Municipi:

Lettere agli studenti 4. – La zona di confine

La lettera di oggi inizia con le domande che Calvino pone a se stesso e a noi nel lavoro preparatorio alla stesura delle Lezioni americane

Pubblichiamo la quarta delle “Lettere agli studenti”, rubrica curata dalla professoressa Lilia Bellucci

Cari studenti,

E’ possibile raccontare una storia al cospetto dell’universo? Come è possibile isolare una storia singolare se essa implica altre storie che la attraversano e la condizionano e queste altre ancora, fino a estendersi all’intero universo? E se l’universo non può essere contenuto in una storia, come si può da questa storia impossibile staccare delle storie che abbiano un senso compiuto?

La lettera di oggi inizia con le domande che Calvino pone a se stesso e a noi nel lavoro preparatorio alla stesura delle Lezioni americane.

COMINCIARE E FINIRE

Cominciare e finire” sono i due fulcri dell’ansia di chi scrive, di chi legge, di chi pensa. Oggi più di ieri. Guardando fuori dalla mia finestra, mi domando quale parola in questi giorni sia possibile al cospetto dell’universo.

Cari studenti, posso parlarvi di tutto, inseguendo contenuti nella mia memoria e nella mia immaginazione o compiendo ricerche tra libri letti o che non ho ancora avuto il tempo di aprire in questi anni. Posso parlarvi di tutto, ma anche del nulla: questa assenza di risposte su quello che stiamo soffrendo, questo vuoto che racchiude il visibile fuori, questo senso di mancanza che si apre nel mio cuore quando penso alla mia aula, chiusa e buia ora, senza la vostra allegra e inquieta giovinezza, senza i volti di ognuno di voi in graduale trasformazione dal primo all’ultimo anno di liceo.

La mia lettera, dunque, sta sulla zona di sottile confine tra il tutto e il niente, quella corda da funambolo su cui mi è sembrato di porre i miei passi al risveglio. Ho sistemato il mio tavolo da lavoro e ho predisposto i materiali per le nostre videolezioni, che si svolgeranno secondo il consueto orario scolastico, come se nulla fosse cambiato, come se fossimo quelli di allora.

QUALE INIZIO E’ POSSIBILE?

Quali parole dovrò scegliere per iniziare?

L’inizio è questo distacco dalla molteplicità dei possibili: per il narratore l’allontanare da sé la molteplicità delle storie possibili, in modo da isolare e rendere raccontabile la singola storia che ha deciso di raccontare questa sera; per il poeta l’allontanare da sé un sentimento del mondo indifferenziato per isolare e connettere un accordo di parole in coincidenza con una sensazione o un pensiero”.

L’INIZIO È UNA RINUNCIA

Bisogna considerare, in primo luogo, che ogni inizio è sempre una rinuncia.

Il mondo vissuto è formato da una molteplicità di emozioni, pensieri, esperienze, che stiamo attraversando. Quando sceglieremo le nostre parole, prima di tutto rinunceremo a una parte di una dimensione illimitata.

Come state vivendo questi giorni? Vi alzate tardi, svogliati, dopo notti di chat e videogiochi? Vi alzate silenziosi e chiusi, indifferenti e noncuranti verso chi vi sta vicino? State forzando la vita ad essere quella di prima, rimpiangendo quelle care, vecchie abitudini di campetti da calcio, cornetti al bar, passeggiate e feste tra amici? Vi svegliate felici, mentre il vostro gatto miagola o il cane scodinzola, pensando che non dovrete subire la scuola tra noia, fame, verifiche e compiti?

Se non sappiamo chi siamo ora, non possiamo scegliere cosa salvare del non detto.

È POSSIBILE RACCONTARE? CON QUALI PAROLE?

L’inizio è il luogo letterario per eccellenza perché il mondo di fuori per definizione è continuo, non ha limiti visibili. Studiare le zone di confine dell’opera letteraria è osservare i modi in cui l’operazione letteraria comporta riflessioni che vanno al di là della letteratura, ma che solo la letteratura può esprimere”.

