A Genzano, una rissa per uno stornello… Correva l’anno 1953

A L’Arte nel Portico presentato con successo il libro “Io de stornelli ne saccio na gregna” di Mirco e Alessandro Gallenzi

Il 27 settembre 2013, nell’ambito della XXIV edizione della Rassegna L’Arte nel Portico è stao presentato con successo il libro “Io de stornelli ne saccio na gregna” di Mirco e Alessandro Gallenzi, a cura dell’Ass. Pro Loco di Genzano di Roma, Edizioni Cofine 2013. Vi hanno partecipato il presidente della Pro Loco Massimo Sciattella, l’autore Mirco Gallenzi e Vincenzo Luciani, direttore del Centro di documentazione della poesia dialettale “Vincenzo Scarpellino”.

Quest’ultimo ha affermato che il libro è la testimonianza di come concretamente si possa salvare la propria lingua locale, attivando tutti coloro che hanno a cuore le sorti del proprio dialetto. Infatti esso è frutto di un’ampia azione a tutela dei dialetti d’Italia che è stata avviata nel 2012 e che ha prodotto il protocollo d’intesa Unpli – Legautonomie, Centro Scarpellino e centro studi Eugenio Montale. Questo protocollo ha a sua volta prodotto: 1) Giornata nazionale del dialetto il 17 gennaio di ogni anno; 2) l’avvio di un lavoro per il catalogo unico on line di tutti i testi in dialetto presenti in Italia e nel mondo; 3) Il Premio salva la tua lingua locale (poesia, racconto, libri editi e supporto CD e DVD); 4) l’avvio di milioni di piccole azioni per salvare il dialetto.

PresentazioneStornelliL’Associazione Pro Loco di Genzano di Roma nata nel 2009, con l’intento di conservare le tradizioni, gli usi, i costumi e la cultura del territorio ha tra i suoi compiti quello di far riscoprire e conservare il “Patrimonio culturale materiale e immateriale”, bene di tutti. Quindi questo libro è il frutto di una convergenza tra gli autori i fratelli Gallenzi, la Pro Loco di Genzano , un’editrice, la Cofine e il Centro di documentazione della poesia dialettale “Vincenzo Scarpellino”, e tutti coloro che hanno collaborato materialmente alla confezione del prodotto (Massimo Sciattella, Mauro Musso, ecc.) Ad essi ora si deve unire lo sforzo individuale e l’acquisto del libro che andrà costituire il fondo di rotazione che consentirà negli anni a venire di completare il panorama dialettologico di Genzano di Roma.

MircoGallenziLuigiPolitoSuperioraSacroCuoreNoi – ha concluso Luciani – dobbiamo essere grati soprattutto ai due fratelli Gallenzi, Mirco e Alessandro quali sono autori (confronta http://gallenzimirco.altervista.org/) di tutto lo scibile dialettale di Genzano (Dizionario, Note di grammatica, Filastrocche e ninnenanne, Proverbi e modi di dire, Frasi idiomatiche, Stornelli genzanesi, Poesie, strofette e canzoni, Indovinelli genzanesi, Favole genzanesi).

A beneficio di tutti coloro che non hanno potuto o voluto partecipare ieri 27/09/13 alla presentazione a Colli Aniene, nell’ambito della manifestazione Arte nel Portico, del libro Io de stornelli ne saccio na gregna, edito da Cofine, ma che fossero comunque interessati, riproduciamo qui di seguito l’intervento di uno dei curatori del libro, M. Gallenzi.

FotoGruppoPresentando questo libro, che ho curato insieme a mio fratello e che rappresenta il frutto di ricerche che hanno avuto inizio ormai quasi vent’anni fa, vorrei partire da un discorso più generale, che riguarda non soltanto questo libro specifico, ma la pubblicazione in genere di materiale dialettale e locale.

