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Nuovo lessico famigliare

Quando i media imparano a parlare

“In questo modo non si va da nessuna parte.” Non era la prima volta che il capofamiglia si esprimeva in questi termini, ma da un po’ di tempo il suo lessico non era più lo stesso. Che stia rincoglionendo?” Pensò il figlio Agenore.

“Per convincerla a darcela, bisogna fare sistema. Intanto, credo sia il caso di aprire fra noi un tavolo di confronto. Lo so, Orazio: la nuova bielorussa che abbiamo assunto, piace anche a te. Ma dev’essere sovranità condivisa; dev’essere una strada di unità e d’impegno comune, nella misura in cui il focus si indirizzi sul capitale che abbiamo in casa. Un capitale, faccio notare, che sicuramente esula dalla parità di genere, visto che porta con disinvoltura una quinta…

“Colonna staliniana?” Azzardò Agenore, a riprova che la ragazza gli aveva ottenebrato il cervello. “Taci imbecille, asservito alla morale bigottamente ecumenica di tua madre, certo non politically correct! Una quinta di reggiseno a balconcino, insipiente! Quindi, a fortiori, senza che se ne accorga vostra madre dalla control room (se non capisci è la cabina di regia), è d’uopo, agire volando bassi senza mai alzare i toni, come fanno gli uccelli.” Forse il tuo, il mio no davvero. Continuò a ripetersi Agenore.

Orazio passivamente assentiva, ma il fratello maggiore, tra i tre cospiratori continuò a pensare che il padre stava rincoglionendo, tanto che il suo punto di vista lo espresse nell’insolito combinato della frase, familiare al genitore-uno.

“Per entrare nel merito, a queste condizioni, io non ci sto. Se nel merito potevo essere consenziente, nel metodo adesso sono a chiedervi: chi controlla il controllore? Chi si fa carico delle scelte decisive per il futuro di noi figli? Tu, papà, te la caveresti col solito rimbrotto, seguito dal condono. Ma noi? Capisco che convincerla a sottostare alla nostra bramosia di penetrazione, è la madre di tutte le battaglie da vincere, ma riuscire a sopravanzare e sopraffare l’asse, storicamente invincibile,  Madre – zia Giuseppina comporta un rischio – non chiamiamolo esiguo, per favore – che potrebbe esplodere in una crisi familiare mai vista in precedenza e difficile da immaginare. Personalmente preferirei staccare la spina.”

“E no! Siamo in tre sulla stessa barca e dobbiamo restare uniti, anche considerando che, per centrare l’obiettivo, il prestito necessario, ricadente sulle mie spalle, non sarà a fondo perso, ma ad un tasso agevolato sì, decennale anche, ma destinato a incidere sulla vostra paghetta settimanale. Quindi, potrà sembrarvi assurdo ma confidare in un mutamento, teso alla transizione culturale di vostra madre, equivarrebbe a cambiare i modelli di crescita, nell’algoritmo che ognuno di noi coltiva nella speranza, puntando, eziandio, all’apertura di un solco finora inesplorato, forse. Pur tuttavia, non possiamo esimerci dal definire e tracciare un piano B, consistente, con tutta la prudenza del caso, nell’ipotetico assunto, che Iddio non voglia: e se rifiutasse di darcela?”

Il tavolo di confronto rischiava di insabbiarsi nella impossibilità di trovare la quadratura del cerchio, allorché – chiedendo: permesso?– entrò nel tinello il lupus in fabula.

“Scusatemi, ho preso servizio stamani. Qualcuno di voi potrebbe indicarmi quale camera mi è stata destinata? Perché… La Signora è uscita con la zia Giuseppina. Magari rientreranno tardi. Però non vorrei arrecarvi disturbo.” E rivolta ai ragazzi. “Vorreste cortesemente accompagnarmi in camera?”

Scattarono immediatamente in tre per accompagnarla verso la meta. La spinsero lungo il corridoio umanitario, apertosi all’improvviso davanti a loro, per aiutare la povera cittadina extra comunitaria verso l’approdo che padre e figli sognavano potesse non essere il meritato riposo della nuova arrivata, nell’accoglienza calda e disinteressata del Paese.


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