Ricordiamo Umberto Eco
A cinque anni dalla sua scomparsa, ripubblicando una recensione ad un suo romanzo, Baudolino, apparso nel 2000Cinque anni fa, il 19 febbraio del 2016 moriva Umberto Eco, uno dei più grandi intellettuali italiani di tutti i tempi: filosofo, semiologo, narratore, teorico della comunicazione, giornalista, ha lasciato in ogni campo da lui coltivato un’impronta indelebile del suo sapere e della sua straordinaria capacità di mettere in relazione le più diverse espressioni dello spirito umano.
Lo ricordiamo ripubblicando una recensione di Francesco Sirleto ad un suo romanzo, Baudolino, apparso nel 2000, a vent’anni esatti dal successo internazionale ottenuto con il suo primo romanzo, Il nome della rosa.
LE DONNE, I CAVALLIER, L’ARME, GLI AMORI, LE CORTESIE, L’AUDACI IMPRESE IO CANTO …
Baudolino di Umberto Eco: un apparente ritorno, dopo vent’anni, al Medioevo de Il nome della rosa, rivisitato all’insegna dell’ironia e della commedia. La storia si intreccia e si aggroviglia con la favola e con il mito. Un libro di Eco nel quale ritrovare l’eco e l’impronta di innumerevoli altri libri.
“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,/ le cortesie, l’audaci imprese io canto,/ che furo al tempo che passaro i Mori/ d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,/ seguendo l’ire e i giovenil furori/ d’Agramante lor re, che si diè vanto/ di vendicar la morte di Troiano/ sovra re Carlo imperator romano.” (Ludovico Ariosto, L’Orlando furioso, canto I)
In uno dei primissimi capitoli de Il nome della rosa, prima fatica squisitamente letteraria di Umberto Eco, si assiste ad un lungo e avvincente dialogo tra i due grandi protagonisti del romanzo: Guglielmo da Baskerville e Jorge da Burgos. Oggetto della disputatio è “il riso”, o, per meglio dire, il comico, prediletto da Guglielmo in quanto carattere distintivo dell’uomo, ma aborrito da Jorge a causa della sua indubbia capacità di mettere in ridicolo tutto ciò che è serio, perfino le cose divine. Per Jorge, il comico è instrumentum diaboli, pertanto da condannare e proibire, e i libri che di esso trattano (come, ad esempio, la fantomatica seconda parte della Poetica aristotelica) è meglio mandarli al rogo. Ricordiamo tutti la vicenda tragica e la conclusione quasi apocalittica di quel romanzo: l’immenso rogo della più grande biblioteca della cristianità. La memoria di quell’opera prima di Eco ci serve a comprendere meglio il senso di quest’opera ultima: infatti, se Il nome della rosa si sviluppava in un’atmosfera cupa, tenebrosa, tragica, Baudolino dipana le sue storie all’insegna di una onnipresente ironia, di una comicità che ritroviamo perfino nelle descrizioni di angoscianti assedi, di crudeli massacri, di furibondi combattimenti. Anche nella scelta dei personaggi prevale, rispetto al primo romanzo, uno dei canoni principali della commedia: in veste di protagonisti uomini “volgari”, di origine umile, contadinesca o artigiana. Lo stesso Baudolino, l’io narrante, è figlio di un contadino di un piccolo borgo piemontese, uno di quei villaggi che darà vita alla città di Alessandria, e solo per caso viene a contatto con i potenti del mondo, in primis con il sacro romano imperatore Federico Barbarossa. Egualmente di umile condizione, oppure appartenenti a gruppi “sospetti” di eresia e perciò tenuti ai margini della società medievale (come saraceni ed ebrei) sono i compagni, clerici vagantes, di Baudolino, quelli con i quali trascorre in gioventù spensierati anni di studi a Parigi, ospiti di taverne e di bordelli, e che poi, nella maturità, lo seguono nell’avventuroso viaggio alla ricerca del favoloso regno del Prete Giovanni.
