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La covida

Non possiamo ignorare che il virus è ancora tra noi, lo accertano i casi che ogni giorno si ripresentano

Passata è la tempesta:

odo augelli far festa

e la gallina tornata sulla via

che ripete il suo verso. Ecco il sereno…

 

Lo aveva già scritto il buon Giacomo, ma ogni tanto non fa male riproporre i suoi versi, oggi quanto mai di attualità, dopo i lunghi mesi, di clausura e di paura, trascorsi imparando di nuovo cosa significhi convivere con una pandemia manzoniana, questa volta attribuita a neo lanzichenecchi, sopraggiunti dal lontano oriente, senza scimitarre, né con malevole intenzioni apertamente dichiarate, quanto semmai tentando l’avanzata dello yen, a imbottire una già pingue economia. Il tutto a discapito di chi invecchia e langue in stantie, non più attuali tecnologie, un tempo fiore all’occhiello da sbattere in faccia a chi al contrario languiva coltivando i campi, sotto l’occhio vigile di una dittatura che li voleva tutti obbedienti, servizievoli e principalmente tutti uguali nel vestire, come il gatto mammone imponeva.

La pandemia è quella di un virus ancora tutto da definire. Sfuggito di mano alla ricerca? Figlio di una convivenza uomo/animale troppo disinvolta e promiscua? O non piuttosto, come qualcuno ipotizzerebbe, cresciuto e diffuso per distruggere economie concorrenziali? Certo è, che i primi a farne le spese sono stati quelli che si sono trovati più vicini all’origine del virus letale. Poi via, via tutti gli altri e chi non si è visto scomparire amici o conoscenti, portati via dal covid19, alzi una mano e si ritenga fortunato.

Ma la domanda che dovrebbe assillarci adesso, resta ancora: ma è davvero passata la tempesta? Basta la dichiarazione di chi ci governa, imbeccato dai troppi scienziati, ognuno pronto a sostenere tutto e il contrario di tutto, pur di apparire in TV?

Non mi ritengo assolutamente uno scienziato, né un esperto virologo. Sono soltanto un chimico che ha lavorato per quasi quarant’anni nell’industria, fidando sull’esperienza, maturata attraverso il bagaglio scientifico messo insieme da  studente, e soddisfatto quando un risultato veniva raggiunto, provando e riprovando, con qualche successo e molte delusioni patite. E prima di conclamare quel successo, quante riconferme del risultato sono state necessarie per non incorrere in un falso trionfo!

Detto questo, sarei molto prudente nel dichiarare pubblicamente che il peggio è passato e che la vita può riprendere come prima. Non stanchiamoci di ripetere che di altri virus contagiosi possiamo definirne meglio i connotati, mentre di questo covid19 sappiamo ben poco. Non può essere ignorato che la sua presenza è ancora tra noi, accertata dai casi che ogni giorno si ripresentano.

In conclusione, perciò, la vita può riprendere, ma non come prima e se dobbiamo sottostare a regole, mezzi di protezione, file, code e rispetto delle distanze, ricordiamoci che soltanto quattro mesi fa siamo riusciti a contenere la luttuosa pandemia, proprio mettendo in atto una serie di comportamenti vincenti, che oggi per molti sembrano appartenere alla preistoria.

Vedere di nuovo le piazze piene, soprattutto di notte, per l’irrinunciabile movida, con  assembramenti di giovani  festanti, privi di qualunque mezzo di protezione, dimentichi del malessere indotto dalla forzosa chiusura nei propri domicili, imposta dalla dilagante pandemia che terrorizzava e preoccupava più di una persona, mi convince ancora di più che sia questione di mancata maturità, figlia di una diseducazione che serpeggia incurante e incurata da più di trent’anni a questa parte. Vorrei tanto sbagliarmi, ma ci credo poco.

 

Ettore Visibelli


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