Roma 80 anni fa. La liberazione da un incubo

“Roma è stata la capitale che ci ha dato più filo da torcere” (Eugene Dollmann, colonnello delle SS)

Mio padre, che era clandestino a Roma perché non si era presentato ai bandi di Graziani per la Rsi, raccontava di aver atteso spasmodicamente l’arrivo degli americani.

Rammentava di aver visto il secondo carro armato americano in arrivo dalla via Appia appena superata Porta San Giovanni. Durante i 271 giorni, aveva subito una fame atroce e i bombardamenti alleati. Lavorando imbucato dal Cln al Verano era rimasto sotto uno di questi.

Doveva essere inverno perché il cappotto indossato mentre si riparava in una cappella che poi, per lo spostamento d’aria di una bomba caduta poco lontano, crollò sopra di lui e di altri compagni, si era talmente impregnato di polvere che era rimasta appiccicata ancora per molti anni finché non lo dismise.

Mia madre raccontava dell’occupazione tedesca e dello sfilatino di pane di 100 g. che veniva distribuito dove c’era di tutto meno la farina. Se lo lanciavi contro il muro, diceva, rimaneva appiccicato.

Arrivano gli alleati

Poi, dopo la festa spontanea e gioiosa che aveva accolto le truppe americane – in verità c’erano anche gli inglesi – rammentava dei camion su cui erano stipati e sorvegliati i Goumiers marocchini in transito a Roma. Quei Goumiers, truppe marocchine inquadrate nel corpo di spedizione francese del generale Juin, che dopo la battaglia finale di Montecassino, in cui avevano svolto un ruolo non secondario, si erano abbandonati in Ciociaria alle famigerate “marocchinate”, stupri e violenze contro donne e bambini.

Il mio amico e compagno Massimo Prasca mi raccontava di quando lui e suo padre da casa a via Rasella videro arrivare verso inizio sera da via Quattro Fontane provenienti da S. Maria Maggiore le avanguardie di fanteria americane che su due colonne rasenti i muri avanzavano circospette.

Riconobbero che erano yankee dall’abbigliamento che non era quello tedesco. E il padre di Massimo proruppe nel grido liberatorio di “welcome, welcome”.

Da un altro amico e compagno, molto parco nel raccontare la sua esperienza di giovane partigiano della “Banda Rossi” di “Bandiera rossa” operante al Quadraro e Torpignattara, sentii rammentare di quando si trovò a via Casilina la mattina del 4 giugno impegnato contro i capisaldi tedeschi lasciati nelle retrovie con per coprire la ritirata delle truppe di Kesselring.

Le formazioni partigiane

Il compito delle varie formazioni partigiane di quelle borgate fu quello di aprire la strada alla V Armata del generale Clark. C’è una foto di soldati tedeschi catturati dai partigiani mentre sfilano per via dei Lentuli al Quadraro. Favelli raccontava che mentre sparava contro una postazione tedesca a un certo punto s’accorse di essere bloccato e di non poter andare né avanti né indietro altrimenti i tedeschi lo avrebbero colpito.

L’insurrezione di Roma non ci fu ma i partigiani a sud e a nord della città si fecero sentire.

Questi, sommariamente, sono i racconti di familiari e amici e compagni dell’arrivo degli americani a Roma il 4 giugno giorno di una liberazione tanto attesa durante i nove mesi di occupazione nazifascista scandita da fame, rastrellamenti, fucilazioni ed eccidi, bombardamenti e terrore.

Io e Sergio Gentili 5 anni fa scrivemmo un libro “Roma ’43-’44. L’alba della Resistenza”. Mentre lo scrivevamo il Presidente Mattarella insignì nel 2018 la Capitale della medaglia d’oro al valor militare della Resistenza.

Riconoscimento tardivo dovuto al fatto che Roma era stata l’unica grande città a non insorgere per tante ragioni.

“Roma è stata la capitale che ci ha dato più filo da torcere”

Noi il libro lo avevamo scritto proprio per dire che ciò non diminuiva il fatto che la città fin dal primo momento aveva combattuto e sofferto contro i nazifascisti tanto che uno dei caporioni nazisti il colonnello delle SS Eugene Dollmann ebbe a dire nel dopoguerra che “Roma è stata la capitale che ci ha dato più filo da torcere”.

All’atto dell’occupazione in seguito all’ 8 settembre aveva sostenuto il contrario. L’esperienza vissuta gli aveva fatto cambiare idea.

Una cosa è certa: la gioia incontenibile e popolare che accolse i liberatori di Roma, le caramelle, le chewing gum sconosciute, la cioccolata, le sigarette avvolte nelle carta stagnola, lanciate dagli equipaggi dei loro camion, carri armati, jeep è testimoniata in decine di fotografie e filmati dell’epoca.

Probabilmente c’erano fra quelli che gioivano anche i nostalgici del fascismo e gli opportunisti di sempre, quelli sempre pronti a saltare sul carro dei vincitori. I risultati elettorali del dopoguerra, sempre più alti per il Msi della sua media nazionale, stanno lì a testimoniarlo.

Anche per loro finiva un incubo. L’incubo nazifascista. Solo che poi se ne dimenticarono.


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