempre stato vicino. Le mie ore di forza erano solo dedicate al mio bambino”. 

Sta per iniziare la lezione, penso ancora a lei che viene qui da lontano, “fare oltre 70 km per arrivare, organizzarmi di nuovo per lasciare il bimbo, mi sembrava pesante” – mi ha detto infatti – “ma dal giorno in cui è iniziata questa esperienza, questo mio viaggio per ritrovare me stessa, non ho mai saltato una lezione.”

E’ iniziato allora uno scambio delle nostre opinioni sul QiGong che Daniela ha concluso così: “Non lo credevo possibile ma già dal primo automassaggio mi sono sentita diversa, un senso di libertà, di rilassamento, … un’ora in cui la mia mente è libera dai pensieri e il mio corpo è più forte. Ogni giovedì un’emozione e una sensazione nuova, una scoperta.. ormai non posso più farne a meno”. 


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Un commento su “Il QiGong raggiunge le pazienti oncologiche all’ospedale Sant’Andrea

  1. Grazie Patrizia, ci fai sentire la vostra forza e siamo felici di essere accanto a voi e quella forza farla crescere sempre più. Abbraccio tutte voi in attesa di incontrarci per condividere e andare avanti insieme.

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