C’era una volta l’Antica Collatina (4): la necropoli Serenissima

Ci lasciamo Portonaccio alle spalle, sotto un diluvio di pioggia mista a catrame. Alcuni urbanisti ci avevano avvertiti: la Collatina è ormai scomparsa, non fermatevi in questa landa desolata.

Il quartiere di Portonaccio sfuma all’orizzonte, con la sua valle scavata dalla Marranella, quartiere non luogo, limen tra morti e vivi. Frontiera tra un ecosistema e un altro. Monumento urbanistico alle anime che non ci sono più e ai corpi del sottosuolo.

Noi siamo già nel sobborgo Collatino, squadrato, limitato da asteroidi industriali e piccoli fazzoletti di verde come puntini messi un po’ a casaccio.

È una sosta obbligata, nonostante le raccomandazioni. Sembra paradossale, ma c’è più storia qui che in tanti paesi del mondo. Archeologia cadenzata purtroppo dalle grandi infrastrutture: linea TAV, autostrada, complanari, penetrazioni urbane. Che generano anche migliaia di metri cubi di inerti e materiali di scarto.

A Silvana avevano detto: vedrai, lo SDO sarà una svolta per la città. Per noi urbanisti. Per i politici. Realizzeremo un Asse Attrezzato e tutte quelle periferie satelliti diventeranno le città del futuro.

Andava di moda il quartiere degli affari. Anche Roma doveva adeguarsi. Alleggerire il centro storico, creare un’urbanistica nuova. Innovativa. Geniale.

Così Silvana si butta a capofitto in questo proponimento. Sono gli anni 80, l’epoca del buco dell’ozono, della prima legge sull’inquinamento atmosferico. Ma lei ha soltanto un’idea in testa: Sistema Direzionale Orientale, come in un classico film di fantascienza. In realtà era dagli anni cinquanta che andava avanti questo ciclopico progetto urbanistico: piani regolatori approvati, cubature elevatissime previste, ripensamenti, opere mai realizzate. Così rimane tutto aleatorio, una specie di teoria senza applicazione. Niente di più niente di meno. E il Collatino, come tanti altri quartieri, si sviluppa in modo irregolare, simile a una borgata rarefatta, senza coordinate.

Nascono i primi laboratori di infrastrutture per la mobilità urbana. Tutte le mattine Silvana pensa a una rete di raccordi intermodali. Al potenziamento del trasporto pubblico con sistemi integrati. Ma qui appaiono i primi difetti: come è possibile che un progetto simile, finanziato per tutti questi decenni, diventi nero fumo?

Lo studio cambia tre sedi e si auto-genera di mese in mese.

Nel giro di pochi anni rimangono in tre, tra cui Silvana. Si vedono la sera, negli scantinati di un povero bar di via Collatina, detto del Tappo. Siamo poco distanti da ciò che rimane del teatro Tendastrisce, collassato irrimediabilmente a causa di problemi finanziari. Discutono di infrastrutture, di alta velocità, non sorridono più con i bicchieri di spumante nelle mani, storditi e rimbambiti dallo SDO. Deragliati come anonime stazioni di rifornimento.

La necropoli Serenissima

Ma poi Silvana incappa casualmente in uno scavo archeologico e la prospettiva cambia del tutto. Inizia a documentarsi, a leggere articoli, a osservare meglio. Come se prima avesse guardato soltanto una singola facciata. Scopre la necropoli Serenissima, dimenticata da tutti. Scopre quanto la ferrovia abbia sottratto alla comunità, in termini archeologici e paesaggistici. Legge una lettera del 1885. L’ha scritta Rodolfo Lanciani, al Ministro della Pubblica Istruzione. L’archeologo riferisce di essersi avventurato nel suburbio orientale per una ricognizione, in compagnia di una guardia. All’interno di un cantiere ferroviario, viene preso a sassate dal personale delle ditte appaltatrici, che con ogni probabilità si appropria dei reperti rinvenuti durante le operazioni di scavo. Per questo chiede al Ministero non solo il rilascio di una autorizzazione ma anche un incarico esplicito di sorveglianza, chissà con quali risultati, visto che i lavori erano ormai in fase di esecuzione. Dalle ultime scoperte si può ipotizzare che in occasione del cantiere ferroviario ottocentesco, molte opere d’arte siano andate definitivamente perdute. Nel mezzo della campagna romana, la realizzazione della ferrovia non è stata indolore per la conservazione dei valori storico-ambientali. Se ci siamo presi il diritto di costruire discariche in mezzo alle riserve naturali, tutelate perfino dalle cosiddette Soprintendenze, se abbiamo sigillato e inquinato interi corsi d’acqua, è perché abbiamo semplicemente cancellato il Genius Loci da ogni luogo.

Silvana ci consiglia di non andare all’interno della ex necropoli: è pericoloso, ci sono carcasse di motorini abbandonati, vivono fantasmi pericolosi, senzatetto. È un inferno! Quelle strade conducono a punti morti, senza uscita. Sarebbe meglio non attraversarle, alla faccia della stazione Serenissima.

Infatti sul confine tra la fermata dei treni e la valle dell’Aniene, dietro le moderne basiliche delle centrali elettriche, si erge un colle olivastro sovrastato a sua volta da gabbiani e cemento. I gabbiani non sono stanziali, a differenza dell’alta tensione. In poche parole: il pensiero dell’uomo moderno diventa orfano dello spazio circostante.

