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78 anni fa, la bomba H

La follia della guerra e l’arte che guarisce

“Restiamo umani è l’adagio con cui firmavo i miei pezzi per il manifesto e per il blog. È un invito a ricordarsi della natura dell’uomo. Io non credo nei confini, nelle barriere, nelle bandiere, credo che apparteniamo, tutti indipendentemente dalle latitudini e dalle longitudini alla stessa famiglia che è la famiglia umana.” Vittorio Arrigoni

https://www.fondazionevikutopia.org/restiamoumani.php

Psicoanalisi della guerraSegnalo Psicoanalisi della guerra poi ampliato in un secondo libro nel 1977 Psicoanalisi della guerra atomica(recentemente ripubblicato sempre per Feltrinelli) – di uno dei più importanti psicoanalisti italiani del Novecento, Franco Fornari, libro definito da André Green l’opera più importante su questa materia dopo il Disagio della civiltà di S. Freud. Un lavoro d’inquietante attualità per comprendere uno dei fenomeni più perturbanti della nostra vita collettiva e il dispiegamento incontrollato delle istanze pulsionali che provengono dall’inconscio. 

In tal senso si può meglio comprendere l’importanza spirituale e la responsabilità civile esercitata dall’opera di persone coraggiose e consapevoli che hanno impiegato tutte le loro energie per evidenziare e combattere questa forma di pazzia.

Per esempio Don Milani del quale il 27 maggio 2023 si è celebrato istituzionalmente a Barbiana il centenario della nascita. Sempre il 27 si è tenuta la XXII edizione della marcia, organizzata dal Comune di Vicchio con l’Istituzione culturale Don Milani, la Fondazione Don Milani, l’Associazione Gruppo Don Milani di Calenzano, promotori del Comitato nazionale per il Centenario ed il patrocinio di Anci, Regione Toscana, Città Metropolitana Firenze e Unione Comuni del Mugello. A far da tema alla marcia queste celebri parole, di una inquietante attualità, tratte dalla famosa “Lettera ai cappellani militari” 

“Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri”. 

Segnaliamo il libro di Eraldo Affinati – L’uomo del futuro. Sulle strade di don Lorenzo Milani – (Mondadori, 2017)

Quando in Italia arrivò il film francese Non uccidere diretto da Claude Autant-Lara, ne venne vietata la proiezione nelle sale e la questura procedette al suo immediato sequestro, in quanto imputato istigatore all’obiezione di coscienza.

A Firenze il 18 novembre 1961, anche il sindaco Giorgio La Pira, cattolico e convinto pacifista, senza badare ai divieti di legge, organizzò una proiezione del film per giornalisti ed intellettuali. 

Fu Padre Ernesto Balducci a sollevare il problema sul Giornale del Mattino di Genova, venne quindi denunciato, arrestato e processato, con lui il direttore del giornale, poi condannati entrambi “per invito alla viltà” del popolo italiano; ricordiamo però che sono stati i noti processi contro don Lorenzo Milani e don Ernesto Balducci ad aprire la strada al riconoscimento dell’obiezione di coscienza al servizio militare (sancito dalla legge n.772 del 15 dicembre 1972). Non posso non menzionare inoltre che fu proprio l’indimenticabile Sindaco di Firenze  Giorgio La Pira nel 1965 (due anni prima della morte di don Milani) a fare un coraggioso tentativo diplomatico per avviare un negoziato tra il governo di Hanoi ed il governo americano. La conclusione, come sappiamo, non fu quella auspicata … che avrebbe evitato milioni di morti da entrambe le parti e tragici bombardamenti in Vietnam pari a tre volte tutti quelli effettuati durante la Seconda Guerra Mondiale. 

Vorrei inoltre ricordare un altro film che vidi in TV all’epoca – L’arpa birmana del 1956, diretto da Kon Ichikawa, nominato all’Oscar al miglior film straniero (battuto da La strada di Federico Fellini). Acquisivo, con quelle immagini, la consapevolezza dell’orrore che aveva preceduto di pochi anni la mia nascita, tragedia della quale evidentemente tutti si sentivano ancora fortemente in colpa. Il filosofo Aldo Capitini, nel suo saggio La compresenza dei morti e dei viventi, aveva anche scritto che 

«religioso indubbiamente è nell’Arpa birmana il contrasto tra il piacevolissimo ritorno dei reduci alle cose semplici e quotidiane della vita e la missione di chi resta, solo e piangente, a seppellire i soldati morti» (Il Saggiatore, Milano, 1966, p. 255). 

