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Memoria della Roma bene: il delitto di Via Puccini

Ovvero quando la cronaca rosa diventa nera

”Anvedi questa! Da dove è uscita. Ammazza che fata!”. “E poi dicono che a questo mondo non c’è più bontà” (dal Film del 1957 “Poveri Ma Belli”, diretto da Dino Risi)

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il “Camillino” era un gelato della Eldorado apparso per la prima volta sul mercato negli anni ‘50 del ‘900. Si trattava di un gelato tra due biscotti al cacao, al tempo il primo e unico di quel genere. Venti anni dopo – al tempo in cui ha fine la storia (anzi la storiaccia) di cui leggerete – quel gelato si trovava ancora nei frigoriferi di molti Bar di Roma e dell’Italia intera, per trovarlo bastava fare i fatidici “quattro passi in più”, come ci ricordava un Carosello televisivo.

Nota: nel Carosello del Camillino Eldorado il pistolero Cocco Bill dopo avere “sistemato”, a raffiche di colt, i banditi cattivi pronunciava, al cospetto di cittadini plaudenti alla sua impresa, le seguenti parole: “E ora, tutti con me, offro Camillino Eldorado. Basta fare quattro passi in più e troverete Camillino Eldorado, il gelato tra due biscotti al cacao” https://youtu.be/geqgVhrcBbI?t=129

Ma non è del gelato della Eldorado che scriverò. Quel nome però, “Camillino”, lo porto con me perché era il soprannome che i familiari e gli amici avevano dato al Marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, Classe 1925, nato a Roma, ma rampollo di una nobile famiglia lombarda, che affondava le sue radici genealogiche in un passato molto remoto.

Il Marchese Casati Stampa è uno dei personaggi – il principale – di questa storia, anzi di questa storiaccia, termine che si attaglia alla perfezione a questa vicenda nera (e non solo per la cronaca giornalistica in cui veniva collocata) con punte morbose, intreccio complesso e finale drammatico. Ma prima di cominciare il racconto, torniamo un attimo alla Roma di quel tempo.

E’ l’Agosto del 1970 e Via Puccini – dove, al civico 9, in un lussuoso appartamento su due piani, risiedono i coniugi Camillo e Anna Casati Stampa – è una strada elegante della parte “bene” della città. Via Puccini, affaccia su Villa Borghese ed è limitrofa a Via Vittorio Veneto e di quella strada – la strada della felliniana “Dolce Vita” – respira appieno l’aria. Il Quartiere su cui Via Puccini insiste si chiama Parioli e al tempo, ad esempio per molti giovanotti che lo abitavano, essere “pariolini” voleva dire, generalmente, essere di famiglia ricca, vivere senza lavorare e avere idee politiche di destra, spesso della destra estrema.

Questo poteva essere, anzi era, l’identikit diremmo così sociale di un altro dei personaggi di questa storiaccia, Massimo Minorenti (nome e cognome da tenere a mente perché ci tornerò su). Tra i due uomini, il blasonato Camillino e il giovane “pariolino” Massimo (che però “pariolino” non era) – come in tutte storie che si rispettano – c’è una donna, Anna Fallarino, Classe 1929, la moglie del Marchese Casati Stampa. Di famiglia umile, la Fallarino, ma di una bellezza sicura e assai intrigante, meglio sensuale. Lei era capace di superare, con disinvoltura assoluta, una montagna di convenzioni e tabù, (anche di carattere sessuale) all’epoca molto in auge, per raggiungere l’agiatezza economica che era il suo maggiore interesse nella vita (anche questo nome e cognome tenetelo a mente).

Bene, ora – presentati sommariamente i personaggi in commedia – possiamo iniziare il racconto della trama di questa storiaccia..

La sera del 30 Agosto del 1970, alla Questura Centrale di Roma, sita in Via di San Vitale (“a San Vitale”, come si dice a Roma, usando solo il toponimo a tutti i romani noto) verso le 22,00, arriva una telefonata: in quell’elegante e lussuoso appartamento di Via Puccini, ai Parioli – dice la voce che ha chiamato il 113, il numero del Pronto Intervento della Polizia, attivo su tutto il territorio nazionale dal 1968 – c’è stata una strage.

Dunque, la storiaccia di CamillinoAnna Massimo era finita nel sangue. Ma come era cominciata?

