Nella piena indifferenza di quelli che hanno la trippa piena (top manager, grandi economisti, banchieri, finanzieri, politici di alto bordo, ricchi, insomma, di svariate categorie professionali), che quindi non riescono a capire le buone ragioni di chi è digiuno.
Ecco il sonetto.
Sàbbito senza sole!
È sàbbito! ’Gni sàbbito che passa
me fa penzà’ ar proverbio… Ch’eresia!
Nun manca er Sole a un padre de famîa
che ar sàbbito ha da di’: l’ho fatta bassa?
Cammino, cerco, chiedo: “No”. “Ripassa”.
“Forse”. “Nun dò nessuna garanzia”.
Io, se nun fosse ’na vijaccheria,
sbrojerebbe pe’ sempre la matassa.
Crédeme, me ce sento schioppà’ er côre:
sentì’ ’na forza da potecce sfragne
una montagna, e nun trovà’ lavore!
E quanno er pupo ha fame e ce lo dice
Tèta riggira er viso e sbòtta a piagne…
Cristo, che Croce!, che campà’ infelice!
Questo splendido sonetto è del 1933. L’autore è Carlo Bardella (1903-1981); è tratto dalla raccolta “Centenario” a lui dedicata dal figlio Massimo (anche lui valente poeta).
La famigerata crisi del ’29 arrivò in Italia nel 1932 e Mussolini cercò di diluirla con le imprese sportive, il cinema e la neonata radio.
«Il sonetto – precisa Massimo Bardella nella lettera di accompagnamento alla segnalazione – è sicuramente autobiografico, ma papà con me ne fu sempre sfuggente, vago, perché, pur estremamente estroverso, era schivo di certe intimità dolorose. Papà fu a lungo disoccupato anche perché non aveva mai voluto iscriversi al Partito fascista, cosa quasi indispensabile per trovare lavoro (se ce n’era). Quindi, sono passati ottanta anni e questo sonetto sembra scritto adesso. E sarebbe interessante per il Centro di documentazione “Vincenzo Scarpellino” fare una ricerca, con un saggio sulla poesia dialettale dal 1930 al 1935, anche se la crisi durò più a lungo.
Quel 1933 fu un anno stranamente ricco di eventi: l’Anno Santo, il volo transoceanico di Italo Balbo, la conquista del nastro Azzurro da parte del Rex, la nascita dell’I. R. I. e l’avvento di Hitler al potere. Le poesie di papà dormirono per molto tempo, perché aveva cose più gravi da pensare. Nel 1943/1944 fu uno dei capi della Resistenza romana nelle file clandestine del Partito socialista. Con la pace esplose la sua sopita ispirazione poetica e molto frequenti le sue notti di poesia, vino e cazzotti, anticipando di molto la Dolce Vita.»
P. S. Quest’articolo è stato scritto qualche tempo fa. Ma lo ripropongo perché resta sempre valida l’affermazione che non c’è niente di più inedito dell’edito.
Chiedendo naturalmente scusa a chi conserva maggiore memoria.
https://poetidelparco.it/carlo-e-massimo-bardella/