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Covid-19 e polveri sottili, Assessore Pulcini: diffusione del virus e inquinamento sono correlati

Dall’assessore alle Politiche Ambientali del V Municipio Dario Pulcini riceviamo e volentieri pubblichiamo

Vari studi sostengono una correlazione fra l’effetto dell’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione dei virus nella popolazione.
In particolare si parla di polveri sottili, PM10 e PM 2.5, che sono delle particelle inquinanti presenti nell’aria che respiriamo.
Queste particelle sono capaci di assorbire sulla loro superficie diverse sostanze con proprietà tossiche quali solfati, nitrati, metalli e composti volatili.

Studi epidemiologici, confermati anche da analisi cliniche e tossicologiche, hanno dimostrato come l’inquinamento atmosferico abbia un impatto sanitario notevole; quanto più è alta la concentrazione di polveri fini nell’aria, infatti, tanto maggiore è l’effetto negativo sulla salute della popolazione.

Come riportato sul sito di ARPAT (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana)  “questa condizione può provocare infiammazione delle vie respiratorie, come crisi di asma, o inficiare il funzionamento del sistema cardiocircolatorio. Gli effetti di tipo cronico dipendono, invece, da una esposizione prolungata ad alte concentrazioni di polveri e possono determinare sintomi respiratori come tosse e catarro, diminuzione della capacità polmonare e bronchite cronica. Per soggetti sensibili, cioè persone già affette da patologie polmonari e cardiache o asmatiche, è ragionevole temere un peggioramento delle malattie e uno scatenamento dei sintomi tipici del disturbo”.  Il particolato è quindi considerato un potente inquinante, nonché quello più frequente nelle aree urbane.

Inquinamento e diffusione dei virus

Analizzando alcuni dati della Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA), dell’Università Alma Mater di Bologna e dell’Università degli Studi di Bari sugli effetti dell’inquinamento nella diffusione del virus, sembra emergere una relazione diretta tra il numero di casi di COVID – 19 e lo stato di inquinamento da PM10 dei territori, coerentemente con quanto ormai ben descritto dalla più recente letteratura scientifica per altre infezioni virali.

Studi scientifici passati hanno infatti dimostrato un rapporto direttamente proporzionale fra la diffusione del virus e la quantità di particolato atmosferico nell’area dove si è registrato un aumento di contagi per le infezioni virali.
Questa condizione è emersa sia nel corso dell’aviaria nel 2010 sia quando si è diffuso il virus respiratorio sinciziale nel 2016. Le zone più colpite presentavano valori molto alti di Pm10 e Pm2.5. Una situazione analoga si è verificata nel periodo 2013-2014 in Cina. Lì i ricercatori dimostrarono che un aumento delle concentrazioni di PM2.5 aveva inciso sull’incremento del numero di casi di virus del morbillo.

Covid-19 e polveri PM10

Venendo all’attuale momento storico in cui viviamo che vede un continuo aumento di pazienti affetti da Covid-19, sono stati analizzati dal SIMA i livelli di inquinamento atmosferico e la diffusione del virus in Italia, per ciascuna provincia.

Sono stati quindi studiati i dati pubblicati sul sito delle Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale (ARPA) relativi a tutte le centraline di rilevamento attive sul territorio, considerando il numero degli eventi di superamento del limite di legge per PM10 rapportato al numero di centraline attive per Provincia e, contemporaneamente, sono stati messi a confronto con i dati sul numero di casi infettati da COVID-19 riportati sul sito della Protezione Civile.
Alla luce di questi numeri è emersa una relazione tra gli sforamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di PM10 registrati tra il 10 e il 29 febbraio e il numero di casi di Covid-19 aggiornati al 3 marzo.

La relazione tra i casi di Covid-19 e PM10 suggerisce un’interessante riflessione sul fatto che la concentrazione dei maggiori focolai si è registrata proprio in Pianura Padana dove erano stati abbondantemente superati i livelli d’inquinamento atmosferico.
Si legge infatti nello studio che “le curve di espansione dell’infezione nelle regioni del sud Italia presentano andamenti perfettamente compatibili con i modelli epidemici, tipici di una trasmissione persona-persona, mentre mostrano accelerazioni anomale proprio in Pianura Padana dove i focolai risultano particolarmente virulenti e lasciano ragionevolmente ipotizzare una diffusione mediata da carrier, ovvero da un veicolante (che in questo caso sarebbero proprio le polveri sottili)”.

In conclusione si evidenzia che la specificità della velocità di incremento dei casi di contagio che ha interessato in particolare alcune zone del Nord potrebbe essere legata alle condizioni di inquinamento da particolato atmosferico che ha esercitato un’azione da “carrier”.
Secondo alcuni studiosi dell’Università di Bari: “le polveri stanno veicolando il virus perché fanno da vettore di trasporto e diffusione per molti contaminanti chimici e biologici, virus inclusi”.

Cosa porta all’aumento dei livelli d’inquinamento nell’atmosfera delle città?

