C’era una volta la Collatina Antica (1)

Lucrezia è ancora sconvolta per quello che è successo. Manda a chiamare il padre e il marito, che non si trovano a Collatia. Dirà loro che c’è stato un evento drammatico, terribile, che cambierà per sempre la storia. Dietro la veste nasconde un pugnale.

Il nostro reportage non può che iniziare da dove comincia la Collatina Antica, nel quartiere di San Lorenzo, poco fuori le mura aureliane. È una via consolare più antica della Regina Viarum, l’Appia, e attraversava la più grande fullonica* dell’impero, è una strada di accesso all’acquedotto Vergine – l’unico ancora funzionante. Lambisce la più estesa necropoli della città. Eppure in pochi ne conoscono l’arcaico tracciato. È stata bombardata, interrata, in alcuni tratti riscoperta e fatta a pezzi, abbandonata a se stessa.

Percorreremo a piedi tutto il suo itinerario che ci condurrà fino a Collatia, cittadina ormai scomparsa, ma che ha avuto un ruolo determinante nella cacciata dell’ultimo re, Tarquinio il Superbo.

Se venissero letti con attenzione gli articoli scritti negli ultimi anni su questa strada, emergerebbero all’occhio alcune tematiche ricorrenti: degrado, stato di abbandono, roghi tossici, incuria. Perché questo è oggi la Collatina antica: una metafora dei cambiamenti sociali, culturali e urbanistici avvenuti in Italia nell’ultimo secolo.

Una sorta di spazio mitico interconnesso con la Storia. I comitati e i cittadini fanno quello che possono, si riappropriano di spazi, salvano il salvabile, cercano di proteggere fazzoletti di verde, ma in alcuni casi è come lottare contro i mulini a vento. Perché raccontare della Collatina antica è parlare dell’assenza delle istituzioni, dello Stato in braghe di tela, delle promesse elettorali e della mancanza di fondi.

Di scoperte archeologiche sensazionali, che finiscono presto nel dimenticatoio.

In questo inizio del tragitto ci accompagna Remo, un personaggio storico del quartiere: è stato falegname, carrozziere, filosofo di periferia come i marmisti e i netturbini.

Ma soprattutto tombarolo, quando i camposantari erano più importanti degli archeologi, e trafficare in reperti antichi aveva più successo che catalogare un sasso.

Ci spiega che questo lato del quartiere è stato pesantemente bombardato.

Si è salvato ben poco.

“La vedete quella ciminiera? La Collatina passa proprio da quella parte. È la ciminiera della birreria Wurher, ma all’inizio si chiamava birreria Roma. Prima delle bombe erano piovuti dal cielo volantini che avvertivano i cittadini: Cittadini di Roma! Voi siete un popolo intelligente. Quindi capirete che non abbiamo nessun interesse a disperdere i nostri sforzi su targhe e monumenti antichi, la cui distruzione non serve al nostro scopo…

Doveva essere un attacco di precisione, invece la traiettoria delle bombe più che calcolata era indovinata. Un milk run, come il percorso del lattaio casa per casa, a investire in pieno il quartiere.

“Il 19 luglio del 1943 il bombardamento è iniziato verso le undici del mattino, quando la fabbrica era piena di operai. È stata colpita da bombe al fosforo, incendiarie. Ha bruciato per alcuni giorni con tutti gli operai dentro, carri di birra rovesciati e i cavalli morti con le zampe per aria.”

L’inizio della Collatina Antica è quindi una ciminiera dismessa, un percorso sommerso e misterioso, un tesoro da far riemergere principio di tutte le cose. È una canzone di Assalti Frontali e un film di Pasolini. L’inizio della Collatina è l’espressione allegorica della città stessa: slum e asteroidi, baracche e fabbriche vuote, lavoratori e spacciatori, movida malsana e inquinamento acustico. Perché non ha ancora superato la soglia del non ritorno, non è ancora un mucchio di sassi senza significato, un ammasso di pietre senza traccia. Un frammento morto e sepolto. Sepolta sì, ma viva più che mai.

Remo ci dice che la vecchia strada sta qui sotto, indicando un punto indefinito sull’asfalto, come se avesse nascosto un tesoro inestimabile ma non ne ricordasse più il punto esatto.

Oggi c’è la sopraelevata che si intreccia con i palazzoni del quartiere, la ferrovia taglia in due il percorso. Poi un piccolo accampamento di poveri. Simile ai resti di un villaggio suburbano smembrato dalle artiglierie del cemento. Le stoffe lacere delle baracche sbattono al vento della distruzione. In fondo cosa c’è di diverso? Italiani, africani, zingari: spossessati di senso, rinchiusi nelle riserve territoriali e mentali, quale scelta abbiamo se non quella del recupero e della valorizzazione ambientale?

Quartiere di Resistenza, ma qui non c’è stata nessuna battaglia per la Collatina Antica. Nessuno ha sollevato un dito quando la spinta espansionista ha portato alla costruzione dello Scalo merci delle Ferrovie. Come tutte le vie consolari anche la Collatina era fiancheggiata da monumenti e sepolcri. Sbancando le colline per livellare il terreno, furono rinvenuti monumenti di notevole interesse, numerose testimonianze del passato, ma la necessità di completare la ferrovia ha causato la distruzione di quanto scoperto.

L’unico testimone che si è “salvato” è un piccolo tumulo.

Il mausoleo di Largo Talamo.

“La cosa più strana dei monumenti antichi è che non si notano affatto” – continua Remo.

“Dovrebbero attrarre e invece allontanano le persone, si sottraggono alla vista, si confondono con il paesaggio urbano. Questo mausoleo è stato scoperto per caso durante alcuni scavi del 1935, sull’antico tracciato della Collatina. In origine era costituito da un tamburo cilindrico messo sopra un basamento parallelepipedo in travertino.”

Nel rivestimento sono stati recuperati alcuni bolli laterizi, tra i quali uno dell’epoca di Commodo. Tra gli altri oggetti rinvenuti, una piccola ara con una dedica alla famiglia Pomponia, probabile proprietaria del sepolcro.

La sua collocazione attuale è in un giardinetto chiuso, recintato, ossimoro di un monumento non fruibile. Qualche albero striminzito e bottiglie di birra vuote. Davanti c’è una pompa di benzina. Lo assediano i casermoni del quartiere. Non c’è possibilità di visitarlo. La gente si ferma, osserva i cartelli, studia la situazione, ma solo per mettere benzina. Poi sfrecciano veloci verso la tangenziale.

(1 – continua)

*fullonica – Con questo nome si designa così l’arte come l’officina dei fulloni, di quei lavoratori cioè che in antico si occupavano di lavare, smacchiare, apparecchiare le vesti. La toga aveva specialmente bisogno dell’opera del fullone e ciò spiega la grande diffusione che ebbe quel mestiere. (https://www.treccani.it/enciclopedia/fullonica_%28Enciclopedia-Italiana%29/)

Stefano Marinucci

 

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