Il Palco Delle Favole fa sognare grandi e piccoli al Teatro del Torrino
In scena il classico Disney "Il Re Leone" tra canti, balli e recitazione si evince un forte amore per il teatroThe Lion King, o se preferite semplicemente Il Re Leone. Al Teatro del Torrino dal 6 novembre è in scena questo classico Disney, ogni domenica del mese (6, 13, 20, 27 novembre) nella fascia pomeridiana delle ore 16:00, ed uno spettacolo serale, ore 21, in data unica sabato 26 novembre. La regia è a cura di Luca Pizzurro e le coreografie sono curate da Andre De La Roche. Come testata abbiamo seguito la prima di questo spettacolo ed il prodotto è di indiscutibile qualità. Per chiunque ami il teatro vedere fondersi così bene tre arti nobilissime come recitazione, ballo e canto è semplicemente poesia.
Mettere in scena un classico Disney per quanto possa sembrare una banalità, non è affatto facile. Parliamo di favole,che hanno impresso il loro nome nella storia e perciò per interpretarle, per raccontarle ad adulti e bambini, bisogna essere all’altezza di quello che si sta portando sul palco.
E’ senza ombra di dubbio una sfida interessante che in maniera altrettanto indubbia loro del “Palco Delle Favole” hanno vinto. La storia lo sappiamo è celeberrima, ma raccontata così, con questa passione, con quelle canzoni ben fatte e con quei balli che non risultano forzati ma ben incastonati nel racconto, così è decisamente meritevole di attenzione.
A fine spettacolo ci siamo intrattenuti con il regista Luca Pizzurro per un’intervista esclusiva.
Luca, come ci si approccia ad un pubblico formato anche da bambini?
“Ci si approccia considerandoli come un pubblico di serie a e non un pubblico di serie b, questo è quello che faccio da quando ho iniziato a fare spettacoli per ragazzi. Il mestiere di chi fa spettacoli in un certo senso è anche quello di costruire e realizzare dei sogni portandoli davanti al pubblico incarnati dal corpo e dall’anima degli attori, molto spesso il pubblico giovane viene considerato di serie b, invece i bambini sono proprio quelli che credono di più a questa magia.
Nel momento in cui io porto un bambino all’interno della storia che ho creato, in questo caso Il Re Leone, io sto sempre molto attento nel rimanere fedele a quello che i bambini si aspettano di trovare, quindi sono un po’ contro tutto quello che è rendere moderno una storia classica, esempio telefonini che squillano nella savana, cose di questo tipo, come spesso accade, oppure battute che possono arruffianarsi il pubblico perché danno il là a delle considerazione moderne ma che evidentemente ai tempi non era possibile che ci fossero.
Io quando lavoro negli spettacoli per i ragazzi devo ammettere che probabilmente ci metto più impegno rispetto a quelli per adulti, se così si può dire, ma semplicemente perché la magia e la fascinazione che il bambino o il ragazzo vive è totale, è a 360 gradi, diciamo che questo è anche il segreto del successo dei nostri spettacoli che sono seguiti anche da molti adulti e non solo da bambini o ragazzi.”
Si evince un forte senso di amore tra genitori e figli in questa storia, questo senso al giorno d’oggi si è un po’ perso?
“Secondo me è cambiato un po’ il senso di famiglia, continuiamo ad assistere a famiglie spaccate purtroppo di genitori separati, con questi bambini che fanno avanti e indietro tra il padre e la madre, mio figlio ad esempio, nello spettacolo interpreta Simba, è figlio di genitori separati e quindi so perfettamente di cosa parli. Purtroppo il senso di famiglia è un po’ finito, però come dico a mio figlio, si può creare un’altra famiglia composta da due persone anziché da tre, quindi c’è una famiglia con mamma, c’è una famiglia con papà. Tutto sta nell’intelligenza delle persone riuscire a costruire un rapporto con i propri figli dove si semina oggi e germoglierà domani, perché se oggi si crea il nulla, il nulla troveremo.”
E’ questa cosa, questo aspetto, la più emozionante de Il Re Leone?
“Questa storia per quanto mi riguarda è emozionante sotto vari punti di vista. Sicuramente il rapporto con chi non c’è più, il considerare la vita come qualcosa che finisce e quindi dover comunicare al proprio figlio che non si è eterni. Io per molto tempo ho mentito a mio figlio dicendogli che non moriva nessuno perché avevo il terrore che lui vivesse questo trauma, poi piano piano lo ha scoperto. Qui si racconta di un padre che comunica al figlio che un giorno lui non ci sarà e guardando le stelle lo troverà lì, quindi un’immagine molto poetica per raccontare il passaggio ad un’altra vita, per chi ci crede.”
