A spasso per Roma (1): Babingtons, la prima sala da tè

A fianco alla scalinata Trinità dei Monti, leggi inciso in una cornice di marmo bianco, “Tea Rooms”, e finisci nel 1893...

Emerge a tratti quel lato del reale che solitamente si perde nel rumore della quotidianità. Il riflettore illumina una scena in cui il protagonista non sei più tu. Accade in pochi secondi, il tempo di registrare con la coda dell’occhio un dettaglio, un orologio senza tempo, il sampietrino dorato d’inciampo, magari quel vaso scolpito sul lato orientale della più famosa fontana, per impedirne la vista ad un barbiere criticone trecento anni fa. Allora Roma si china sul tuo piccolo mondo e ti mostra la linea del tempo. Questione di un attimo, ma tant’è, ormai consapevole della modestia di ogni routine, ti abbandoni alla sua immensa storia.  È così che un venerdì, in una Piazza di Spagna semi vuota, a fianco alla scalinata Trinità dei Monti, leggi inciso in una cornice di marmo bianco, “TEA ROOMS”, e finisci nel 1893, anno in cui gli aristocratici inglesi che venivano a Roma per il Grand Tour iniziarono a prendere il tè da Babingtons (ora in Piazza di Spagna 23).

Aprirono la sala da tè e di lettura, due giovani signorine inglesi, Isabel Cargil e Anna Maria Babington, ed ancora oggi sono i discendenti di Isabel a gestirla, i cugini Chiara Bedini e Rory Bruce.

Abbiamo chiesto a Chiara, quando la storia di Babingtons ha iniziato ad intrecciarsi con la sua.  

Io sono cresciuta all’interno della sala da tè, – racconta – venivamo tutte le domeniche a pranzo con la mia famiglia. Sono cresciuta con i dolci di Babingtons, con i tè che arrivavano a casa perché all’epoca non avevamo un magazzino vicino a piazza di Spagna. Ricordo queste casse meravigliose che arrivavano da paesi lontani, era emozionante aprirle, sentire quei profumi esotici. Ho iniziato a lavorare dentro Babingtons nel ’97.

Babingtons è stato aperto da due donne…

Si, a quei tempi, sono state coraggiosissime! Quando aprirono Babingtons, il tè a Roma si comprava solo in farmacia. Loro, avendo fatto, come tutte le ragazze inglesi di buona famiglia, il famoso Grand Tour, si accorsero che a Roma non c’era un posto in cui poter prendere il tè. All’epoca qui c’erano tanti inglesi e Piazza di Spagna era considerato il loro ghetto. Inoltre la mia bisnonna era stata abbandonata sull’altare…

Dove, in Inghilterra?

Dunque, la mia bisnonna era scozzese ma visse anche in Nuova Zelanda dove il mio trisavolo, il capitano Cargil, fondò la città di Dunedin. Andò in Inghilterra per sposarsi e invece lui non si presentò. Fu un’onta terribile, col cuore spezzato venne in Italia per il Grand Tour. Non aveva motivi validi per tornare in Inghilterra e con la sua amica decisero di investire i loro risparmi per aprire una sala da tè e di lettura per la comunità inglese a Roma.

Ci sono stati clienti illustri nel corso degli anni?

Tanti, impossibile dirli tutti, abbiamo un libro delle firme che fa impressione! Durante la guerra Babingtons non ha mai chiuso, anche se l’Inghilterra per un periodo è stata un nemico, per cui tutte le altre attività inglesi chiusero. Noi no, ed uno dei motivi è che i gerarchi fascisti e le loro signore amavano venire da noi

È vero che qui venivano allo stesso tempo anche gli antifascisti?

Si, in stanze diverse, loro uscivano dalla cucina. Erano a pochissimi metri di distanza dai fascisti. I fascisti non lo sapevano, naturalmente gli antifascisti sì.

Dopo la guerra poi?

Poi mia nonna sposò il direttore della Metro Goldwin Mayer europea per cui tutti gli attori del periodo della Hollywood sul Tevere, di Cinecittà, venivano da noi. Quindi Elisabeth Taylor, Richard Burton, Tony Curtis, io ricordo ad esempio che giocavo a nascondino tra i tavoli con la figlia di Tony Curtis. Audrey Hepburn è stata nostra cliente finché non è morta, ma iniziò a venire da noi quando girarono Vacanze Romane. Poi Fellini, Bertolucci, Elsa Morante, Gigi Proietti, molti musicisti, cantanti, intellettuali, politici, ancora adesso. Babingtons è sempre stato, ed è, un posto dove le persone possono venire e non essere disturbate da paparazzi o clienti in cerca d’autografo. Noi teniamo moltissimo alla privacy dei nostri clienti.

Avete superato tanti periodi di crisi, come state affrontando la crisi attuale dovuta alla pandemia?

Noi non abbiamo mai voluto chiudere. Non è mai stata chiusa la sala da tè, neanche durante le due guerre, tranne una mattina, quando le truppe degli americani e degli inglesi entrarono dentro Roma e le cameriere dell’epoca non riuscirono ad arrivare. Siamo stati costretti a chiudere durante il lockdown, poi da maggio 2020 abbiamo riaperto, ma con la nostra testa ed il nostro cuore, noi non abbiamo mai chiuso. Anche l’anno scorso abbiamo fatto un periodo di solo take away e vendita online, non potevamo servire al tavolo ma io e la cuoca eravamo lì. La responsabilità della storia ci ha dato una grande carica. Ancora oggi navighiamo a vista, non si può mai sapere cosa succede. Il personale è stato fantastico, senza di loro non ce l’avremmo fatta, abbiamo avuto momenti di vuoto ma anche giornate in cui si è dovuto lavorare molto di più. Abbiamo dovuto ridurre un po’ il menù e cambiare l’apparecchiatura dei tavoli, è tutto più essenziale, forse un po’ triste, ma dobbiamo sanificare ogni volta, pulire l’area con macchinari particolari, per la sicurezza dei clienti.

Che cosa in tanti anni da Babingtons non è cambiato?

La cura del servizio. Le cameriere di Babingtons non sono cameriere, sono delle padrone di casa. È sempre stato così, anche quando mia nonna dovette assentarsi durante la guerra, le cameriere erano le padrone di casa. Pertanto il servizio è familiare, è la padrona di casa che ti accoglie.

Qual è il tè da non perdere?

… posso sceglierne tre? Allora il Breakfast Special che è la nostra primissima miscela creata dalle due fondatrici. Poi Miss Babington che è la miscela che abbiamo creato per celebrare i nostri 125 anni ed è un tè che racconta, attraverso gli ingredienti, l’incontro tra Roma e Londra e le grandi imprese femminili. Infine il nostro Karha Chai a cui io sono molto affezionata. Nasciamo nel periodo delle colonie inglesi in India, – spiega infine Chiara –  per cui il tè veniva da lì, è un Paese a cui dobbiamo molto. Per questo abbiamo creato la Fondazione Babingtons for Darjeeling. Il Darjeeling è una piccola regione indiana dove ci sono più di 2000 giardini di tè e lì organizziamo corsi professionali per i giovani che provengono da situazioni drammatiche di sfruttamento o che rischiano di dover emigrare (e perdersi) nelle città.

If a cup of tea can’t fix it, make one more. (Cit)

 

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