Le lezioni di epica riaffiorano ora con una valenza diversa. Quando i grandi pensatori del passato hanno deciso un incipit per segnare il passaggio di un limen, di una soglia, quali parole hanno salvato dal regno del non detto?

Ricordate tutti quell’invocazione alla Musa:

Canta, o dea, l’ira d’Achille Pelide,
rovinosa, che infiniti dolori inflisse agli
Achei,
gettò in preda all’
Ade molte vite gagliarde d’eroi,
ne fece bottino dei cani, di tutti gli uccelli
– consiglio di Zeus si compiva – da quando prima si divisero
contendendo
l’Atride signore d’eroi e Achille glorioso.
Ma chi fra gli dèi li fece lottare in contesa?

Il figlio di Zeus e Latona; egli, irato col re,
mala peste fe’ nascer nel campo, la gente moriva,
perché Crise l’Atride trattò malamente,
il sacerdote

(Omero, Iliade, trad. di Rosa Calzecchi Onesti)

Il mondo dell’assoluto e del possibile ha in sé il mistero del divino; gli antichi ne percepivano la sacralità e la traducevano in un’invocazione  di protezione e di aiuto nel varcare la soglia.

Narrami l’uomo d’ingegno molteplice, o Musa, che tanto
errò, poi che distrusse la rocca di Troia divina,
vide molte città, di molti uomini l’indole seppe,
e assai patí pel mare, cercando com’egli e i compagni
 salva potesser la vita serbare, e tornare alla patria.
Folli! Vorarono i bovi del Sol ch’alto valica; e il Nume
contese ad essi il dí del ritorno. O Dea, figlia di Giove,
donde che sia movendo, tu narra anche a me questi eventi.
(Omero, Odissea, trad. di Ettore Romagnoli)

Cantami l’uomo, la sua follia, il suo errare e il suo patire: la letteratura ha chiesto al divino dell’universo di raccontare l’uomo, di indicare le parole che nessuno riesce a trovare quando la vita fa sentire sradicati e persi, lontani.

Come sentiamo ora vicino a noi Enea in mezzo alla tempesta:

Canto le armi e l’uomo che per primo dalle terre di Troia
raggiunse esule l’Italia per voler del fato e le sponde
lavinie, molto per forza di dei travagliato in terra
e in mare, e per la memore ira della crudele Giunone,
e molto avendo sofferto in guerra, pur di fondare
la città, e introdurre nel Lazio i Penati, di dove la stirpe
latina, e i padri albani e le mura dell’alta Roma.

(Virgilio, Eneide, trad. Luca Canali)

Virgilio ha cantato le armi e l’uomo che per primo giunse da un doloroso esilio per rifondare una città.

Non ci sentiamo oggi esuli dalle nostre vite, strappati via da tutto e naufraghi in mezzo a tempeste terribili? Non siamo chiamati a rifondare le nostre città? Virgilio ha cantato le armi e l’uomo… Con quali armi combatteremo questa guerra contro la paura? Quali armi fanno di un uomo un uomo? Enea crede negli dei e a loro si affida, ma la fede è laicamente anche la speranza. Possiamo combattere questa guerra, oggi, affilando la lama della speranza

Come Enea ha scelto di portare con sè il padre anziano, i cari, gli oggetti sacri e i Penati, per non rinnegare se stesso e chi era, nel nostro esilio di oggi custodiamo, vicino a noi, la memoria di ieri, l’amore del presente, la speranza nel domani.

Quando inizieremo a parlarci, cari studenti, rinunceremo a qualcosa. Vorrei che non rinunciassimo all’essenziale: la speranza, la solidarietà, l’amore, la memoria.

IL NOSTRO INIZIO

Nel nostro incipit sceglieremo le parole e varcheremo la zona di confine. Ci distaccheremo dall’universo del possibile, del non detto, da quel silenzioso luogo della mente, al di fuori di spazio e tempo, in cui ora siamo sommersi. Inizieremo.

