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Una migliore qualità della vita per le nostre bici

Come vivere la città su due ruote fuggendo dai recinti delle ciclabili

Dal 2018 ogni 3 giugno ricorre la Giornata Mondiale della Bicicletta. Più esattamente è la “Giornata ufficiale delle Nazioni Unite per la consapevolezza dei benefici sociali derivanti dall’uso della bicicletta come mezzo di trasporto e per il tempo libero”. L’ONU riconosce infatti “l’unicità, la longevità e versatilità della bicicletta che rappresenta un mezzo di trasporto semplice, economico, affidabile e sostenibile, che promuove la preservazione ambientale e la salute”. La bicicletta è considerata quindi uno strumento di sviluppo sostenibile. Viene altresì riconosciuta come una delle soluzioni per perseguire in modo semplice ed economico gli obiettivi di transizione energetica e climatica.

Tuttavia è risaputo che il ciclista deprima il PIL, al momento indicatore utilizzato come sintomo di benessere di un paese e della sua popolazione. Il famigerato ciclista utilizza un mezzo che non consuma carburanti e che è utile per tenere in forma il proprio corpo. Il movimento che ne deriva, il più delle volte, gli evita quelle malattie dovute alla vita sedentaria e quindi contiene le sue spese mediche. Infine questo piacere nel pedalare senza sosta non gli fa spendere quasi nulla nel suo tempo libero. In pratica il peggior cittadino per l’economia consumistica che ci governa.

Effettivamente il ciclista che viaggia e mai si arresta, come il motociclista che ama inclinare la moto nelle curve di montagna o lo sciatore che scende in una volata fino allo skilift vivono per il loro percorso.

Andare, viaggiare senza sosta, mettere alla prova la resistenza, faticare, sudare, far lavorare i muscoli, avere un buon ritmo, mantenere la tensione e l’attenzione sul percorso. Questo è il mantra, questo è l’obiettivo, questo è tutto. Al massimo ci si ferma con i compagni di viaggio al bar in una sosta prolungata per la socialità, una pausa sul percorso prima dell’agognato viaggio di ritorno.

L’essenza è però il viaggio, non i luoghi. Il panorama ti corre incontro mentre si cambia marcia, mentre si compie una virata, mentre si cambia rapporto. L’attenzione non è rivolta all’orizzonte, ma alle immediate vicinanze, alla pista ciclabile, agli incroci stradali, ai cumuli di neve e alle mille sue imperfezioni che si devono inevitabilmente affrontare. Qui e ora. E poi c’è da schivare i lenti, superare quelli che si attardano, quelli che si fermano, spesso neanche a bordo strada, magari in mezzo alla pista, o addirittura quelli che si affiancano per scambiare due parole. Che accidenti ci fanno in giro se non pedalano, sciano o accelerano? Non potevano starsene a casa per non intralciare il percorso?! Non stiamo mica a pettinare le bambole, noi!

Qualche tempo fa sono uscito con il gruppo di ciclisti del quartiere. Era la prima volta. Abbiamo percorso venti chilometri da Roma nord fino all’Eur, poi ci siamo fermati ad un bar per fare colazione tutti insieme. Non c’era davanti a noi un paesaggio da ammirare, non una cascata, neanche un monumento. Il laghetto era lì vicino, a neanche trenta metri, ma non si vedeva. Davanti a noi solo la siepe del locale.

Il mio cuore era ancora ferito per il lungo percorso nel quale, sempre ultimo della fila, non mi sono mai potuto fermare per ammirare uno scorcio di paesaggio, per fare due chiacchiere, per scattare una foto e magari per condividerla. Quando i miei compagni di viaggio sono ripartiti non ce l’ho fatta più (anche fisicamente) e mi sono sganciato. Avevo bisogno di vedere qualcosa, di portarmi a casa un’immagine, un ricordo, un’emozione. Sono stato al Giardino delle Cascate dell’Eur e al Colosseo Quadrato. Lì ho lasciato la bici, legandola per bene con molto timore per l’abbandono, e ho visto la mostra su Arnaldo Pomodoro. Poi mi sono comprato un panino ad un mercatino e sono andato a mangiarmelo davanti al laghetto. I miei compagni di viaggio avevano percorso altri 20 km ed erano già rincasati felici da ore. A me serviva più contenuto e meno gesto fisico.

Sono un camminatore della domenica, un pessimo ciclista, un grande viaggiatore, uno sciatore che scivola giù dalle montagne da quando aveva dieci anni e che vuole rimanere principiante, ma non si vuole perdere neanche un paesaggio. Amo le fermate, le pause, i riposi, le chiacchiere. Amo curiosare, appuntare, catturare un’immagine, condividere. Non voglio avere un ritmo da rispettare, un percorso che mi renda schiavo, qualcuno da inseguire e raggiungere.

