Memoria di genere per un 25 novembre che continui nella riflessione e nell’azione
Il 25 Novembre 2022, Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne è passato solo da 24 ore e la strage (di donne) continua. Leggerete qui di due momenti di questa violenza: uno statale, riguardante le donne iraniane; l’altro individuale, riguardante i maschi, i mariti, o i compagni, maltrattanti e assassini, che continuano ad uccidere per affermare il loro presunto “diritto di proprietà” sulle donne. Le donne che sempre di più sfuggono al loro desiderio di possesso, si dimostrano riottose alla disciplina che le vorrebbe vedere sottomesse al volere maschile e sono sempre di più intenzionate ad affermare il diritto di decidere, in prima persona, del loro destino.
Due fili – uno rosso (se si parla di lotta), ma anche uno nero (se ci soffermiamo sui numeri della strage) – legano i due spaccati femminili di cui sopra. Dunque, rinfreschiamoci la memoria.
In Iran, la lotta delle donne (ma non solo) per affermarsi come persone, dotate di diritti e della volontà di vederseli garantiti e di praticarli, continua. E continua la strage. I morti sono ormai oltre 240 e gli arrestati quasi 14mila. Giorni addietro è arrivata, anche da noi, la notizia che lo stupro delle donne arrestate, ad opera dei Poliziotti della Morale, è diventata un’arma “normale” per cercare di stroncare questa ribellione, inconcepibile per un regime teocratico che ritiene le donne “immagine della perversione”, niente affatto dotate di autonomia di pensiero e con un corpo “che incita al peccato” (i maschi, s’intende) e dunque va nascosto totalmente. La repressione non risparmia nessuno. È infatti stata arrestata ieri, a Teheran, Farideh Maradkhani, atttivista per i diritti umani delle donne iraniane e nipote della Guida Suprema del regime, Alì Khamenei. La sua colpa? Avere sostenuto la lotta delle sue concittadine.
Giorni addietro per le vie di Roma è sfilato un lungo corteo di studenti iraniani che ha chiesto, con forza, a tutti (noi compresi) di sostenere la lotta delle donne iraniane e di “dare voce a chi non può parlare”, meglio a chi, in Iran, parla (anzi grida) scendendo in piazza, ogni giorno da mesi, e pagando anche con la vita la volontà di vivere in libertà. Nel mio piccolo cerco di farlo. Se uniamo le nostre singole voci, possiamo gridare più forte: “Donna, Vita, Libertà”. Dunque, diventiamo tutti e tutte dei megafoni di questa lotta. Nessuno, forse, ci ringrazierà, ma la nostra coscienza di democratici ci lascerà certo tranquilli, per avere fatto ciò che era nelle nostre possibilità e che, certamente, andava fatto.
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Nella nostra parte di mondo – che chiamiamo Italia – non troviamo una repressione dei diritti delle donne come nel Paese degli Ayatollah, ma – parafrasando un vecchio Maestro cinese – si può certo dire che per le donne italiane: “la situazione non è buona e le prospettive non sono affatto eccellenti”. Da noi, infatti, ogni giorno sale il numero delle donne uccise, ovvero dei femminicidi. Nei primi 11 mesi di questo 2022 i femminicidi in Italia sono stati ben 104. Se volete conoscere tutti i nomi delle vittime fermatevi davanti a Palazzo Chigi – antico Palazzo trisecolare e sede del Governo dal 1961 – sulla sua facciata sono proiettati tutti e 104 quei nomi di donna.
Ho scritto spesso sulle cause di questi omicidi e ribadisco che le Leggi per la loro prevenzione e repressione ci sono e andrebbero applicate, anche da chi invece, pare considerare la donna solo come una fattrice di prole (se non si fanno più figli, è il “grido di dolore” , il nostro diventerà un Paese di vecchi, in mano ad un esercito di badanti ucraine e rumene. Mai smentire, dunque, il proprio razzismo, affatto inconsapevole).
Per questo voglio, per una volta, spostare il tiro sugli uomini e sui loro comportamenti, poiché credo che questa possa essere la chiave di volta del problema. Dunque – a parte i casi degli uomini che non riescono a controllare i loro accessi d’ira nei confronti delle donne con cui vivono o hanno una relazione (ma non solo con queste) questione che può essere patologica – molta parte del problema sta nei valori che vengono trasmessi al maschio dalla società e dalla famiglia. Oggi – per essere un ‘vero uomo’ – bisogna avere successo, primeggiare. E il successo comprende, evidentemente, una buona accumulazione di capitale (ovvero, bisogna fare soldi, tanti, maledetti e subito). A queste due condizioni, si somma quella di avere molte donne, di possederle, di possedere il loro corpo e tutto il resto di loro (come fossero gli scalpi delle “giacche blu” da appendere nella propria tenda a riprova del personale successo sociale). Se tutto questo non si realizza il proprio status sociale ne perde, ovvero “non si è un vero uomo”.
È evidente – e per fortuna – che questo modo di pensare non riguarda tutti i maschi. Ma se si scava a fondo nella psiche di quelli che maltrattano le donne o le uccidono, si trova che spesso è questo il motore (si chiama “movente”) delle loro azioni criminali: con la sua voglia di autonomia, la donna è disobbediente e dunque rende irrealizzabile al maschio, l’obiettivo di “essere uomo”, ovvero ostacola la sua realizzazione sociale e dunque va eliminata.
Questa spirale di violenza può essere spezzata. Lo fanno i Centri che lavorano con gli uomini maltrattanti. Partendo dall’assunto che la violenza non è un dato naturale e può essere interrotta, i Programmi attuati in questi Centri hanno come obiettivo quello di smontare questi valori negativi, responsabilizzando l’autore delle violenze, mantenendo sempre la centralità della vittima, per interrompere i comportamenti violenti del maltrattante. (*)
Forse esagero, ma se si spostasse maggiormente l’asse di osservazione su questo aspetto del problema ‘violenza di genere’ avremmo probabilmente fatto un importante passo avanti verso la sua comprensione, il che porterebbe senz’altro a trovare nuove e diverse soluzioni che spezzino questa spirale di violenza, aiutino le donne e anche la nostra società spesso malata, ma che altrettanto spesso non sa (o meglio non vuole) curarsi.
(*) Il primo Programma in Europa rivolto ad autori di violenza nelle relazioni di intimità è stato “Alternative to violence”, nato in Norvegia nel 1987 in collaborazione con le Associazioni femministe e seguito negli anni successivi da esperienze diverse in altri Paesi (Svizzera, Lettonia, Austria, Portogallo e Gran Bretagna), come riportano le autrici del volume “Il lato oscuro degli uomini. La violenza maschile contro le donne: modelli culturali di intervento”, curato dall’Associazione LeNove, nata a Terni negli anni ‘80 del ‘900 (https://lenove.org/).
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