Anna Fallarino era arrivata a Roma a 16 anni da Amorosi, un paesino di tremila abitanti, in Provincia di Benevento, situato sulla sponda sinistra del fiume Volturno e sulla destra del fiume Calore Irpino, Anna è la figlia di un impiegato delle Poste, la guerra è finita da poco e lei non vuole fare la vita sciatta di provincia, vuole fare del cinema, sicura che la sua bellezza le aprirà tutte le porte. E all’inizio ci riesce. Ottiene, infatti, una particina in un film del 1950 di Totò, “Totòtarzan”, diretto da Mario Mattoli, ma quelli – anche se la ragazza, alta, sensuale e dalle forme procaci è accostata spesso a Marisa Allasio, un’attrice famosa negli anni ’50 e nel cast del Film di Dino Risi, “Poveri Ma Belli” – saranno gli unici suoi 29 secondi di celebrità cinematografica (https://youtu.be/y-Y6dBXvGRQ?t=9).

Dunque, la sua carriera cinematografica si apre e si chiude in un lampo. Così, animata da spirito pragmatico, Anna accetta un lavoro di commessa in un negozio della Capitale. Qui viene notata da un ricco Ingegnere, Giuseppe Drommi, che non ci pensa due volte e la sposa, introducendola nei salotti bene della Capitale e negli ambienti mondani della dolce vita romana.

Poi, è il 1958, i coniugi Drommi vanno in vacanza a Cannes e qui Anna conosce Camillo Casati Stampa di SoncinoCamillino. Tra i due è il classico colpo di fulmine e, nel 1959, Camillo e Anna si sposeranno, dopo che il Tribunale vaticano della Sacra Rota aveva provveduto ad annullare il precedente matrimonio del Marchese e anche quello di Anna Fallarino (come è noto, in quell’anno, la Legge sul Divorzio era ancora di là da venire).

Già dalla prima notte di nozze, trascorsa in un lussuoso Hotel, Anna scopre le perversioni del marito che chiama il servizio in camera e costringe il cameriere ad osservare un loro amplesso verificando poi, personalmente, se l’uomo abbia avuto, o meno, un’erezione. Da quel momento inizia il gioco perverso del Marchese che ama concedere la moglie a temporanei amanti, da lui scelti e ricompensati per il rapporto sessuale avuto con la donna, che Camillino osserva e poi descrive minuziosamente in un suo diario, un’Agenda ricoperta di raso verde, come se stesse scrivendo la sceneggiatura di un film porno di cui però è l’unico spettatore.

La storia va avanti così, per undici lunghi anni. Poi, un giorno di quell’estate del 1970, Anna si ritrova con l’ennesimo amante. Lui si chiama Massimo Minorenti, ed è un “pariolino” acquisito. Si tratta dell’amante di un giorno, ancora una volta scelto da Camillino. Ma stavolta la storia durerà più a lungo, infatti la donna, al di là dei rapporti sessuali che intrattiene regolarmente con Massimo, di quel ragazzo si innamora per davvero, comunicando un giorno al Marchese la sua intenzione di lasciarlo per il Minorenti.

Quella comunicazione secca della donna getterà nel panico il Marchese e segnerà la fine di questa storiaccia. Infatti, la sera del 30 Agosto di quel 1970, Camillo Casati Stampa di Soncino rientra in casa – dove sa di trovare i due amanti – e ordina ai domestici di non essere disturbato. E’ tornato da una battuta di caccia e porta con sé il suo fucile Browing calibro 12, caricato a pallottole per i cinghiali e, arrivato in salotto davanti ai due amanti, spara.

I primi due colpi sono per la moglie, poi è la volta di Minorenti. A questo punto il Marchese spara ancora un colpo alla gola di Anna Fallarino, che è già morta quindi, appoggiato il calcio del fucile su di una poltrona, porta la canna del fucile sotto il mento, tira il grilletto e la testa gli scoppia.

Massimo Minorenti, storia nera di un gigolò

Quando viene ammazzato, quel 30 Agosto del 1970, Massimo Minorenti ha 25 anni. Frequenta i Parioli, ma non è un “pariolino doc”. Viene da Piazza Vescovio, è di famiglia umile e studia Scienze Politiche, quando i suoi ‘impegni mondani” (gode fama di playboy) glielo consentono. Quando incontra Anna Fallarino (è il Marchese Camillo, che lo “recluta” per riempire così qualche altra pagina del suo diario verde) Minorenti è dunque uno studente squattrinato e molto, molto fuori corso che frequenta, con maggiore assiduità delle Aule universitarie della Sapienza, le Sezioni romane del Movimento Sociale Italiano di Almirante. Salito alle cronache rosa per una sua breve relazione con la soubrette americana Lola Falana, al tempo nota stella della TV pubblica, ai Parioli Minorenti incontra tre “pariolini doc”: Andrea Ghira, Gianni Guido e Angelo Izzo, fascisti come lui, che il ragazzo di Piazza Vescovio ritrova spesso anche al “Fungo” dell’Eur, noto locale sopraelevato, ritrovo preferito dei fascisti romani. Si tratta dei tre assassini che, appena cinque anni dopo la sua morte per mano del Marchese Casati Stampa di Soncino, saranno gli attori del massacro del Circe. In quegli incontri, che si ripetono di frequente, tra i quattro nasce un’amicizia cementata dalla comune militanza politica, un’amicizia che il Minorenti non potrà coltivare. 