L’archeicidio

Le preesistenze archeologiche hanno interferito troppo con i tronchi ferroviari. Per questo sono stati espugnati, trafugati, seppelliti. La limitata conoscenza del sottosuolo, e la ridotta sensibilità delle imprese hanno prodotto un unico risultato: la strage di siti archeologici. Secondo alcune testimonianze sarebbero stati a decine i siti non segnalati, distrutti o gravemente manomessi, e migliaia di reperti spariti nel nulla, destinati ad alimentare un commercio clandestino da parte di collezionisti e mercanti senza scrupoli. Erano altri tempi? Non proprio, visto che anche per la costruzione dell’autostrada Roma-L’Aquila è accaduto un identico archeocidio. Il quadrante, sempre lo stesso. Piccole attività commerciali, una fabbrica cartaria. Dal sottosuolo emergono resti di due vasche, canalette in tufo: ciò che rimane di una villa romana. “In considerazione dell’importanza dell’opera pubblica in corso di realizzazione, il Ministero dei Beni Culturali ha autorizzato, nel gennaio 1988, la demolizione delle strutture antiche” (Bullettino commissione archeologica comunale di Roma, XCIII, 1989-1990).

Qualcuno chiede dove possano essere finiti i basoli della Collatina antica, rimossi e accuratamente catalogati circa venti anni fa. Proprio in questa zona. Ma ormai Silvana ha lasciato il Collatino e il parco fantasma. Dicono che si sia trasferita in un bosco vicino Tor Cervara, dove non ci sono polveri sottili e pietre smontate della via Collatina. Dove forse hanno trovato dimora le anime degli antichi Romani, e l’invisibile Genius loci che albergava nei campi della Serenissima.

Le duemila tombe

Allora chiediamo aiuto ad Alessandro Moriconi.

La grande necropoli ha restituito oltre duemila tombe, un’area che si estende tra via della Serenissima e via Basiliano. Il regno dei morti dovrebbe fronteggiare quello dei vivi in un rapporto ambivalente di separazione/vicinanza. Questo luogo, con la sua via sepolcrale e i suoi monumenti, era l’altro volto di una stessa realtà. Costituiva un’immagine riflessa del centro abitato, del quale emulava la fisionomia urbanistica e la composizione sociale.

Ma che fine hanno fatto queste anime disseppellite, con gli scheletri analizzati e indagati? Dove giacciono adesso? Alessandro ci guida nel paesaggio disseminato di ruderi e detriti. Sotto a quello che rimane del basolato della via Collatina, questa distesa conserva i resti di altri due tracciati viari, di un tratto sotterraneo dell’Acquedotto Vergine e addirittura di un bacino di raccolta delle acque con funzione votivo-cultuale.

“Gli immobili sono stati dichiarati di interesse particolarmente importante e sottoposti a tutte le disposizioni di tutela contenute nella normativa vigente. È tutto scritto su carta. Basterebbe poco. I fondi ci sono.”

Un finanziamento di 800 mila euro inutilizzato

A quanto pare risulta che è stato approvato un progetto, finanziato da RFI al MIC con una somma di 800.000 euro. L’area già predisposta si trova nella zona verde sovrastante via Spencer, proprio al di sopra della galleria dei treni.

Ma ad oggi il parco archeologico della Serenissima rimane una ferita grottesca, come la Fullonica di Casalbertone oppure le domus sventrate.

Abitarearoma se n’era già occupato (https://abitarearoma.it/wp/wp-content/uploads/2020/07/relazione_serenissima.pdf).

Ma anche tanti altri giornalisti. Molteplici le associazioni ambientaliste, comitati di quartiere, cittadini e cittadine che chiedono finalmente di dare corso a tutte queste tutele.

Negli anni vengono presentate proposte, iniziative. Tra cui anche il “percorso ciclopedonale integrato” nell’idea visionaria del Parco Lineare: un percorso che dovrebbe nascere a Porta Maggiore e raggiungere la meravigliosa città di Gabii, passando per il Parco della Cervelletta, le Latomie di Salone, la valle dell’Aniene.

Ci auspichiamo a questo punto del nostro viaggio che la via Collatina possa fare da volano e cardine riguardo la linea ciclopedonale, nella istituzione del parco e nella valorizzazione del paesaggio.

Le parole di Stefano Musco

Purtroppo risuonano con un certo rammarico le parole di Stefano Musco, all’indomani dell’ennesima scoperta nel parco fantasma: la Domus del Collatino, caduta com’era facile supporre, nel regno dell’oblio. Se non in quello dei morti.

Una volta smantellati i cantieri della Tav chi passeggerà nel verde di questo enorme parco archeologico si troverà davanti lo stesso scenario che si presentava agli occhi dei viaggiatori dell’Ottocento che avevano come tappa obbligata del Gran Tour la capitale. La zona in cui è venuta alla luce la villa di età repubblicana-imperiale sarà il primo quadrante del parco che verrà aperto al pubblico, probabilmente già dal prossimo aprile, non appena sarà attrezzata la zona boschiva a ridosso dell’autostrada A24, di grande interesse ambientale.

Era il novembre del 2005.

di Stefano Marinucci

 

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