La trama del romanzo si ripartisce in due nuclei tematici nettamente distinti, anche sul piano cronologico: il primo – dal carattere prevalentemente storico – ha come filo conduttore i rapporti conflittuali tra l’imperatore Federico Barbarossa (nel romanzo padre adottivo di Baudolino) e i riottosi e litigiosi comuni italiani. Gli anni nei quali si svolgono i fatti vanno dal 1155 al 1190, e sono scanditi da eventi quali la distruzione di Tortona, quella di Crema, e poi la dieta di Roncaglia, l’assedio e l’umiliazione di Milano, il contrasto tra Federico e il papa Alessandro III, la costruzione di Alessandria, l’assedio e la vittoriosa resistenza (comicissima la vicenda della vacca fatta ingrassare con le ultime scorte di grano degli alessandrini, al fine di demoralizzare le truppe imperiali ed offrire un motivo all’imperatore per togliere l’assedio e stipulare la pace) della città appena costituita. L’ultimo atto di questo primo nucleo è costituito dalla decisione di Federico di prendere parte alla III Crociata per liberare il Santo Sepolcro dopo la conquista della città santa operata dall’infedele sultano Saladino. Nel frattempo, in questo primo nucleo, vengono poste le basi culturali (di carattere soprattutto letterarie e mitologiche) che offriranno lo spunto per il secondo nucleo narrativo del romanzo. Si tratta di leggende e racconti molto popolari nel medioevo: la ricerca del Santo Graal, il regno del Prete Giovanni, la setta degli assassini, i favolosi paesi d’oriente popolati da esseri tratti di peso dal grande patrimonio mitologico dell’antichità: satiri, chimere, unicorni, ciclopi e via elencando. Anche il secondo nucleo si situa, cronologicamente, in una cornice temporale abbastanza precisa, e cioè dal 1190 al 1204 (data dell’assedio e del sacco di Costantinopoli operato dai pellegrini cattolici facenti parte della famigerata IV Crociata, quella che doveva liberare il Santo Sepolcro e che, invece, si fermò a Costantinopoli per massacrare alcune migliaia di eretici cristiani d’oriente e, già che c’erano, anche di alcune centinaia di pacifici ebrei). Non altrettanto precisa si rivela la geografia che, anzi, tende a riprodurre fedelmente le vaghissime concezioni in possesso degli uomini medievali circa la forma e la topologia del mondo allora conosciuto. In questa seconda parte Baudolino e i suoi compagni arrivano fin quasi ai confini del regno del Prete Giovanni, in una città in cui i diversi gruppi – diversissimi tra loro per caratteristiche fisiche e per fedi religiose – che convivono in una sorta di concordia discors, o di insocievole socievolezza, passano il tempo a disputare su tematiche teologiche intorno alla doppia natura di Cristo o ai rapporti tra le diverse Persone della Santissima Trinità. Ma in un bosco che sorge non molto lontano dalla stessa città, vivono le ultime discendenti di una popolazione femminile che professa una sorta di religione laica, neoplatonica e illuministica, in totale contrasto con le varie credenze teologiche che si affrontano in ambito cittadino. Non c’è dubbio che, ai fini di una lettura esegetica del testo, l’approccio a questa seconda parte del romanzo può essere solo in chiave simbolica o addirittura allegorica.
I due nuclei, infine, trovano un punto d’unione e una soluzione proprio nell’evento conclusivo del romanzo: l’assedio e la caduta di Costantinopoli, ai quali fa da contraltare la rottura del gruppo di avventurosi amici di Baudolino, la morte di parecchi di loro e il ritiro a vita eremitica – in espiazione dei gravissimi peccati commessi – dello stesso Baudolino.
Fin qui succintamente la trama. In realtà sono molte le trame e i motivi che si incontrano nella lettura del romanzo. A me sembra che, fedele all’osservazione di Borges che in un libro sono racchiusi moltissimi altri libri, Eco abbia voluto, con la storia di Baudolino, presentarci sotto mentite spoglie le sue personali interpretazioni di opere che fanno parte del patrimonio della letteratura universale: dall’Odissea alla Divina Commedia, dai dialoghi platonici sull’amore ai romanzi del ciclo brettone, dall’Orlando Furioso al Don Chisciotte, dal Simplicissimus ai Viaggi di Gulliver, ecc. ecc. Inoltre c’è, nel romanzo, una tale varietà di generi letterari che non è azzardato pensare che l’autore, ancora una volta, abbia voluto mettere a frutto alcune sue teorie estetiche elaborate moltissimi anni fa e che furono oggetto di dottissime trattazioni in saggi quali Opera aperta, Le poetiche di Joyce, Il problema estetico in Tommaso d’Aquino, Le forme del contenuto, La struttura assente. Sono dunque varie le fonti di Baudolino: esse sono di natura teoretica o puramente letterarie, ma le prime sono inscindibili dalle seconde. Il lettore attento, che sia però anche conoscitore dell’intera produzione di Eco, non potrà non meravigliarsi della profonda unitarietà di quest’opera. Il risultato attuale, cioè Baudolino, è, sia formalmente che nel contenuto, senz’altro dignitoso e godibilissimo. Non dello stesso livello de Il nome della rosa, ma senz’altro superiore a Il pendolo di Foucault, che si “raccomandava” per la frammentarietà e la confusione, segno di una difficoltosa padronanza di una materia sovrabbondante e debordante.
- s.: Abbiamo parlato, in questa recensione, delle fonti, letterarie e teoriche, dalle quali Eco attinge i vari materiali che, amalgamati tra loro, formano l’ossatura del romanzo. L’elemento catalizzatore che sovraintende alla sapiente opera di contaminazione dei vari ingredienti è costituito però dalla profonda suggestione che, sulla narrativa echiana, continua a svolgere la scrittura di Jorge Luis Borges. Impronte del grande vecchio di Buenos Aires si incontrano in tal modo quasi in ogni pagina. Così come ne Il nome della rosa (dove addirittura lo scrittore argentino appariva nelle vesti del vecchio bibliotecario cieco Jorge da Burgos), anche in Baudolino ci si imbatte di continuo in frammenti tratti da Aleph, Altre inquisizioni, Finzioni, Manuale di zoologia fantastica, ecc. Controllare per credere.
Umberto Eco, Baudolino, Bompiani, Milano 2000.
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Non avevo letto “Baudolino”ma, dopo questa appassionata recensione, mi è venuto il desiderio di sopperire alla mia mancanza. Grazie, Francesco!