Ogni libro, è ovvio, si rivolge ad un pubblico, che può essere più o meno ampio. A prima vista sembrerebbe che qualsiasi pubblicazione dedicata a dialetti particolari e a culture locali debba per forza avere appunto un interesse solo in ambito locale, o al più per lo specialista e lo studioso che generalizzano le loro teorie a partire dai dati raccolti e trascritti in queste pubblicazioni. A me pare, però, che questo punto di vista sia almeno parziale e non tenga conto dell’interesse generalmente universale che qualsiasi libro, anche quello di ambito più locale, può avere. Io sono convinto che davvero in ogni goccia d’acqua si possa scoprire il mistero dell’oceano, come si usa dire, e quindi in qualsiasi storia, aneddoto, canto, stornello, qualunque lettore possa trovare un motivo di interesse, soprattutto se queste tradizioni raccolte si dimostrano niente affatto banali, frutto di una diversa mentalità e società.

In linea di principio, questa considerazione vale anche per gli stornelli raccolti a Genzano, che pure sono sia linguisticamente, sia culturalmente non troppo “esotici” per il pubblico italiano. Non ci sono barriere linguistiche insormontabili da superare , né gli argomenti (l’amore, lo sberleffo, il lamento nostalgico) sembrano troppo lontani dalla nostra quotidianità. Tuttavia il lettore, indipendentemente che sia genzanese o meno, deve comunque fare uno sforzo per calarsi in un ambiente diverso dall’attuale, diverso dal nostro ambiente globalizzato e cibernetico: lo spazio in cui lo stornello si diffonde nell’aria è la piazza, il vicolo sotto la finestra, magari sporco, ma libero dalle automobili, oppure il campo in cui si lavora all’aria aperta e in cui, cantando, si inganna la fatica; uno spazio insomma comunitario, per antonomasia lo spazio chiuso delle società di una volta, dove tutto si fa sotto gli occhi di tutti, dove tutti più o meno si conoscono o hanno perlomeno un conoscente in comune, dove i protagonisti di oggi saranno gli spettatori di domani, dove tutti possono cantare e mettere in piazza i loro amori e i loro rancori . Ecco perché scriviamo nell’introduzione del libro che gli stornelli oggi sono a tutti gli effetti “un retaggio del passato, una tradizione folcloristica, più che qualcosa di vivo e attuale”. E occorre dire che questa situazione è già in atto subito dopo la seconda guerra mondiale. A tale proposito, vorrei leggere un breve trafiletto di una rissa scoppiata a Genzano, appunto, per via degli stornelli nel lontano 1953. Il protagonista è uno degli stornellatori più famosi a Genzano: Gaetano Mastruzzi, detto anche Gaetanu u Mattu, personaggio entrato ormai nell’immaginario collettivo genzanese e a cui qualche anno or sono è stato dedicato anche un quadro dell’Infiorata

Rissa furibonda in un bar di Genzano. Due agenti di polizia feriti

Roma, martedì sera.

Una furibonda rissa, scoppiata improvvisamente tra gli avventori e i musicanti di un bar, ha messo stanotte a soqquadro l’intero paese di Genzano. Soltanto dopo una violenta colluttazione, alcuni agenti di polizia e carabinieri sono riusciti a ristabilire la calma arrestando i responsabili della gazzarra notturna. L’incidente ha avuto origini per così dire musicali, poiché alla base di esso vi è stato il desiderio di alcune persone di organizzare un concerto infiorato di stornelli alla romana, ed il desiderio di altre di essere lasciate in pace. Gli avventori di un bar che si trova nella piazza principale del paese erano infatti intenti verso le 22,30 a bere con religioso silenzio il contenuto dei loro bicchieri, quando un giovane, Gaetano Mastruzzi, cominciò a pizzicare le corde della sua chitarra davanti alla porta del bar. Alcuni tentarono di interromperlo. Gli animi degli avventori e di coloro che abitano sulla piazza cominciavano intanto a entrare in ebollizione. Gli stornellatori furono invitati più volte ad allontanarsi dal proprietario del locale e alla fine furono chiamati tre agenti di polizia e due carabinieri. Alla fine lo stornellatore e i suoi due amici risposero passando all’offensiva e ingaggiando con gli agenti una violenta colluttazione. Alla furibonda zuffa partecipavano, con incredibile foga, anche numerose altre persone. Nella rissa due agenti di P.S. sono rimasti feriti. I tre giovani che avevano provocato l’incidente sono stati tratti in arresto e denunciati all’autorità giudiziaria .

