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Come nasce un femminicidio 

Pisa, Novembre 2000, lei lo lascia per laurearsi in Medicina e lui la uccide in Aula. Il Caso di Fabio Ciaralli 

Lei si chiamava Barbara Novelli, aveva 29 anni, era Infermiera a Pisa e voleva laurearsi in Medicina.  Lui, il marito, si chiama Fabio Ciaralli, e di anni ne aveva, al tempo di questa storiaccia, 38. Anche lui Infermiere nello stesso Ospedale della moglie. Tra i due, tutto procede normalmente finché lei non decide di laurearsi in Medicina. Lui, questo “affronto” da parte della donna non lo poteva accettare: farsi superare dalla moglie, che voleva diventare Medico, lasciandolo al palo? No signori! Niente affatto! Tanto più che lei lo voleva lasciare (avevano in progetto di separarsi) e aveva trovato un nuovo compagno di vita.

E allora lui, quel Martedì 24 Novembre 2000, la uccide a colpi di pistola (in realtà di due pistole, detenute legalmente dall’uomo) nell’Aula dell’Università di Pisa, mentre lei assiste ad una lezione nel Dipartimento di Biomedica, Facoltà di Odontoiatria. Le spara dieci colpi delle pistole, che ha con sé ed ha estratto appena si è trovato davanti alla moglie (che siede nei banchi accanto al suo nuovo compagno) scaricando i due caricatori, mirando prima alla testa e poi al resto del corpo, come se fosse davanti alla sagoma del bersaglio nel Poligono di tiro nel quale praticava il suo hobby.

Poi, non contento, la trafisse al ventre, con i pugnali che tira fuori dopo che le pistole avevano terminato i proiettili. Non risparmia neanche il nuovo compagno di lei e uno studente, che aveva provato a bloccarlo. Il tutto tra il fuggi fuggi generale degli altri studenti. Alcuni rimediarono lievi ferite, altri furono ricoverati in prognosi riservata, ma riuscirono a sopravvivere, tranne la povera Barbara. Alla fine, Ciaralli punta i coltelli su sé stesso nel tentativo di suicidarsi.

Ecco, la storia di questo femminicidio, in salsa pisana è tutta qui, se non fosse che questa storiaccia ha un seguito che, come il suo inizio, potrebbe dare corpo alla trama di una crime story in una sola puntata, di quelle che oggi fanno audience su diversi canali televisivi.

Ma continuiamo ad inoltrarci in questa crime story.

Dopo il delitto, i ferimenti e il tentativo di suicidio, Ciaralli viene catturato e mandato a Processo. Il 5 Marzo 2002 viene condannato, in primo grado, a 28 anni di reclusione. La Sentenza accoglie la tesi della Pubblica accusa, secondo cui l’imputato era in grado di intendere e di volere nel momento del delitto. La difesa, invece, aveva sempre sostenuto l’infermità mentale del proprio assistito, anche in relazione al fatto che, durante la sua detenzione, l’uomo aveva più volte tentato il suicidio. Infatti – come spesso accade in queste storie criminali – il femminicida, compiuto il delitto, tenta di togliersi la vita, spesso riuscendovi, non volendo sopportare il dopo del suo crimine.

Ciaralli in carcere tenta cinque volte il suicidio, senza riuscire a togliersi la vita. Poi decide di rimettersi in gioco: in Carcere partecipa ai Corsi rieducativi, si iscrive alla Facoltà di Lettere e si laurea, risultando il migliore del suo Corso. Ma resta comunque un detenuto con condanna definitiva e diversi disturbi di carattere psichiatrico.

Quei disturbi, però, non gli avevano consentito di ottenere né l’infermità, né la semi-infermità mentale (durante il Processo, tutto lo scontro tra accusa e difesa si era giocato su questa questione e l’accusa l’aveva avuta vinta). Al tempo non c’era infatti la norma – decisa successivamente dalla Cassazione a Sezioni riunite – che, come è noto, con le sue decisioni non ha il potere di cambiare le Leggi, ma fa, come si dice, dottrina – per la quale per essere dichiarati semi-infermi di mente basta presentare (e documentare) “una pluralità di disturbi tali da far scemare il raziocinio”.

Quella norma – che ribaltava l’orientamento prevalente in quel periodo nelle Corti di Giustizia – arrivò proprio mentre Ciaralli era detenuto. Il suo Avvocato difensore glielo fece presente e i due ne discussero a lungo. Ma Ciaralli alla fine  disse che non se ne faceva, niente.

Per essere più vicino alla sua famiglia che viveva a Roma, Ciaralli venne trasferito al Mammagialla, il Carcere di Viterbo, ma dopo la quarta notte dal suo arrivo, non resse allo stress e tentò nuovamente il suicidio. Dopo quel tentativo – disse il suo difensore in una intervista – “non ne ho saputo più niente”.

Dunque, dopo cinque tentativi di suicidio in due anni – prima tirandosi una coltellata alla gola, poi tagliandosi le vene dei polsi, poi ancora – e per due volte – manomettendo la cannula dell’ossigeno, mentre era ricoverato in Terapia Intensiva – con i quali Fabio Ciaralli ha provato (e ce l’ha messa proprio tutta) a togliersi la vita, senza peraltro riuscirci – su di lui è calato un silenzio tombale, lasciandolo solo, dietro le sbarre, con il suo narcisismo assassino.

Nota finale: l’anno scorso le donne uccise sono state 120. Mentre scrivo questa Nota, il contatore dei femminicidi ha già toccato, quota 20 donne uccise e continua a girare…


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