Sicuramente catturati da quel sentimento panteistico nel quale il pacifismo affonda le radici della conoscenza, dell’amore universale e dell’arte che, in questo caso, accompagnava anche il giovane soldato Mizushima, sotto forma di un’arpa birmana, da lui costruita per tenere alto il morale dei commilitoni, che lo seguirà nella sua pietosa opera dopo la fine della guerra, insieme alla dolorosa consapevolezza che non si può restare a guardare. https://www.cinefiliaritrovata.it/larpa-birmana-che-riconosce-lumano-in-ogni-cosa/

L’ ARPA BIRMANA – Leone d’Oro mancato al Festival di Venezia, è il capolavoro di Kon Ichikawa, tratto dal romanzo di Michio Tekeyama. – Nel luglio 1945 la guerra volge al termine. Nel tentativo di sfuggire alla morte o alla prigionia, le unità giapponesi valicano i monti o si aprono la via nelle foreste di Burma per raggiungere la Tailandia. I soldati del capitano Inoue marciano cantando, accompagnati dall’arpa birmana del soldato scelto Mizushima. Questi, che conosce la lingua locale, viene mandato avanti e dà il segnale di via libera suonando l’arpa. Vicino al confine i giapponesi giungono in un villaggio, sono ospitati in una taverna, ma poco dopo il villaggio è circondato dagli inglesi. Mentre il capitano Inoue pensa ad una possibile strategia, Mizushima suona “Home, sweet home!” per fingere una normalità di copertura, ma al coro si uniscono inspiegabilmente anche gli inglesi da fuori. Si apprende così che la guerra è finita. 

I giapponesi vengono poi rinchiusi nel campo di concentramento di Mudon ed il coraggioso soldato Mizushima si offre volontario per andare a convincere alla resa un comandante dell’esercito giapponese, ancora insediato con i suoi uomini in una postazione. Il tentativo di salvare molte vite fallisce, il capitano rimane deciso a portare alla morte tutti i suoi soldati, piuttosto che accettare la sconfitta. L’unico sopravvissuto a tale azione di guerra è lo stesso Mizushima, ferito, poiché ha aspettato l’ultimo minuto per ritirarsi. Rimasto isolato dal proprio reparto e creduto morto, viene curato da un monaco locale, un bonzo. Finirà per rubarne le vesti e, attraversando la Birmania, assumere su di sé il voto di povertà ed un atteggiamento spirituale di compassione per le umane miserie. Cercando di ritrovare il proprio reparto, affronterà i cumuli di cadaveri abbandonati lungo il suo cammino, pregando e dando loro sepoltura con le mani nude.

Il soldato Mizushima, in questo viaggio, non rappresenta necessariamente una qualsivoglia nazionalità, ma il percorso spirituale di un essere umano che, nel silenzio e nella solitudine, riflette sulla natura umana ed i disastri della guerra, accompagnandosi solo con il suono della sua arpa, strumento con il quale salvava la vita ai suoi compagni in fuga. Giunto presso Mudon, rinuncia ad unirsi ai suoi compagni che lo riconoscono e lo chiamano, non tornerà in Giappone finché la ferita della guerra rimarrà aperta.

L’arpa birmana, definito uno dei film più coerenti e unitari che siano apparsi sugli schermi, è dominato dal silenzioso appello (mediato dalle immagini) ad una solenne e dignitosa resistenza dell’uomo, ad un rifiuto dello sfacelo del mondo, dell’aggressività cieca di molti dei suoi rappresentanti, completato da un gioco di richiami, un fraseggio di affetto, speranza e rinuncia fra Mizushima e i suoi commilitoni. In questo dialogo egli prende distanza, per timore forse di non essere poi così fermo nel suo eroico proposito, così comunicano attraverso lo scambio di due pappagalli, istruiti con grande fatica, a dire alcune parole essenziali. La tragedia diventa elegia musicale, il canto straziante ma consapevole di chi si assume, in prima persona, la responsabilità sociale della guerra. Alcuni hanno attribuito al film un valore puramente negativo, antieroico, religioso…

Per altri, come per me, il significato del film è nella inaccettabilità della follia della guerra. Il valore della rinuncia non è auto-mortificazione, ma fiera protesta ed esempio morale, lucida rivolta dell’umile soldato contro il Mostro, la gregarietà cieca, assassina ed antivitale dell’Istinto di morte. Un soldato che suona abilmente un’arpa, la musica comunica e collega anziché dividere, purifica la nostra bestialità rendendola capace d’amore e di poesia. La solitudine dell’artista che conosce il valore del simbolico e lo dona, la fede nella fondamentale bontà della natura umana che nel linguaggio dell’Arte trova la sua massima espressione.


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