In Grecia le rappresentazioni di commedie e di tragedie avvenivano in edifici all’aperto, con una cavea costituita da gradinate per gli spettatori, disposte a semicerchio intorno all’orchestra. Due accessi consentivano l’ingresso del Coro e dietro c’era la scena, all’inizio provvisoria e poi, via via, più stabile ed articolata. Al centro dello sguardo e dell’ascolto, risaltavano la vita e le parole. Intorno la natura e l’universo. Tutto concorreva all’esperienza collettiva. Il luogo fisso in cui ci si recava per la rappresentazione tragica o comica, diveniva un luogo della mente a cui tornare, per ricordarsi quella zona di confine tra il vissuto e il narrato, quella “disponibilità impassibile allo scatenarsi delle passioni umane”. Disponibilità? Disponibilità impassibile? Le parole di Calvino risuonano forte.

Siamo chiamati oggi ad accogliere questa esperienza collettiva e a viverla con solidarietà, amore, coraggio, memoria. Siamo chiamati a rielaborare le nostre passioni di oggi in un luogo della mente, che resti “impassibile”, che non subisca, ma si attivi con intelligenza e con speranza.

Siamo chiamati anche al coraggio della parola e della narrazione.

Le nostre parole in questa zona di confine ci definiranno per come inizieremo ad essere.

Nella nostra prima videolezione mi auguro che nessuno di noi sia più come ieri, ma sia pronto ad essere.

QUALI PAROLE PER L’INIZIO?

Amo riaprire il De rerum natura di  Lucrezio:

Madre degli Eneadi, piacere degli dei e degli uomini,
tu che doni la vita, tu che sotto gli astri vaganti del cielo
e dove scorrono le navi popoli le terre feconde,
poiché grazie a te ogni specie di esseri viventi
viene concepita e, nata, contempla la luce del sole:
te, o dea, te fuggono i venti, te fuggono le nuvole del cielo…

(Lucrezio, De rerum natura, trad. di F. Ferranti)

La poesia entra nella prosa della vita, la parola nelle esperienze del quotidiano:

“…il tuo arrivare, sotto la terra creatrice fa crescere fiori soavi, a te sorridono le distese del mare e rasserenato risplende il cielo di un lume diffuso… Poiché tu sola reggi la natura e senza di te nulla… desidero che tu mi accompagni nello scrivere. Fa’ in modo che frattanto i fieri travagli … per mari e terre, placati, restino quieti… Tu effondi dalla bocca parole soavi chiedendo per i Romani, o gloriosa, una placida pace. Infatti noi in tempi così duri per la patria non possiamo chiedere ciò con animo sereno né l’illustre progenie … può mancare in tali frangenti alla comune salvezza”.

E’ un inno alla vita, perché, se nel mondo esistono pandemie, queste sono senza dubbio le malattie del corpo, ma anche quelle dell’anima. Contro i mali dello spirito esistono vie di guarigione: l’osservazione della natura che si rigenera con rinnovato vigore, la valorizzazione dell’intelligenza umana, l’affidarsi alla creatività della letteratura e della scienza.

Lo stesso Lucrezio, nei versi 136-139 (“…Nec me animi fallit Graiorum obscura reperta difficile inlustrare Latinis versibus esse, multa novis verbis praesertim cum sit agendum  propter egestatem linguae et rerum novitatem”), si augurava di trovare parole nuove con cui sconfiggere la povertà del vocabolario ed esprimere la ricchezza degli argomenti.

Cari studenti, siamo chiamati a cercare insieme le parole nuove, perché un inizio è tale quando significa distacco da quello che si era e consapevole narrazione di cosa è essenziale per esserci ancora.

Al cospetto dell’universo, dalla preistoria ad oggi, l’uomo è chiamato a raccontare storie, che includono altre storie che le attraversano e le condizionano fino ad estendersi oltre tutto.  E’ chiamato a trovare le parole che siano un inizio, che diano senso a quello che accade, al giorno che si vive. Scegliamo, dunque, con cura le nostre.

 

Lilia Bellucci

 


Questo articolo è stato utile o interessante?
Sostieni Abitarearoma clicca qui! ↙

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Scrivi un commento