Insomma, già agli inizi degli Anni Cinquanta c’era tolleranza zero verso gli stornelli cantati a piena voce, come invece si usava fare ancora prima della guerra. Chiaro, anche allora gli schiamazzi notturni non erano accolti di buon grado , ma gli stornelli costituivano di sicuro un mezzo lecito ed ammesso per risolvere o complicare contrasti, per dichiararsi oppure spargere velenose insinuazioni, il tutto pubblicamente, tanto che ancora a distanza di molti anni gli stornelli improvvisati dall’estro amoroso o dalla rabbia restavano parte della cultura collettiva, venivano ricantati, modificati, se ne ricordavano i protagonisti. A uno degli stornelli per dispetto da noi riportati nella raccolta, è associato per esempio il seguente aneddoto: si era alla fine degli Anni Trenta, un giovanotto si dichiara ad una ragazza che abitava a Genzano vecchio; lei lo respinge fermamente. Lui la sera si presenta sotto le sue finestre e le canta:

Te credi d’èsse bella, bella tanto,

ma dimme ste bellezze ‘ndo ce l’hai

e si le porti sotto a vestarella,

perché ’n faccia nun te l’ho viste mai!

E in effetti la maggior parte degli stornelli raccolti, almeno quelli che è possibile in qualche maniera datare, si riferiscono alla fine dell’Ottocento/Inizio Novecento e agli anni precedenti la seconda guerra mondiale. Dopo di che, con lo spazio urbano conquistato dalle automobili e l’intimità domestica occupata dai televisori, strumenti entrambi di ampliamento degli orizzonti paesani, man mano che la società comincia a cambiare, gli stornelli vengono lentamente ma inesorabilmente confinati ai margini, resto folcloristico buono al più per feste, per bicchierate alle osterie, ed escono fuori dalla vita normale del paese, impegnato nella ricostruzione e a far soldi, diventano mezzo di sopravvivenza per anarchici e disadattati, che girano le vie cantando per raggranellare qualche soldo.

Quindi, la vicinanza di questo mondo riflesso negli stornelli è solo apparente, tanto più che c’è un’altra ragione di distanza, a mio parere ancora più incolmabile della distanza temporale: la quasi assoluta sordità contemporanea al suono dei versi. Infatti, ormai, dopo la distruzione della metrica da parte delle avanguardie di inizio Novecento e l’opinione vulgata, apparentemente condivisa in modo universale, che la poesia in versi e in rima sia qualcosa di antiquato e addirittura una cosa ridicola, la maggior parte del pubblico colto (per non parlare degli incolti) non sa distinguere la prosa dalla poesia, né sa leggere la poesia. Gli stornelli sono a tutti gli effetti composizioni poetiche composte secondo una metrica classica (pur con tutti i distinguo del caso), composizioni che hanno tratto origine da modelli “alti” di poesia e si sono popolarizzate, riuscendo congeniali a generazioni di stornellatori, il più delle volte analfabeti, ma capaci di improvvisare, sulla base di un limitato repertorio di melodie musicali, testi assai espressivi, di immediata icasticità, talvolta di autentico valore poetico. Faccio qualche esempio, che scelgo nella raccolta tra gli stornelli a mio parere più interessanti e “poetici”:

Bella che a la fontana ve ne jate,

a conca butta e voi n’ ve ne curate;

e io che spetto voi, mòro de sete.

Le male lengue e le gente buciarde

fanno lu focu co le legna verde:

nun dànno foco ar mare perché n’ arde.

