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No, la vergogna non è la mia

Prima storia di "Penna Rossa", racconto in tre fasi della violenza di genere

La violenza sulle donne, non si ferma agli schiaffi, non si ferma alle parole. Qualche giorno fa, una maestra di Torino viene licenziata perché il suo ex compagno, condivide un video che ritrae la coppia durante un rapporto sessuale. L’uomo ha praticamente condiviso in modo non consensuale questo materiale intimo: è un reato.

La condivisione non consensuale di materiale intimo è una fattispecie di reato disciplinata in Italia dal “Codice Rosso”. Ma di cosa parliamo, esattamente? Vediamo un esempio: io sto con te e abbiamo un rapporto di intimità, siamo consensuali entrambi e per questo decido di inviarti una mia foto o un mio video che mi ritrae in atteggiamenti intimi. Solo che un giorno, ti vuoi vendicare di qualcosa (da qui Revenge Porn) e decidi di inoltrare quei miei video a terzi, ma a mia insaputa. È reato, è violenza.

Chiave è il caso della maestra nel Torinese, che non solo ha subito il reato di Revenge Porn, ma è stata anche vittima di una narrazione sbagliata da parte della stampa italiana. All’apparenza un caso da manuale, c’è lei che sta con una persona, si lasciano e lui invia alla sua chat di calcetto, i video intimi che la ritraggono. Questo video fa immensi giri, fino ad arrivare ai genitori dei piccoli alunni di questa maestra, che si scandalizzano, si indignano, la minacciano (sono rimasta indietro? Forse una maestra non può fare sesso? Aggiornatemi qualora fosse così!) e alla fine l’insegnante viene licenziata.

La violenza sta nel fatto che quando la donna è vittima di condivisione non consensuale di materiale intimo, viene messa alla gogna proprio in quanto donna, viene estromessa dalla società e sottoposta allo “slut-shaming”, ovvero ciò che in italiano traduciamo con “la vergogna della sgualdrina”, dove la donna è colpevole proprio per i suoi comportamenti o desideri sessuali, distanti (magari) dalla tradizionale figura dell’“angelo del focolare”. In più quando ci troviamo davanti a tali fatti, la donna viene martoriata da commenti come “se l’è cercata”. Si da’ la colpa alla vittima di un reato, invece di condannare chi lo ha commesso, come abbiamo visto prima, l’ex compagno, non solo colpevole di reato ma anche un violento.

Ad aggravare la situazione, un’autorevole testata italiana, ha diffuso un’intervista di uno dei genitori degli alunni di questa maestra, ma è fondamentale capire, che a noi, quello che pensa uno dei colpevoli della cerchia, non ci interessa, soprattutto quando una legge non ci basta per essere tutelate da reati simili. La “goliardia” con cui vengono giustificati questi reati, va condannata, senza lasciare spazio a repliche, perché è funzionale solo al mantenimento della cultura patriarcale, in cui quello che la donna fa con il suo corpo e del suo corpo, diventa di dominio pubblico.

Il video dell’insegnante di Torino è risultato anche essere il video più cercato e cliccato di uno dei siti porno italiani. Fare sesso non è un reato, il Revenge Porn sì. Ed è una becera violenza. Per questo il reato non è sufficiente. Il Revenge Porn, a livello lavorativo, psicologico, familiare ha ancora una potenza inaudita, perché sulla donna pesa ancora il binomio sacro-profano.

E nel 2020, questo, non è più accettabile. Dobbiamo tutti, insieme, contrastare questi fenomeni, denunciarli, sottolineare a gran voce che noi donne siamo vittime ogni giorno, e nelle forme più disparate, di violenza di genere.

 

Alice Sola


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