Ci sono volte che scambiando una foto su un social network mi sono ritrovato in prossimità di amici e una deviazione ci ha permesso di aggiungere, fermandoci, un momento di socialità alla consueta passeggiata.

Sono un viandante schizofrenico, che è sempre pronto a cambiare itinerario, un ciclista slow, uno sciatore paesaggista. Sono convinto che ci sia qualcosa di più di una strada che ti viene incontro e mai si arresta.

Ad ogni modo qui si confrontano due modi di vivere e di trarre piacere dal proprio tempo libero, due modi di essere, di esistere, di pensare a se stessi in movimento. E allora è proprio vero che il ciclista rappresenta un danno per la società industriale alla quale appartiene?

Il ciclismo è uno degli sport nazionali più praticati, è un modo di trascorrere il tempo libero in movimento e si sostanzia nell’attività di muoversi sul territorio, ma potrebbe anche voler dire qualcosa di più.

Troppo spesso si è ritenuto indispensabile allungare le piste ciclabili per favorire il lungo e ripetitivo movimento meccanico di pedalata. Di certo raggiungere con piste più lunghe sempre più luoghi abitativi e utenti è una motivazione sufficiente, tuttavia non del tutto soddisfacente. Infatti tutto questo viene perseguito senza un reale obiettivo se non quello dell’andare. A volte forse basterebbe aggiungere nuovi significati a quello che facciamo. E così può capitare che più del percorso diventi importante la sosta: un arricchimento storico-culturale, sociale o anche solo funzionale, che vada oltre il semplice, meccanico, infinito movimento delle gambe. Si può visitare una delle innumerevoli mostre presenti in città, partecipare ad un evento musicale o gastronomico, incontrare gli amici in centro per un tè o anche solo fare shopping.

Ad Ostia già nel 2023 si è realizzato un evento straordinario per offrire anche qualcosa di più di una semplice andatura: l’apertura del Parco Archeologico di Ostia Antica a visite guidate in bicicletta. Si è pensato così di valorizzare il territorio, che in Italia è sempre ricco di valenze culturali e ambientali. Di certo è stata un’occasione per scoprire quanto è bello pedalare, ma anche fermarsi ad osservare e godere della bellezza del nostro paese e della sua preziosa storia. Un modo per vivere la città e non solo per attraversarla in bici. Ma cosa fare per favorire questo utilizzo delle bici più ricco di contenuti?

Oltre alle piste ciclabili si dovrebbero creare aree attrezzate dove poter lasciare in sicurezza il proprio mezzo e magari ottenere assistenza o ricaricare i veicoli elettrici. È vero che si possono utilizzare le bici e i monopattini in sharing e poi abbandonarli senza criterio, come si fa oggi, tuttavia tale uso non può che essere occasionale e non genera una cultura della “fruizione ciclabile” della città. Se invece potessimo lasciare in luoghi custoditi la nostra bici, ci sentiremmo più confidenti di poterci recare in centro pedalando per una molteplicità di occasioni. Potrebbe anche diventare un modo nuovo di vivere la mobilità, sia nel week-end sia nella propria vita lavorativa pendolare.

Le aree di parcheggio custodite diventerebbero “servizi abilitanti”, che permettono ai cittadini ciclisti di accedere a tutta l’offerta presente nelle città. Una soluzione potrebbe prevedere due o tre punti di deposito custodito (anche a pagamento) nelle piazze principali. Lo spazio dovrebbe essere messo a disposizione da parte del Comune e si potrebbero utilizzare gli operatori dei cosiddetti “lavori socialmente utili”, mentre il finanziamento dell’iniziativa potrebbe avvenire tramite l’utilizzo delle leve del co-marketing, coinvolgendo tutto l’indotto con opportune partnership: negozi del centro, ristoranti, bar, pizzerie, musei, mostre, teatri, cinema, concerti. In pratica il parcheggio è gratis se si acquista un bene o un servizio o si consuma, oppure se ci si abbona. Inoltre nell’area di parcheggio potrebbero essere messi a disposizione servizi aggiuntivi come il gonfiaggio o la riparazione delle gomme, l’ingrassaggio della catena, il lavaggio della bici, ecc.

Spesso i cambiamenti culturali sono lenti, proprio per questo motivo, quando lo sviluppo di nuove abitudini è auspicabile per la società, è sempre utile un incentivo. E su questo sarebbe interessante costruire un progetto con il Comune e le attività commerciali e culturali del centro storico.

Fabrizio Trainito


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