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A tutto c’è rimedio

In aereo, per ammazzare le due ore di volo a cui sono ormai abituato da tempo, compro un quotidiano e lo sfoglio, dalla prima all’ultima pagina, soffermandomi sugli articoli che più mi colpiscono. Ieri mi è caduto l’occhio su una notizia tragica che, se da una parte mi ha commosso, dall’altra mi sono domandato, da chimico, quanto talvolta la speranza si disperda nella impossibilità di una pur minima riuscita.

1479459428340-jpeg-sentenza_choc_in_inghilterra__una_ragazza_di_14_anni_ottiene_l_ibernazione_post_mortemIn breve, una quattordicenne inglese all’ultimo stadio di una forma tumorale inesorabile si è ribellata alla morte ed ha chiesto ai genitori di essere ibernata dopo avere esalato l’ultimo respiro, nella speranza che dopo anni, anche secoli se necessario, potendo tornare in vita, la scienza magari avesse progredito fino a rendere guaribile la malattia che la stava uccidendo. I genitori, separati, sono stati in disaccordo. Mentre la madre ha assecondato il desiderio della figlia, il padre si è detto contrario stante la spesa onerosa – se è vero quanto riportato dalla stampa – che il trattamento avrebbe comportato, ossia 200.000 €, dato che solo un laboratorio specializzato negli Stati Uniti è in grado di operare a tutt’oggi un’operazione la quale, sostituito il sangue con un liquido capace di mantenersi fluido a temperatura prossima a -200°C, provvede a conservare il corpo appena defunto ibernato per oltre un secolo e anche più.

Che una ragazzina si ribelli all’inesorabile, ingiusta e tragica morte è la parte toccante della vicenda. Dato il disaccordo fra i genitori, è intervenuta la magistratura e il giudice ha dato ragione alla mamma per il motivo che non si può negare la speranza ad una figlia quattordicenne in fin di vita. Sembra poi che una sottoscrizione sia stata aperta e la somma necessaria reperita per soddisfare il desiderio della ragazza. Fin qui la parte etica della notizia. Niente da eccepire sulla decisione del magistrato.

Non altrettanto si può affermare circa la destinazione a cui la povera quattordicenne ha domandato di essere avviata. Non basta sostituire il sangue, che in teoria può essere successivamente ripristinato al momento dello scongelamento. Il tessuto degli organismi umani contiene acqua e si sa che, congelando, l’acqua aumenta di volume frantumando le pareti cellulari. Ammesso che tra millanta anni si dovesse procedere allo scongelamento e che qualche Prof. Frankenstein dell’epoca riuscisse a ripristinare il battito cardiaco, a quale mostro ci troveremmo di fronte? Eppure, riportava l’articolo del giornale, già 337 persone hanno fatto ricorso alla crioconservazione. Una pratica non distante dalla imbalsamazione, tranne forse per la speranza recondita che fino all’ultimo ha mantenuto vivo chi inesorabilmente era sull’orlo di passare a miglior vita.

Tutto ciò alla luce della tecnologia attuale. Diverso potrebbe essere il discorso qualora la scienza progredisse individuando una via – oggi inimmaginabile – capace di evitare il fenomeno, vorrei dire della ossidazione organica, o se preferite decomposizione, permettendo la conservazione reversibile di un corpo defunto.


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