5 febbraio 2006: Don Andrea Santoro un martire del XXI secolo
Dieci anni fa l’omicidio del sacerdote romano in TurchiaNel XXI secolo esistono ancora i martiri? Riflettendo ci domandiamo, ma chi sono i martiri? Spesso la quotidianità e la vita convulsa, anche a causa di problemi e preoccupazioni, ci fanno rimuovere il pensiero su chi ha testimoniato la propria fede o ideale nonostante le persecuzioni anche a costo della morte. Il termine martire è utilizzato per estensione anche in forma laica (“martire” della patria o del lavoro), per onorare atti di particolare eroismo compiuti a difesa della propria nazione o nello svolgimento del proprio lavoro o professione.
La parola “martire” è presente in più religioni, solo nel cristianesimo primitivo, con l’avvento delle persecuzioni dei cristiani, il termine è stato riservato alla testimonianza estrema, cioè al sacrificio della vita. Non a caso il periodo, precedente al regno di Costantino (fino all’Editto di Milano, 313 D.C., il riconoscimento della libertà religiosa), è considerato “l’era dei martiri”. Da qui il “culto dei martiri”, che è una delle forme di espressione privata e pubblica della fede cristiana, ove i martiri sono onorati come santi o beati, con celebrazioni e funzioni, e la loro commemorazione avviene nel giorno della morte (dies mortis).
Ecco perché parliamo di un martire del XXI secolo, una storia difficile da raccontare, bella e tragica. Perché è la storia di un sacerdote della Diocesi di Roma: Don Andrea Santoro, ucciso a sessanta anni, missionario in Turchia. Era inginocchiato a pregare, poco prima di celebrare la messa nella piccola chiesa cattolica Santa Maria a Trabzon, (Trebisonda nel nord della Turchia, sul Mar Nero) nel pomeriggio di domenica 5 febbraio 2006, quando entrarono in chiesa tre ragazzi che iniziarono a comportarsi con fare arrogante e dopo qualche minuto, i ragazzi uscirono dalla chiesa. Don Andrea si mise di nuovo a pregare, e invitò il suo giovane aiutante turco a fare altrettanto. Mentre stavano pregando un uomo entro in chiesa: don Andrea vide che una pistola era puntata alle sue spalle e gridò al suo aiutante di buttarsi a terra; l’uomo gridò a gran voce: “Allah è grande” e sparò due colpi di pistola, trafiggendo i polmoni del sacerdote, che rimase ucciso.
L’uomo scappò attraverso il cortile della chiesa gridando ancora: “Allah è grande” e sparando un terzo colpo di pistola in aria. In seguito fu arrestato e condannato per il delitto un giovane di sedici anni, Ouzhan Akdil, che confessò di aver ucciso don Santoro perché sconvolto dalle vignette satiriche su Maometto, apparse mesi prima su un quotidiano danese e di recente salite alla ribalta nel mondo islamico.
Oggi a distanza di dieci anni dall’assassinio di don Santoro, gli organi di giustizia turca considerano che nel 2006, le indagini siano state negligenti, e tornano a prendere in esame l’ipotesi che l’omicidio non sia stato commesso dall’adolescente, con problemi di miopia, infatti in quell’occasione l’assassino, avrebbe esploso i colpi senza mancare mai il bersaglio. A riferire tali informazioni, con una nota, è l’Agenzia Fides. Sarebbe poi che la ricerca d’indizi nell’abitazione del condannato, fu condotta in modo superficiale e le dichiarazioni processuali dell’indagato furono allora vaghe e confuse. Secondo la stampa turca, al tempo del processo, la Procura dichiarò di non aver trovato riscontri alle notizie secondo cui l’omicida apparteneva a un gruppo di estremisti nazionalisti e fondamentalisti, scegliendo l’ipotesi per “un gesto isolato di un fanatico squilibrato.”
Chi era don Andrea Santoro?