Dunque, nella sera avanzata di quel 30 Agosto del 1970, sul posto della strage arriva il Capo della Sezione Omicidi della Squadra Mobile di Roma, il Dottor Valerio Gianfrancesco e lo spettacolo che si presenta davanti ai suoi occhi è terrificante: una donna bellissima sembra dormire sul divano, ai suoi piedi un giovane raggomitolato e insanguinato, il Marchese Casati Stampa, il padrone di casa, giace, invece, sul pavimento accanto al fucile e la sua testa è spappolata. Apparentemente un semplice “lui, lei, l’altro”, ma un’Agenda-diario, foderata di raso verde e posata sopra la scrivania, svela il retroscena di quell’ancora oscuro delitto. Dopo i primi rilievi, i tecnici della Polizia Scientifica ricostruiranno i tempi e la dinamica della strage e, lette le prime pagine del diario erotico del Marchese assassino e suicida, tutto diverrà più chiaro.

Così finisce questa storiaccia e comincia il suo racconto mediatico, pagine e pagine di Giornali e Riviste, dai Quotidiani (Corriere della Sera e Messaggero in testa), alle Riviste per signore (OGGI, GENTE et similia), passando per due Riviste decisamente più osè, come “ABC” e “Le Ore. Cronisti, fedeli all’espressione “tutti i particolari in cronaca”, descrivono minutamente i fatti, indugiando spesso sui comportamenti scabrosi del Marchese Casati Stampa (anche raccontando di una sua presunta impotenza sessuale) ma anche – se non soprattutto – sull’acquiescenza complice della bella moglie e corredando i pezzi con le foto della donna, ritratta in pose più o meno discinte e provocanti; foto che il marito scattava e conservava, insieme al suo diario verde.

Su quelle pagine si consuma dunque, per davvero, l’ultimo atto di questa storiaccia. Intanto, nelle Hit Parade musicali dei giovani di quel 1970, primeggia Caterina Caselli (”Casco d’Oro”) che canta; “Insieme a te non ci sto più / Guardo le nuvole lassù / Cercavo in te la tenerezza che non ho / La comprensione che non so / trovare in questo mondo stupido /”.

Arcore, Villa San Martino, ovvero l’”affare favoloso” (di Silvio Berlusconi)

Dal suo precedente matrimonio il Marchese Camillo Casati Stampa di Soncino aveva avuto una figlia, Anna Maria, nata nel 1952, che alla sua morte diventa l’unica erede della fortuna, in denaro sonante e immobili sparsi per l’Italia, del padre. Tra gli immobili di famiglia c’è Villa San Martino ad Arcore, città della Val Padana, in Provincia di Monza e Brianza, ad appena a 21 chilometri da Milano.

Curatore legale della diciottenne Anna Maria, ancora minorenne (all’epoca la maggiore età era fissata per Legge a 21 anni) è l’Avvocato e Senatore liberale Giorgio Bergamasco che affida la pratica dell’eredità Casati Stampa all’Avvocato romano Cesare Previti,

E’ il 1974 e la Marchesina Anna Maria è diventata maggiorenne e si è trasferita in Brasile, ma è pressata dai debiti del padre. Così Cesare Previti le propone di vendere Villa San Martino e, avuto l’ok, propone l’affare all’amico Silvio Berlusconi, al prezzo stracciato di 500 milioni (valutazione di mercato dell’immobile all’epoca: 1 miliardo e 700 milioni, ma altre fonti parlano addirittura per quella Villa di oltre 7 miliardi di valore stimato).

Berlusconi, fiutato l’affare, accetta di acquistare la Villa. Lo farà, per lui, la zia Maria Borsani che possiede un’Agenzia Immobiliare, la “Edilmond Centri Residenziali sas”, che la donna conduce, affiancata da un brillante finanziere di nome Giorgio dell’Oglio, cognato di Berlusconi. Concluse le pratiche amministrative e legali per l’acquisto, Berlusconi versa la somma pattuita con Previti, metà in contanti e metà in titoli.  Concluso l’affare, l’Avvocato Cesare Previti chiama la Marchesina Anna Maria Casati Stampa, che vive in Brasile, per comunicarle l’”affare favoloso” da lui concluso per suo nome e conto.


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