Nel testo della colonna sonora “Il cerchio della vita” si legge: “E un bel giorno ti accorgi che esisti, che sei parte del mondo anche tu”, tralasciando lo scontato senso letterario, secondo te quante persone hanno capito questa frase senza comprenderla realmente?
“Beh diciamo che lo spettacolo parla di una presa di consapevolezza in qualche modo, dell’essere un individuo all’interno di una società, che può essere una società animale o umana, questo poco importa, però parla di una prendere consapevolezza che ognuno di noi deve fare la propria parte. Quanto questo sia compreso sinceramente non lo so, a prescindere dal nostro pubblico che ci segue sempre con affetto, parlo della gente in generale, vedo sempre più persone che sopravvivono e non vivono, che forse questa consapevolezza del “se” gli manca fortemente, si accontentano di sopravvivere, invece di essere, ed essere consapevoli di se è doloroso per certi versi, perché comunque avere consapevolezza di se non è una cosa facile, però è un percorso importante per quella che si chiama maturazione, anche se è un termine un po’ abusato ed inutile, però ecco potremmo dire per diventare il più coerenti possibile con il proprio essere, con il proprio modo di essere.”
Non per essere malinconici, però possiamo affermare che non ci sono più i cartoni animati o le favole di una volta, visto che alcuni recenti titoli sono: Up, Il viaggio di Arlo, Cars motori ruggenti, Strange Magic. Senza giudicarli dal titolo ovviamente, però si può denotare una trama scialba senza una morale così forte che prima invece era presente?
“Io sono nove anni che mi occupo de “Il Teatro Delle Favole” e come prima cosa mi sono occupato di costruire un pubblico, perché detto chiaramente il pubblico non c’è, anche per gli spettacoli per adulti che faccio qui e faccio in altri teatri, però ad un certo punto mi sono detto che forse era il caso di ripartire dai bambini. I nostri bambini che si appassionano al teatro, spero che diventeranno adulti che andranno a teatro. Tutto questo per dire che all’inizio io avevo a disposizione storie moderne che avrebbero avuto molto più fascino sul pubblico, perché se tu parli di Biancaneve e di Cenerentola ad un bambino di oggi quello ti ride in faccia. Ho cercato invece di riprendere in mano quelle storie li, non sporcandole, come dicevo prima, con l’inserimento di cose stupide, ma partendo da quelli che sono i fondamenti delle favole, perché hanno dei fondamenti di verità enormi e parlano al bambino ma se l’adulto riesce a leggere tra le righe trova tante cose che parlano di se. Io ho scelto questa linea di fare le favole Disney fondamentalmente, non facciamo altro, ma perché ho la presunzione di dire che se il pubblico va verso una certa direzione un piccolo cambiamento si piò fare. Abbiamo circa seimila persone che ci seguono e nel tempo queste seimila persone hanno imparato ad apprezzare qualcosa di diverso dagli effetti speciali, dalla tecnologia, dal computer. Oggi c’era in scena un disegno fatto di cartone ed i bambini che escono da qui oggi poi magari vanno a casa e chiedono di avere la copia del dvd di questa cosa antica che è il cartone Disney. Per quanto riguarda la morale povera delle storie si potrebbe aprire un discorso molto ampio, in sintesi credo che ci sia proprio un “progetto” di far naufragare un concetto culturale che in qualche modo si è cercato di costruire. La televisione per certi versi, il cinema per altri, anche il teatro se vogliamo, ma il cinema e la televisione sono quelli che hanno contribuito maggiormente a creare questa lobotomizzazione del cervello umano, per cui si arriva al punto in cui le persone devono essere bombardate di immagini, tempi molto stretti, perché è questo che ti chiedono quando fai qualcosa per la televisione o per il cinema, cambiare immagine rapidamente, in modo tale che il fruitore alla fine è stordito, quasi non ricorda quello che ha visto e così facendo non si scende in profondità a cercare il senso, il significato ed il valore delle cose; è importante avere l’effetto speciale, che io odio, ma questa è una mia idea. Credo che l’idea è tutto un progetto più grande e più ampio di noi, un voler deviare le menti degli esseri pensanti.”
Che cos’è il teatro secondo te?
