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Ascensori abbandonati e condomini reclusi prima del Lockdown

«Il nostro virus si chiama Comune di Roma.» Sono parole forti quelle pronunciate da una cittadina della Capitale che da mesi (ben prima dell’inizio della quarantena) è segregata all’interno della sua casa appartenente a una delle palazzine popolari nella periferia Est della città, più precisamente in via Dameta. Nella sua stessa situazione si sono ritrovati anche altri condomini, la maggior parte dei quali ha più di 65 anni d’età.

Il motivo di questo lockdown? Non il Coronavirus, ma un guasto all’ascensore condominiale che risale a ben due anni fa. Non si tratta di un problema grave o irrisolvibile, ma di un’infiltrazione d’acqua all’interno della cabina del macchinario che sarebbe risolvibile attraverso un’operazione mirata a liberare lo scolo.

Chi deve provvedere?

La manutenzione degli ascensori a Roma è affidata al Comune, se esso è proprietario dell’immobile. E visto che la palazzina in questione è del Comune, quest’ultimo dovrebbe occuparsene. Ma dopo più di 24 mesi di denunce e di segnalazioni, ancora nessuno si è fatto vivo e i condomini sono costretti a vivere senza la comodità del trasporto verticale. Il problema sta nel fatto che la maggior parte dei residenti ha più di 65 anni. Di conseguenza, i problemi di mobilità sono notevoli.

La donna che ha pronunciato la frase in apertura dell’articolo si chiama Germana, ha 46 anni e da mesi non esce di casa per problemi di sovrappeso dovuti a precarie condizioni di salute. È, infatti, cardiopatica e diabetica. Non riesce a scendere agevolmente i gradini di casa e questo le impedisce di avere una vita sociale attiva. Il padre è in condizioni simili. Oltre ad essere anche lui cardiopatico e diabetico, ha tre by-pass e per lui è un’impresa salire e scendere le scale. La conseguenza di tutto questo è il limite minimo degli spostamenti, con le conseguenze sull’umore e sulla socialità che tutti noi abbiamo sperimentato durante i giorni di quarantena. Questa storia fa ancora più rabbia sapendo che la famiglia in questione vorrebbe pagare di tasca propria i servizi di riparazione dell’ascensore, ma non può farlo proprio per disposizione comunale perché la responsabilità di qualsiasi danno a cosa o persona ricadrebbe sul Comune stesso.

Stessi disagi per altri condòmini

In quel palazzo vive anche Lina, una signora di 75 anni che fatica a salire e scendere i 40 gradini che la separano dal portone di casa. Lo sforzo viene fatto in casi di assoluta necessità, come per andare dal medico. Ma questa non è vita, lo sappiamo tutti quanti. A quell’età, diventa ancora più frustrante non avere la possibilità di muoversi perché si ha tanto tempo a disposizione che andrebbe goduto in maniera molto diversa, non chiusi in casa davanti sempre davanti alla televisione.

Critica anche la situazione del settantaseienne Roberto che è in attesa di un trapianto del ginocchio e non sa come gestire la riabilitazione dopo l’intervento. Ma anche la signora Maria ha una brutta situazione alle spalle: la madre è quasi centenaria e il fratello è allettato. Non può ospitarli a casa a causa del poco spazio, ma deve prendersene cura. Quindi, è costretta a fare tutti i giorni le scale, nonostante i suoi 70 anni.

Insomma, si parla di uno stress fisico continuo che incide tantissimo sulla qualità di vita delle persone. La speranza è che lo stesso Comune che manda regolarmente il conto delle bollette da pagare si ricordi di garantire anche i servizi essenziali e primari ai suoi cittadini.

L. C.


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