 

Allora, possiamo dunque dire che gli stornelli ormai sono un retaggio del passato e la lontananza che ci separa dalla temperie culturale da cui sono sorti li condanna all’oblio, sommersi ormai in un mondo che “messaggia” o sciattamente “chatta” (più sono orribili i neologismi più rappresentano meglio la deteriorata realtà che intendono definire)? Forse sono troppo ottimista, ma iniziative come queste, di recupero e valorizzazione, possono contribuire a colmare questa lontananza. Una possibilità, credo, potrebbe essere quella di utilizzare questo libro per esempio nelle scuole di Genzano, come materiale di sussidio per lo studio: un approfondimento locale (stornelli genzanesi) di quanto si studia a livello generale (poesia, metrica). Ed è un discorso che, ovvio, mutatis mutandis, vale per qualsiasi testo dialettale e per qualsiasi disciplina. Per esempio, per restare in ambito genzanese, sarebbe credo assai interessante per un ragazzo, che studia lo stalinismo come qualcosa di estraneo e che lo tocca in maniera marginale, conoscere oltre a quanto riportato nel libro di testo, la vicenda di un Nazzareno Scarioli, contadino genzanese comunista che, andato in Unione Sovietica per sfuggire al fascismo, si ritrovò poi a scoprire che Stalin era (per usare le sue stesse parole) “un fascista nato boja”, finendo nel 1937 nel tritacarne dei lager (a Kolimà, luogo tristemente famoso anche per i racconti di Varlaam Šalamov), tornandone incredibilmente vivo dopo più di 17 anni di prigionia, testimone di una verità scomoda a cui nessuno a Genzano voleva credere, neppure i parenti, e considerato fino alla denuncia del “culto della personalità” staliniana un pazzo, un venduto. Avvicinare in questo modo argomenti altrimenti tendenzialmente indifferenti, completando lo spettro delle informazioni con una vivida luce di storie locali, potrebbe essere davvero utile non solo a livello educativo, ma anche portare a una riscoperta delle proprie radici. Dalle radici, anche se possono affondare in terreni più o meno ricchi, più o meno aridi, si può trarre alimento, grazie alle radici ci si può ancorare, e a partire da esse si può crescere con una nuova consapevolezza.

Concludo quindi in un tono ottimistico, che in un clima come quello attuale è quasi d’obbligo, anche se non mi nascondo che certe idee suonano un po’ utopiche e irrealizzabili, in questo nostro “migliore dei mondi possibili”. E per ricompensarvi della pazienza dimostrata nell’ascoltarmi sino alla fine vi leggerò in conclusione due stornelli inediti, sempre raccolti a Genzano, ma non in tempo per essere inseriti nel volume stampato: questo a dimostrazione che la memoria degli stornelli non è ancora del tutto estinta, neppure nel mondo dell’I-pod-Ipad e i-pud, o come si chiamano…

Il primo lo devo a Luciano Gavini, uno dei pochi poeti che scrivono in genzanese puro:

Fior de cipolla,

t’ho visto ieri chiacchierà co chélla,

sarìa che la smettessi, pucinèlla.

 

L’altro invece mi è stato riferito dall’amico Marco Conti:

I macellari portino l’anellu,

i carettieri u fazzolettu au collu,

e l’amore miu e penne au cappellu.


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Un commento su “A Genzano, una rissa per uno stornello… Correva l’anno 1953

  1. vorrei avere altre notizie su Genzano e dialetto. Io sono genzanese natu au portonacciu a via Sforza, poi la vita mi ha portato lontano, ma a tomba a tengo sopra u lacu.
    sono tornato a Genzano prima di Natale ed ho presentato un libro di poesie dedicato a Genzano “A Fontanaccia”. se possiamo dialogare a me fa piacere.Non so si fratelli Gallenzi sono parenti con il politico degli anni ’60, per qualche verso in casa si citava spesso Sciattella, forse era un meccanico.
    Scusate le chiacchiere Rodorfo de Totella

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