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Antonio Guidi ha presentato il suo ultimo libro alla “Vaccheria Nardi”

“Con gli occhi di un burattino di legno” è il racconto di sessant’anni di storia italiana, visti dagli occhi di un disabile

“Con gli occhi di un burattino di legno” (Editore Rubbettino) è il titolo dell’ultimo libro di Antonio Guidi che è stato presentato il 22 maggio alla Biblioteca comunale “Vaccheria Nardi” in via Grotta di Gregna a Colli Aniene.
Al tavolo dei relatori, erano seduti due rappresentanti del Consiglio di Amministrazione delle Biblioteche di Roma, di cui Guidi fa parte: Francesco Antonelli (l’attuale Presidente) ed Alessio Gioannini.

Presentazione libro GuidiDurante l’incontro, Maria Giovanni Alati (che ha contributo insieme a Silvia Galeti alla stesura del libro) ha letto uno dei brani più significativi del testo, dal titolo “Nato morto”, proiettando i presenti nell’universo di un uomo affetto, fin dal nascita, da tetraparesi spastica.

“Con gli occhi di un burattino di legno” è un racconto autobiografico che ripercorre i momenti salienti della vita dell’autore: dalla sua carriera professionale come medico specializzato in neurologia ed in neuropsichiatria infantile, culminata con la nomina a Primario, fino all’esperienza in politica. Sullo sfondo delle sue vicende personali prendono, inoltre, forma sessant’anni di storia italiana, dall’immediato dopoguerra fino ai giorni nostri.
Presentazione libro Guidi 2Durante il suo intervento, Guidi ha precisato che ha voluto intenzionalmente svelare ai lettori dettagli molto intimi della sua vita privata, correndo così anche il rischio di ferire i suoi cari.
La motivazione principale che lo ha spinto a non adottare nessuna forma di autocensura, è stata il desiderio di sfatare alcuni dei pregiudizi di cui sono spesso vittime le persone disabili, come quelli legati alla sfera della sessualità.

Abbiamo chiesto a Guidi come viene affrontato, secondo lui, il tema della disabilità in Italia.

Nell’ambito della sua esperienza politica, tra i tanti obiettivi che ha raggiunto qual è quello di cui va più fiero?

Sinceramente il mio successo più grande è stato fare il medico, perché da paziente negli anni ’40 e ’50 venni curato spesso male. Inoltre, lo sono diventato in un periodo in cui all’Università era difficile proporsi.
I miei pazienti, in oltre quarant’anni di professione, mi hanno sempre accettato. Nel corso della mia carriera, ho sempre sostenuto che l’importante è curare e non guarire, perché guarire da una malattia forse non è nelle nostre mani.
Dal punto di vista politico, le mie esperienze più importanti sono state: aver assunto il ruolo di Responsabile CGIL del Dipartimento Handicap ed essere stato eletto Ministro per la Famiglia e la Solidarietà Sociale (e non Ministro della disabilità) durante l’anno mondiale della famiglia. Sono stato poi uno dei pochi fortunati che ha avuto l’onore di parlare all’Assemblea riunita delle Nazioni Unite. Molti Paesi, grazie alla mia nomina a Ministro, si sono così resi conto della civiltà del Nostro Paese.
Credo però che il mio grande successo (tecnico, d’amore e politico) sarà quello che farò domani perché, pur avendo un’età avanzata, scommetto ancora sul futuro.

Secondo lei il sistema legislativo italiano è in grado di tutelare, in maniera adeguata, le persone disabili?

La disabilità è un tema dinamico che fa affiorare continuamente nuove esigenze che richiedono particolari sensibilità e strumenti normativi idonei. Nel nostro Paese le leggi fondamentali esistono, ma sono applicate poco e a macchia di leopardo. Il mio sogno è che le leggi sulla disabilità (come la legge 104/1992 che ho contribuito a fare, non da parlamentare, ma da sindacalista ed esperto) diventino le leggi dei “debbono” e non dei “possono”.

Come valuta le leggi italiane sulla disabilità, rispetto a quelle in vigore negli altri Paesi?

Il nostro impianto normativo è tra i più avanzati, ma non viene applicato in pieno. Ci sono dei Paesi che non hanno bisogno di leggi, per adottare dei provvedimenti. Non è tanto una questione legislativa, ma di mentalità che porta spesso a considerare la disabilità come un problema e non come una risorsa.


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