

Al secondo posto Fiorella Mannoia con "Che sia benedetta", seguita da Ermal Meta con "Vietato Morire"
Francesco Gabbani e la sua scimmia nuda che balla si sono aggiudicati la sessantasettesima edizione del Festival di Sanremo. Ma diciamo anche che la concorrenza non è stata particolarmente agguerrita, neanche l’ultima sera. Tra i più quotati dei sedici finalisti vi era Fiorella Mannoia, che si è aggiudicata il secondo posto.
La cantante romana si è presentata all’Ariston con “Che sia benedetta”. È un pezzo così banale da essere piaciuto a tutti. Parla della vita, e quindi di tutto e di niente. E lo fa con parole così ottimistiche da risultare quasi stomachevole. Un’operazione commerciale ben riuscita, ma che a livello artistico lascia parecchio a desiderare. Però siamo a Sanremo e quindi non se n’è accorto nessuno. Oltre al suo fastidioso ottimismo, della Mannoia va sottolineato quel simpatico modo di muovere le mani che fa rimpiangere la scimmia di Gabbani. Male, a tratti malissimo.
Ma anche Fabrizio Moro non ha scherzato. Si è presentato col pezzo “Portami via”, che forse voleva essere una accorata richiesta del pubblico che non ne poteva più. Testo malinconico, prevalentemente piano e voce, con una semplicità compositiva che può far colpo, soprattutto all’Ariston. Peccato per le doti canore del cantautore romano, che a tratti veramente disturbano. La voce graffiata è bella, affascinante e pure sensuale, però tocca saperla usare e, soprattutto, intonare. Infatti la versione in studio non è così male. Il mix tra rock e malinconia che Moro prova a rincorrere sembra scimmiottare un po’ Vasco Rossi e un po’ Luigi Tenco, ma con risultati un pochetto scarsi. Per parafrasare Joe Bastianich, #MaVuoiCheMoro?
Sul gradino più basso del podio si è posizionato Ermal Meta, cantautore di discreto successo ma pressoché sconosciuto al grande pubblico. Carino il pezzo autobiografico sul padre violento, ma niente di entusiasmante. Bianca Atzei (“Ora esisti solo tu”, 9° posto) completamente sciapa, così come Elodie (“Tutta colpa mia, 8° posto), che è diventata bravissima ad assomigliare ad Amy Winehouse. Peccato che una sia stata una star internazionale e un’altra sia a Sanremo. Significativo anche il testo di Michele Zarrillo: “Tu sei passione e tormento”. Un po’ come la sua canzone, che per fortuna è finita all’undicesimo posto. Menzione d’onore anche per l’abito di Marco Masini, forse sottratto nottetempo ad un ignaro Lapo Elkann.
Forse sarebbe dovuto un discorso su Clementino e il rap che scade e si vende ad un festival di massa come Sanremo, ma il sedicesimo posto parla da solo. Forse è meglio invece evitare quello su Sergio Sylvestre, che per via della sua amicizia con Maria De Filippi ha fatto gridare alcuni al GOMBLODDO. Per fortuna la polemica non è esplosa.
Notevoli invece i brani di Michele Bravi e Paola Turci, finiti rispettivamente al quarto e quinto posto, e che forse avrebbero meritato qualcosa in più.
Ma il principe della serata è ovviamente Gabbani, che dopo esser cresciuto con “Amen” ora ha vinto anche con gli adulti. È un ragazzo che trasuda simpatia e solarità, e nessun sano osservatore di Sanremo avrebbe scommesso che la sua Occidentali’s Karma potesse vincere qualcosa all’Ariston. Non è ben chiaro il perché si sia imposto proprio il pezzo più impegnato tra quelli in corsa.
Forse la giuria e il popolo italiano hanno colto la profondità delle parole di Gabbani e hanno deciso di dare una svolta storica al Festival. O forse nessuno ha capito una mazza e ha deciso di premiare “quello simpatico che balla con la scimmia”. Quoto la seconda opzione.
Ma al di là del declino dell’Occidente perso nello scimmiottare (è il caso di dirlo) l’Oriente appresso a lezioni di yoga e ristoranti all you can eat raccontato da Gabbani, Occidentali’s Karma ha il grandissimo pregio di prendere per il culo senza farsi troppo notare. Il linguaggio apparentemente no sense, la base musicale orecchiabile e l’allegria del motivetto centrale rischiano di portare il brano su tutte le spiagge italiane durante l’estate in arrivo.
Sarebbe il giusto riconoscimento di un genio totale della contemporaneità come Gabbani, che ha capito per primo che per criticare la società 2.0 tocca usare i linguaggi idioti che questa società utilizza. Il successo planetario sarebbe sentir canticchiare Occidentali’s Karma ad un gruppo di gente che in asciugamano e ciabatte va al ristorante cinese/giapponese, così poi può pure mettere le foto su Facebook con tanto di hashtag #sushilovers. Siamo sicuri che il buon Gabbani ci stia lavorando.
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