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“Dacce ‘na mano a faje dì de sì”- Sei Cuffaro? Allora no – Le incaute allusioni del presidente Preziosi

Fatti e misfatti di dicembre 2014

“Dacce ‘na mano a faje dì de sì”

“Dacce ‘na mano – un’altraa frase intercettata in una telefonata del “boss” Salvatore Buzzi al vicesindaco di Roma, Nieri – perché stamo veramente messi male co’ la Cutini”.

La Cutini era, allora, l’assessore al Sociale e aveva cominciato a mettere i bastoni tra le ruote della macchina illegale che continuava a marciare nei corridoi e nelle stanze del Campidoglio, ma non solo. Era allora perché, oggi, non lo è più. “Ho aspettato l’incontro con il sindaco Marino per verificare se ci fossero le condizioni per rimanere al mio posto – ha dichiarato – ma non le ho ravvisate. A “Mafia Capitale” occorre rispondere con uno scatto di orgoglio, ma mi sembra che la strada scelta non sia quella giusta”. E, così, ha sbattuto la porta e si è coerentemente dimessa. Con un sospiro di sollievo di molti – sembra – in Campidoglio e fuori. E con il sindaco Marino pronto alla sua immediata sostituzione. A coprire il Sociale, infatti, è stata già chiamata quella Francesca Danese la quale, oltre ad essere presidente dei Centri di servizio per il volontariato nel Lazio, è una nipote di Giulio Andreotti. Quello del “pensare male si fa peccato, ma alle volte ci si azzecca”. Non ci hanno “azzeccato” sicuramente, invece, quanti hanno collaborato a redigere il bilancio capitolino perché i revisori del Comune vi hanno trovato alcune incongruenze tanto nella rappresentazione dello stato patrimoniale quanto del conto economico. Tutto da rifare, dunque, pover’uomo. Povero sindaco Marino sempre più confuso e incapace di gestire un Comune, certamente non facile, come quello di Roma. Tanto che lo stesso suo partito che lo aveva fatto eleggere, il Pd, andava da tempo cercando il momento più opportuno per disfarsene. Tranne poi, ora, il sostenerlo invece a spada tratta. A nuova testimonianza di quello che è, oggi, la politica.

Rita Cutini
Rita Cutini

Sei Cuffaro? Allora no

“Totò Cuffaro – da tre anni in carcere per scontare una condanna a sette anni per favoreggiamento aggravato della mafia – aveva chiesto, due anni fa, di poter essere presente ai funerali di suo padre, ma il magistrato di turno gli aveva concesso il permesso solo a funerali conclusi”.

Oggi ancora peggio. Poiché la madre, malata di demenza senile, gli sta morendo, ha chiesto, al magistrato competente, di poterla incontrare per l’ultima volta. Ma il magistrato competente glielo ha seccamente negato. Con una motivazione, peraltro, di un cinismo agghiacciante: tanto, ridotta in quelle condizioni, lei non potrebbe neppure riconoscerlo. E va bene che Totò Cuffaro è stato un favoreggiatore della mafia, però questo può giustificare i due no a fargli dare un ultimo saluto ai suoi genitori? La Giustizia, troppe volte blanda e benevola anche nei confronti di omicidi e di pedofili, questa volta voluto invece essere dura e inesorabile. Per un valido motivo? E, in questo caso, quale? Oppure senza un valido motivo? E, allora, perché?

Le incaute allusioni del presidente Preziosi

“A Roma stanno accadendo troppe cose – ha dichiarato, dopo la sconfitta del suo “Genoa calcio” e con incauto riferimento alle vicende della scoperchiata cupola mafiosa capitolina, il presidente Enrico Preziosi – e non vorrei che fosse coinvolto anche il calcio”.

Il presidente del “Genoa calcio” Preziosi, insomma, ha chiaramente insinuato che la vittoria della “Roma calcio”, domenica, possa essere stata favorita, nientemeno, che dall’illegale sistema di affari e di affaristi che ancora non è stato completamente annientato. Una dichiarazione, magari, a caldo. A Roma però, quando gli avversari cercano pretesti e lanciano accuse per giustificare le loro sconfitte, si usa rispondere: “E nun ce vonno stà”.


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