Le scuole della felicità: il progetto che insegna a bambini e ragazzi ad aver cura di sé

Vi hanno già aderito 47 scuole sul territorio nazionale, dal micro nido alla scuola secondaria di secondo grado

‘Quando siete felici, fateci caso’. E’ il titolo di quel libro di Kurt Vonnegut che racchiude i suoi discorsi ai giovani nel giorno della laurea o del diploma, cose che in America si celebrano un bel po’.
Ora però, considerato l’aumento di ansia e depressione tra i ragazzi (dati Fondazione Child e Telefono azzurro) mi viene da pensare che non è che non ci facciano caso quanto che non sappiano come essere felici.

Vi racconto adesso la storia di chi sta cercando in qualche modo di porvi rimedio. E non c’entra la politica o il bonus psicologo, parlo di un progetto ideato e scritto da un docente di italiano dell’Istituto Comprensivo Virgilio Salandra di Troia (Fg), il prof. Mariano Laudisi, in accordo con la Dirigente scolastica prof.ssa Maria Michela Ciampi.
Si chiama ‘Le scuole della felicità’ e comincia dalla seconda parte del comandamento ‘amerai il prossimo tuo come te stesso’. Perché è proprio sul ‘come te stesso’ che non avevamo posto attenzione.

‘Spesso – scrive il professore – confondiamo il voler bene a noi stessi con una forma velata di egoismo. Ma così non è. E’ una deformazione tutta nostra, forse rinveniente da una cultura poco attenta al benessere personale e tutta votata all’apparenza’. Si tratta di porci le domande giuste, tipo ‘come mi sento?’, ‘ho cura di me stesso?’, ‘ritaglio del tempo per me?’, anziché fingere come accade sui social dove scrolliamo immagini di costante benessere e felicità.
Dovremmo prendere esempio dalla Danimarca che da anni è tra i Paesi più felici secondo il World Happiness Report.
La cura di sé, del noi, del bello, dell’essenziale sembrano essere gli elementi fondamentali della cultura danese” – afferma il prof Laudisi.
Il progetto delle Scuole di felicità si basa sulle teorie della Psicologia Positiva e del PNL e fa riferimento ad alcuni importanti principi, ad esempio: non identificare l’alunno con il voto, valorizzarlo per il solo fatto che esiste, non stigmatizzare i suoi errori, dare massimo spazio alle sue emozioni, cancellare le sue credenze tossiche e creare un nuovo modello per leggere la realtà, far venire fuori tutto il suo potenziale inespresso.
Lo scopo è quello di portare i ragazzi a creare la propria sfera di controllo per non essere più alla mercé del caso e del giudizio degli altri.

“Quindi facciamo tutta una serie di attività – ha spiegato il professore durante un’intervista in TV – che vanno a incidere sulla gestione delle emozioni, sulla gestione delle relazioni, del benessere psicofisico, della comunicazione.
Andiamo quindi a svolgere tantissimi lavori come la meditazione in classe, l’esercizio fisico, l’uso dei vocabolari trasformazionali, cioè prendiamo quelle che sono le parole depotenzianti dei nostri ragazzi, le loro paure, le loro ansie e le trasformiamo, le volgiamo in positivo, cerchiamo di spostare l’attenzione di ogni ragazzo dai suoi punti di debolezza ai suoi punti di forza.
Per questo facciamo ad esempio dei bigliettini della gratitudine dove tutti devono indicare i punti di forza dell’altro, che poi appunterà sul suo diario della felicità e andrà a focalizzarsi in quella direzione”.

Secondo il prof. Laudisi i ragazzi sono a volte bloccati dall’insicurezza e dalla necessità di non perdere quello sguardo legittimante dell’altro, quello sguardo che gli dice ‘tu sei ok’.
Le scuole di felicità vogliono arrivare a far capire loro che ogni ragazzo, per il solo fatto di esistere, ha il diritto di ‘essere ok’.

Ecco, educare alla felicità è indubbiamente un progetto ambizioso e vi hanno già aderito 47 scuole sul territorio nazionale, dal micro nido alla scuola secondaria di secondo grado.

Per saperne di più o per scaricare il modulo di adesione basta andare sul sito www.lescuoledellafelicita.it.

Intanto noi, che ormai siamo grandi sebbene continuiamo a sentirci ragazzi, sappiamo bene quanto sia importante essere consapevoli di quei momenti che definiamo di felicità. Perché, come scrive Baricco, “è così che ti frega, la vita. Ti piglia quando hai ancora l’anima addormentata e ti semina dentro un’immagine, o un odore, o un suono che poi non te lo togli più. E quella lì era la felicità. Lo scopri dopo, quand’è troppo tardi. E già sei per sempre un esule: a migliaia di chilometri da quell’immagine, da quel suono, da quell’odore. Alla deriva”. (Castelli di rabbia – 1991)


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