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La scuola è un percorso da costruire insieme

Un approfondimento e un apporto personale sulla scuola parentale

Sono un’insegnante che ha amato ed ama la sua professione, per questo mi sembra corretto parlare della scuola parentale (vedi  Abitare A del 16 febbraio scorso) in modo più approfondito, con un apporto personale sull’argomento.

Lo Stato prevede l’istruzione obbligatoria per tutti, ma dà la possibilità di assolvere l’obbligatorietà in varie forme, quali: la scuola pubblica, la paritaria, la privata e la parentale. Questi tipi di scuola dovranno rispettare le linee guida per la certificazione delle competenze del MIUR. Ciò avverrà in modo consequenziale nella scuola pubblica e paritaria, ma per quella privata e parentale il ragazzo dovrà superare un esame, che ne attesti l’idoneità e le competenze richieste.

Dopo questo primo approccio alla scuola, come obbligo del cittadino italiano all’istruzione, è opportuno chiarire che la scuola è istruzione, ma nel contempo educazione alla convivenza civile e democratica, educazione alla diversità di ogni genere, alla conoscenza dei valori insiti del nostro essere “umanità”.

Soffermiamoci sull’educazione parentale che, proprio come suggerisce la parola, dovrebbe essere impartita dai genitori, dalla famiglia, da una famiglia di famiglie, che per motivi logistici, religiosi e di valori o di salute, si prende l’onere di preparare il ragazzo dal punto di vista formativo-culturale.

Ogni famiglia è diversa e unica, quindi chi meglio di un genitore-insegnante può assolvere questo compito con il proprio figlio? Insieme ai saperi ha le modalità,  “l’autorità affettiva” e il linguaggio più adatto per far passare conoscenze e valori. Quando però il genitore delega tutto questo ad altri, il valore della scuola parentale diventa un’altra cosa, a meno che il ragazzo non viva all’interno di esperienze particolari, come la scuola di “Nomadelfia” che è una comunità fondata da Don Zeno, presso Grosseto, dove le famiglie convivono sperimentando con la loro vita i valori del Vangelo.

Abbiamo visto come durante il lockdown  i genitori sono dovuti intervenire in prima persona, anche spesso come insegnanti, e come le difficoltà siano apparse evidenti e quindi come la scuola parentale sia una scelta molto ricca, ma altrettanto impegnativa.

L’esperienza dell’homescooling è semplicemente un metodo diverso di fare scuola e che nulla toglie alla  validità della scuola pubblica e agli operatori, che vi accedono per selezione di studi, di concorsi pubblici e di specializzazioni per vari tipi di disabilità.

Nella scuola pubblica si accede gratuitamente e nel POF (Piano dell’Offerta Formativa), oltre ai vari progetti culturali, sono evidenziati i valori etici e sociali e le strategie per attuarli, su cui, in quell’Istituto, ci si orienta sul piano educativo. I ragazzi e le famiglie possono comunque scegliere l’indirizzo di studio e il POF più consono tra i molteplici canali presentati loro dall’Orientamento, che ogni scuola media e superiore attua alla fine dei corsi. Il ragazzo ha modo di confrontarsi con tutte le realtà, sia positive che negative, della società in cui vive e può imparare a muoversi autonomamente, ma sempre sotto lo sguardo degli educatori, affrontando vari tipi di difficoltà, del resto come in qualsiasi altro ambiente scolastico…

Quindi, cosa fa la differenza?

Personalmente ho una  risposta: la Famiglia.

Questo è il luogo privilegiato del confronto, del vissuto autentico ma soprattutto dell’esempio, più che delle parole. I genitori, come intervengono con i figli, quando ne percepiscono le difficoltà, così potrebbero intervenire nella scuola pubblica, facendosi ascoltare con chiarezza e determinazione e risolvere problemi, che a volte sembrano insormontabili, ma che non dovrebbero far desistere un genitore che non delega il suo ruolo.

Gli strumenti d’intervento sono nei Decreti Delegati, ma quanti partecipano credendoci? Tutto si risolve così con l’assenteismo e la conseguente sequela di accuse agli operatori, maestri e professori che diventano tutti e indistintamente il motivo per cui la scuola pubblica genera una infinità di carenze a livello e culturale e sociale e comportamentale.

Ci si chiede forse in che situazione di disagio, per carenza di personale e strutture, lavorano questi operatori della scuola, che comunque sono professionisti che s’impegnano e non certo per quanto è loro riconosciuto dalla società “benpensante”, sia economicamente sia come responsabilità verso i propri alunni?

L’esigenza di trovare nella scuola i valori, ritenuti tali per ciascuno di noi, viene soddisfatta nella scuola paritaria, riconosciuta a livello ministeriale nelle linee guida delle competenze e gestita per lo più da enti religiosi o laici orientati ideologicamente. Qui ciascuna famiglia, in qualche modo, si sente protetta e placa le sue inquietitudini, paga la  retta,  che dà modo alla scuola di avere spazi ricreativi, sportivi e culturali, nonché  strutture scolastiche e materiali strutturati sempre di qualità, ma spesso delega il suo ruolo.

Concludendo, la scuola parentale, ma solo quella all’interno della famiglia, a mio avviso, è un sistema educativo che come tutti ha pro e contro, ma, quando esce al di fuori di questo ambito protetto, trova un impatto deludente e a volte doloroso, se non ci prepariamo e non ci apriamo tutti ad una partecipazione più coraggiosa e consapevole alla gestione del Bene Comune.

Le capacità personali e le motivazioni che ci spingono a migliorare il nostro tessuto sociale devono diventare autentiche e vissute, per accogliere chi non ha e andare incontro alle grandi sfide di “povertà” e solitudine che ci lasciano indifferenti e rinchiudere nelle nostre case.

Marina Manni


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