Chi era don Andrea Santoro? Nasce a Priverno (Latina), il 7 settembre 1945, terzo figlio di un muratore e di una casalinga e fratello minore di due sorelle, la famiglia Santoro si trasferisce a Roma nel quartiere Quadraro, all’inizio del 1956. Il giovane Andrea entra nel Seminario minore di Roma nel 1958, quando frequentava la scuola media, poi il passaggio al Seminario Maggiore a San Giovanni, completati gli studi di teologia presso l’Università Pontificia Lateranense, è ordinato sacerdote a Roma, da mons. Ugo Poletti, il 18 ottobre 1970. Vive le sue prime attività ed esperienze pastorali nella parrocchia dei Santi Marcellino e Pietro a Torpignattara, poi alla Trasfigurazione, successivamente nel nuovo quartiere di Verderocca, per “costruire” la Chiesa ( comunità di “pietre vive” e di mattoni) intitolata parrocchia Gesù di Nazareth, che ne divenne parroco, e infine ai Santi Fabiano e Venanzio a Villa Fiorelli, Tuscolano, parroco dal 1994.
Don Andrea fa parte di quella generazione di seminaristi prima e di preti poi, che hanno conosciuto crisi e abbandoni, ma vissuto anche grandi stagioni d’impegno al dialogo, dove la fede si vive e si comunica, nello spirito post – concilio (erano anche gli anni del convegno diocesano chiamato spesso impropriamente “i mali di Roma”). Un sacerdote che in circa trenta anni di servizio pastorale, nella Diocesi di Roma, ha avuto modo di conoscere degrado, povertà, solidarietà con lo spirito e lo stile di un prete di frontiera. Infatti, nei quartieri del Casilino, Monteverde, Tiburtino e Tuscolano, dove don Santoro ha vissuto e testimoniato il Vangelo, ha lasciato un ricordo duraturo e indelebile, nelle realtà territoriali, dove ha esercitato il suo ministero sacerdotale, che rappresenta parti espressive della grande comunità diocesana di Roma.
La grande spiritualità di don Andrea, oltre all’impegno pastorale parrocchiale, era orientata al dialogo interculturale e interreligioso. Dopo il diploma al Pontificio Istituto di Studi e d’Islamica, nel 1980 soggiorno per sei mesi in Oriente, ospite d’ istituti religiosi. Per lui capire e vivere il Medio Oriente era capire meglio l’uomo e le sue contraddizioni, era poi un’esperienza per penetrare più profondamente il testo della Bibbia. La sua spiritualità si avvicinava a quella di Charles de Foucauld, religioso francese, esploratore del deserto del Sahara, nel 2005 è stato proclamato beato. Nel 1994, torna per altri cinque mesi in Medio Oriente, dove la sua sensibilità verso i più bisognosi è sempre più evidente, ma il suo stile pastorale si colora di ecumenismo e di dialogo interreligioso: sono i frutti dei suoi soggiorni all’estero e sono anche indice della sua crescente sete di partire per la missione che i superiori sembrano non capire o che comunque tardano a esaudire.
Solo nel 2000, cioè a 55 anni, il cardinal Ruini gli permette di andare per un triennio in Anatolia come sacerdote fidei donum (dono della fede). Prima di partire fonda l’associazione “Finestra per il Medio Oriente”, per creare un legame tra la sua diocesi di appartenenza e quella in Turchia, cui si sente inviato. Un impegno senza mai risparmiarsi, per diventare pastore di una comunità di modesta entità, incontrò molte persone che non conoscevano il cristianesimo, aiutò donne ortodosse in difficoltà provenienti dalla Georgia, spesso vittime della prostituzione, cercò “di essere una piccola finestra di luce”. In silenzio stava creando ponti tra le religioni, esercitando la “liturgia della porta”: aprire, sorridere, salutare, ma anche schierarsi e, tutto questo, poiché era diventato un punto di riferimento, un esempio, forse l’ha reso un prete scomodo. Da qui la morte da martire di don Andrea Santoro, che considerava la Turchia una sorta di “seconda Terra Santa per avere un rapporto privilegiato con Cristo e tenere accesa la fiammella della fede laddove c’era solo brace”.
A dieci anni dalla scomparsa, venerdì 5 febbraio 2016, nella Basilica di San Giovanni, il cardinale Agostino Vallini, presiederà una solenne celebrazione eucaristica in suffragio di don Andrea. Per una singolare coincidenza, lo stesso giorno 5 febbraio 2016, le spoglie dei Santi: Padre Pio (proveniente da San Giovanni Rotondo) e Leopoldo Mandic (proveniente da Padova) saranno portate nella Basilica di San Pietro per la venerazione dei fedeli. E’ un segno? Per don Andrea, la Chiesa di Roma ha dato avvio nel 2011, al suo processo di canonizzazione.
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