L’altro aspetto da valutare è quello che concerne le cause di alti livelli di Pm 10 e Pm 2.5 nell’aria.

Le sorgenti delle polveri sottili e, specialmente, del particolato sono un po’ tutti i tipi di combustione, inclusi quelli dei motori di auto e motoveicoli, degli impianti per la produzione di energia, dei combustibili solidi per il riscaldamento domestico, degli incendi boschivi e di molti altri processi industriali.

Secondo l’ultimo rapporto sulla qualità dell’ambiente urbano, redatto da Ispra, le principali responsabili della presenza di PM10 nell’aria delle città italiane sono gli impianti di riscaldamento.
Se è vero che il trasporto su strada genera inquinamento, è altrettanto vero che sono proprio le caldaie, le stufe e i caminetti le responsabili del 60% delle polveri sottili (come dimostrato in un’inchiesta condotta da “Il Sole 24 ore”) e quindi dell’inquinamento.

In questo periodo i livelli di inquinamento dell’aria rilevati da ARPA Lazio nella nostra città sono comunque vicini ai limiti di legge e per il particolato sottile (PM 2.5) già li superano.

In questo modo possiamo rispondere alla domanda: come mai la riduzione del traffico per l’emergenza Covid non ha drasticamente ridotto anche la quantità di polveri? A causa del sempre maggiore, costante e troppo alto livello dei riscaldamenti presenti in tutte le abitazioni. Impianti di riscaldamento che, ricordiamo, il più delle volte sono obsoleti e datati.

Se è vero che è diminuita la presenza di veicoli a combustione interna nelle strade, la popolazione, dovendo stare in casa più tempo, tende ad utilizzare ancora di piùgli impianti di riscaldamento.
E’ ragionevole pensare che la formazione di particolato secondario si possa essere ridotta nelle ultime settimane, a causa della diminuzione di ossidi d’azoto da traffico, mentre è rimasta sostanzialmente inalterata la componente emissiva primaria da riscaldamento civile.

Vien da sé comprendere che, se vogliamo diminuire la concentrazione di polveri sottili nell’aria, bisogna diminuire anche l’emissione del riscaldamento domestico che rimane uno dei fattori antropici più importante per quanto riguarda l’inquinamento. E’ stato scientificamente provato, infatti, che gli impianti termici, unitamente agli impianti industriali ed al traffico, costituiscono una delle tre principali fonti di emissione a livello locale e, nella nostra città, il primario. Gli impianti di riscaldamento emettono polveri (PM10), in particolare quelli alimentati a legna ma anche quelli alimentati a metano, gasolio ed ad olio combustibile, altamente dannose.

Come fare per abbassare i livelli di polveri sottili da riscaldamento?

In Italia esiste un limite preciso per le temperature all’interno dei luoghi chiusi, pubblici o privati che siano: 20 gradi, con una tolleranza massima di due gradi. Di più è troppo.
Non sono valori scelti a caso, ma individuati dagli esperti internazionali che studiano il “comfort climatico” e che li hanno definiti come i gradi ideali per svolgere le attività di tutti i giorni in pieno benessere e nel rispetto delle esigenze dell’ambiente e dell’economia.
Per questo invito tutti i cittadini a regolare e pretendere di abbassare la temperatura nelle abitazioni, negli uffici e nei negozi e cercare di limitare l’uso di riscaldamento.
Non è assolutamente necessario tenere i termosifoni o le stufe accese e farlo rappresenta un grande spreco economico, un comportamento ambientale irresponsabile, una violazione della legge, nonché un pericolo per la nostra salute.

I danni sulla nostra salute sono molteplici. Oltre ad aver visto che l’inquinamento atmosferico causato dal riscaldamento veicola più facilmente e rapidamente i virus gli sbalzi di temperature, tra quelle esterne e quelle che stabiliamo artificialmente all’interno delle nostre case, uffici e negozi, provocano inoltre danni al nostro sistema immunitario e ci rendono quindi più vulnerabili ai virus in circolazione e allo svilupparsi di altre malattie.

L’inquinamento e le cattive condizioni ambientali sono la causa del 25% dei decessi non naturali nel mondo. È sempre più evidente che bisogna adottare misure urgenti per combattere il cambiamento climatico, dimezzare la nostra impronta sulla natura riducendo anche al minimo l’utilizzo delle risorse naturali e  adottare un modello di sviluppo economico e sociale sistemico che porta al riciclo delle risorse e non al consumo sfrenato. In poche parole dobbiamo applicare un approccio multidisciplinare e collaborativo per affrontare i rischi potenziali o attivi che hanno origine dall’ interfaccia tra ambiente di vita e lavoro, popolazioni animali ed ecosistemi.

Le cattive condizioni ambientali hanno fatto registrare fra i 6 e i 12 milioni di vittime ogni anno. Ridurre l’inquinamento, per esempio, significa salvare innumerevoli vite. E non solo della nostra specie, ma di tutte. Tutto dipende da noi, dal singolo comportamento che decidiamo di abbracciare.

Dario Pulcini, assessore alle Politiche ambientali V municipio


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