“Domanda meravigliosa questa ma anche molto difficile. Il teatro è un luogo all’interno del quale si può ancora provare ad essere veri. Credo fortemente che esiste molta più verità sul palcoscenico rispetto a fuori da questo teatro. E’ un luogo dove ci si può perdere e avere voglia di non ritrovarsi più, perché poi fondamentalmente quello che io vivo qua dentro per 13/14 ore al giorno, è molto diverso da quello che accade fuori, le persone spesso non capiscono queste mie parole ma perché non sanno che cos’è questa forte malattia, come la chiamo io, a chi fa questo mestiere.”
Come si fa a far innamorare un bambino, o almeno incuriosirlo, su cos’è teatro, come si fa?
“Bisogna essere onesti, bisogna essere veri e bisogna considerarlo un essere pensante e non uno stupido. Io il primo anno che ho aperto questo teatro chiaramente avendo meno forze di adesso, ho fatto una stagione dove ho invitato due compagnie a fare gli spettacoli perché non riuscivo a coprire tutto il cartellone, quello che gli altri, molti altri, considerano del teatro per i bambini non è nient’altro che un mero mezzo per fare denaro; e quindi c’è un attore con la chitarrina, con la maschera, che va li, lo prende in giro, il bambino è affascinato dal suono, dal costume, ma li finisce. Io cerco di far crescere i bambini in qualche modo, dandogli dei significati che sono all’interno delle favole ma sono anche riscontrabili nella vita. Questo è il percorso che sto cercando di fare e così facendo spero che loro si innamorino, dai riscontri che abbiamo, dall’affetto che hanno nei nostri confronti, mi sembra che questo stia avvenendo e me lo auguro.”
Qual è la tua storia Disney preferita?
“Guarda la mia storia Disney preferita è una che non ho mai fatto, ovvero Bambi. Forse mi colpì questo rapporto con i genitori, la morte della mamma, questo rapporto con il padre; io sono uno molto convinto che tanto dell’uomo di domani si forma nel bambino di oggi, quindi a seconda del calore e dell’attenzione che i genitori hanno verso i propri figli, questi cresceranno uomini più o meno sani. Fin da bambino io sono stato molto fortunato perché sono stato circondato da attenzione ed il pensiero di perdere mia madre o mio padre mi tormentava, quando vidi quell’immagine in Bambi fui molto colpito. Mi è servita perché comunque mi ha insegnato che ci sono cose belle e cose brutte nella vita. Non so se hai notato ma oggi quando è entrato l’attore che faceva Scar un bambino ha pianto e mi sono detto che forse era un po’ forte per questa fascia d’età, stavo pensando di comunicare una fascia d’età un po’ più alta, dai 5 anni in su, però poi ho anche pensato che infondo la cattiveria fa parte di questa vita e vederla in questa forma che è totalmente innocua può essere più formativo del viverlo in maniera negativa diciamo.”
Si può affermare che è quasi l’esatta rappresentazione della società in cui viviamo questa storia de Il Re Leone, dove si gioca sporco e ci si spinge a gesti folli pur di arrivare più in alto e prendere un po’ di potere?
“Mi sembra abbastanza evidente questo, quello a cui siamo abituati dal telegiornale oppure nella vita quotidiana nel proprio quartiere, palazzo o alle volte anche nella propria casa. Ognuno di noi in qualche modo cerca di agire nel proprio potere anche se fosse all’interno del rettangolo di una scrivania con la persona che si ha davanti. Ognuno di noi tendenzialmente è portato a farlo. Questo diventa esponenziale nel momento in cui si parla di poteri molto più forti, quello che sta accadendo nel mondo, l’Isis in primis o semplicemente la politica di oggi che è portata a fare dell’essere umano un mezzo attraverso il quale soddisfare i propri voleri e le proprie esigenze. Io credo che in questa storia ad esempio Scar pur di prendere il trono uccide il fratello e poi ci pensi e ti vengono in mente molti parallelismi nella vita di tutti i giorni e tutto questo ti fa pensare, perciò tutto questo è pericoloso. Molto meglio invece mettere un vecchietto innocuo all’interno della storia, oppure delle semplici macchine come in Cars, e fargli fare delle cose che portano lo spettatore ad essere fintamente contento ma poi quando esce da li non gli rimane nulla.
Ad esempio io ho fatto anche spettacoli molto più impegnativi come tematiche, ho trattato l’aborto oppure il terrorismo e ogni volta il mio pensiero era sempre lo stesso, ovvero mandare a casa le persone con delle domande da porsi e cercare conseguentemente delle risposte a queste domande, non “dove andiamo a cena” oppure “dove ho messo la macchina”, questo sarebbe il più grande avvilimento del mio mestiere.”
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