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Una storia vera di “fastidiosa” povertà e qualche pensiero

Omar (lo chiamiamo così, ma non importa il nome) ha difficoltà a trovare un lavoro. Si dà da fare, ma non è facile per uno straniero, nero e senza documenti ispirare fiducia. La fiducia la riceve dagli spacciatori, ma è una fiducia “tossica” ed è più dignitoso – forse – fare piccoli servizi davanti ai supermercati e chiedere l’elemosina.

Omar chiede l’elemosina. Si mette davanti a un negozio e aspetta. Faccia freddo o caldo, sia asciutto o piova, lui aspetta. Deve essere dura. È vero, non fai niente, ma un po’ è la vergogna, un po’ è la fame e il freddo, le scomodità e gli atteggiamenti infastiditi delle persone, un po’ sarà anche l’angoscia dell’attesa, ma il buonumore è difficile a mantenersi. Puoi anche fingerlo, ma spesso proprio non ce la fai. Così chiedi l’elemosina e diventi un accattone. Un tempo era reato l’accattonaggio, chiedere aiuto era reato; in una comunità nessuno dovrebbe chiedere l’elemosina, tutti dovrebbero sentirsi supportati in un momento di difficoltà. Non dovrebbe essere scontata la solidarietà tra animali della stessa specie? Lui però ora chiede l’elemosina e questo non è più reato, a meno che – lo ha stabilito il Decreto Sicurezza – non si tratti di “accattonaggio molesto”. Esiste una norma per stabilire se un tuo simile che chiede cibo e tetto sia una minaccia alla sicurezza; cosa sia molesto dipende poi dall’umore: dal tuo forse, da quello di chi ti denuncia di sicuro.

Un negoziante in realtà lo vuole mandare via, Omar è proprio davanti al suo negozio ed è un fastidio. Il rifiuto di Omar di spostarsi – il suo umore non è dei migliori oggi – e il nervosismo del negoziante – anche i negozianti possono avere cattivo umore – sono sufficienti per la denuncia: “accattonaggio molesto”. Arrestato, portato a Regina Coeli e lì nominato l’avvocato di ufficio, condannato a diciotto mesi di reclusione, nessun appello e niente richiesta di sospensione della pena: a volte la giustizia è davvero efficiente. L’avvocato poi ha da fare e deve partire. Diciotto mesi di carcere e non hai voluto rubare, non hai cercato di spacciare, hai solo chiesto aiuto… ma non sei stato gentile con chi – hai pensato – non capiva che quella era la tua ultima possibilità di trovare cibo e un posto per la notte; diciotto mesi in carcere perché a un negoziante hai dato fastidio e perché un avvocato non perde tempo con uno straniero senza soldi e senza famiglia. Diciotto mesi in cella, insieme ad altri poveri, o forse con qualche delinquente che diciotto mesi se li fa pure lui, ma con quello che si è messo da parte ce l’ha una casa dove andare quando esce. E Omar potrà pensare che forse, se avesse rubato, un avvocato se lo sarebbe potuto scegliere, e forse, se avesse spacciato, qualcuno lo avrebbe difeso.

È la povertà che è molesta: non vuoi guardarla, se non sei povero; se sei povero, non vuoi viverla. Il povero infastidisce perché suscita domande a cui non vuoi rispondere e mette in dubbio la tua bontà. È gratificante parlare dei poveri, è disgustoso sentirne la puzza. Con lo straniero è però più facile: riesci a non identificarti con lui e a rifiutarlo, riesci a sfogare su di lui la paura che hai di ogni povertà. In fondo non è un povero, è un clandestino, se l’è andata a cercare.

Diciotto mesi perché sei povero, perché dai fastidio, perché sei un estraneo, un clandestino, un delinquente per definizione, sei una minaccia alla sicurezza dello stato. Non spacci, non rubi, ma esisti. Te la sei proprio cercata!

 

Don Domenico Vitulli, Parroco di S. Tommaso d’Aquino


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